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RACCONTO IN DUE PUNTATE

prima puntata

IN TRENO, ORE 7, 05

SECONDA PARTE

Massimo Bianco

 

 …Come se dipendesse esclusivamente da me. Dio come la odio. Ogni volta quella donna mi fa sentire male allo stomaco. Mi sta provocando un ulcera, la maledetta.

Stamani dopo essere stato chiamato me ne sono rimasto a letto altri cinque minuti interi, per puro dispetto, ma poi non mi è rimasto altro che alzarmi, prepararmi e uscire per recarmi alla stazione. Con tutto quel tempo sprecato devo avere ormai perso il treno.

Pazienza, prenderò il prossimo, tanto l’appuntamento è tra le 9 e le 9,30 e poi di fare prima colazione me ne infischio.

Ma voglio davvero andarci, poi, a questo ennesimo colloquio di lavoro? …Mmf. …Sono ancora in tempo a cambiare strada e zonzolare tutta la mattina, tanto so già che… Ma sono i continui fallimenti a farmi diventare disfattista… prima o poi però dovrà pur… No, no, inutile illudersi, lo so. Ormai vado avanti per pura forza d’inerzia ma non ci credo più…

Nessuno capisce sul serio i miei problemi. Perché se nemmeno tua madre ti capisce, chi altro lo può fare? …La mia vita. Cosa ho fatto di buono nella vita? …Nulla… nulla di buono… Vorrei morire, sul serio, oggi stesso. Non gliela faccio più. Ma come suicidarmi? Quale potrebbe essere il sistema migliore?…

…Il gas. Il gas è buono. Ma la mamma ormai esce solo per fare la spesa e poco altro e papà l’anno scorso è andato in pensione, non stanno mai fuori abbastanza a lungo da permettere al gas di fare il proprio dovere e se anche fosse c’è il rischio che i vicini sentano l’odore e chiamino i pompieri.

Allora potrei gettarmi dalla finestra. Ma non certo da casa mia. Dal secondo piano non mi ammazzo di sicuro e, anzi, sfigato come sono magari mi salvo ma mi rompo l’osso del collo e resto tetraplegico. Ci mancherebbe solo di campare immobile dal collo in giù per i prossimi quarant’anni! Potrei allora salire all’ultimo piano e gettarmi dal balconcino delle scale che dà sul cortile. Magari di notte, quando nessuno mi vede. …Tuttavia lì è stretto, stretto e pieno di tubi, di ostacoli, due piani sopra il mio addirittura ci hanno steso le corde per il bucato e non capisco come non temano di farselo rubare. No, potrei talmente rallentare la caduta da non ammazzarmi lo stesso e passare i prossimi sei mesi ricoverato in ospedale. Ah, ecco l’edicola. Appena se ne andrà il tipo dalla chioma fluente, di cui vedo il retro disegno della sua maglietta Warner, toccherà a me. Ora.

“Mi dia… Tutto. Quant’è? … Grazie, arrivederci.”

Non riesco neppure più a leggere libri, solo quotidiani e riviste. Sono inutile, da ogni punto di vista.

Forse era destino che tutto mi dovesse andare male, nella vita. Il fato ha cominciato a dimostrarsi avverso già prima di venire al mondo, quando i miei futuri genitori litigavano di continuo sul nome da dare al nascituro. Alla fine hanno optato per la “geniale” idea di chiamarmi in base al santo celebrato nella data in cui sarei nato, comodo, no? Così, si sono detti, il nostro bambino festeggerà compleanno e onomastico in una volta sola. E io, accidenti alla mia dannatissima sfiga, ho avuto la sventura di nascere proprio il 9 maggio, giorno di San Isaia profeta, per cui devo sopportare a vita questo nome imbecille. E mi è andata pure bene, perché il 9 di maggio era dedicato anche a San Pacomio e con il pessimo gusto di cui sono dotati i miei genitori… Almeno mi avessero battezzato Gregorio. E invece no, accidenti.

Isaia Mollo, dunque. Questo è il mio nome completo. E come attendersi successi da uno che si chiama Isaia di nome e per giunta Mollo di cognome?

D’altronde la stessa genetica mi è avversa. Non ne ho ancora quaranta è già sto perdendo i capelli senza possibilità di scampo. Chi non mi ha più visto negli ultimi anni stenterebbe a riconoscermi, da quando li ho dovuti tagliare nel disperato, e vano, tentativo di salvarli e la fronte mi è diventata, ecco, piuttosto alta. Ad Agnese così non piacevo più. Mi ha lasciato anche per questo, credo. Tendo pure ad ingrassare. Ho ereditato la tendenza alla pinguedine e alla calvizie di mio padre e non vi trovo rimedio. Mangio pochissimo, eppure…

…Eccomi arrivato e… accidenti. Di corsa sui gradini a due a due che qui mi perdo anche questo…

“Ehi, fate un po’ attenzione accidenti.”

“Ma se ci sei venuto addosso te, scemo.”

“Guarda dove vai, rimbambito.”

Maledetti ragazzini. E così sarei io adesso ad averli urtati. Beh, in effetti ero distratto, non so… ma dio, perfino due poppanti riescono a mettermi i piedi in testa!…

…Come mai questi ritardi indeterminati? Boh, non voglio sapere. Chissà, magari mi scampo il colloquio con una scusa incontestabile, non sarebbe male…

Non voglio andarci, non voglio, non ne posso più di rifiuti, non ne posso più, non ne posso più di nulla. Morire, subito, oggi stesso, sì, da qualche parte, anche qui, in stazione, sotto un treno, perché no? È il modo più sicuro… per non soffrire… per morire sul colpo…

“… allora, dove deve andare?”

“…Eh?”

“Si è messo in coda, vorrà un biglietto, no?”

“Oh, mi scusi. Brignole, andata e ritorno.” …

“…Ecco a lei.”

“Grazie.”

…Tutto pieno, ovviamente… gente in piedi, andiamo avanti, verso il fondo… ah ecco un posto… mmf… mi sento già stanco… Ho quarant’anni, quaranta… quasi. E ancora senz’arte né parte. Però finire sotto il treno mi fa paura. Andare a schiantarmi da qualche parte in auto, magari? Ma pure così non è sicuro. A meno di trovare un burrone su cui saltare…

…Ma perché il treno non parte? … Ascolto i discorsi intorno a me… Tutto bloccato… Un suicida, un uomo si sarebbe suicidato gettandosi sotto un treno… possibile? Possibile? Mi sento male, mi sento mancare, forse dovrei scendere… Ma se non vado al colloquio mia madre non me la perdona… E intanto questi commenti… Li ascolto parlare, un po’ tutti, li vedo e li ascolto e non mi piace nulla di quel che vedo e sento, nulla. La ragazza giovane, bella, si agita nervosa, si alza, guarda fuori dal finestrino, si risiede, lei pensa ai suoi impegni in bilico e l’altra le risponde, così indifferente, così indifferente. …e quelle altre due… le due streghe parlano del poveraccio suicidatosi come se nulla fosse e anche di altre tragedie… ci ironizzano sopra… e quell’altro poi… guarda lì come legge placido il giornale… farà caso ai morti nel mondo con il medesimo interesse di questo qua, immagino… No, no, non mi piace nulla di quel che vedo e sento, proprio nulla…

 

Lara cominciava ad agitarsi. Si alzava, sbirciava fuori dal finestrino, si risedeva, si guardava intorno. Gli altri viaggiatori in apparenza se stavano tranquilli, eppure sentiva di non essere la sola in agitazione. E poi nei treni a due piani si sta troppo strizzati, lei udiva tutto quanto le due vicine dicessero e, insomma, non riusciva a concentrarsi. Alla fine decise di rinunciare per un poco al ripasso e stette ad ascoltare.

“Il mondo è diventato proprio invivibile, omicidi, rapine, attentati, suicidi.” 

“Che tristezza… e chissà poi perché quel poveretto si sarà ucciso?”

“Gli sarà capitato qualcosa di spiacevole e al giorno d’oggi si fa presto a farsi prendere dallo scoramento, pensa che tre anni fa il nipote della mia collega di matematica Trudy Gonzaga, la conosci vero?”

“Non è la moglie di quel tizio che l’anno scorso è stato colpito da ictus allo spettacolo di lirica?”

“Proprio lei. Una scena incredibile, e nel bel mezzo di un acuto del tenore.”

“Mi hanno raccontato, sì. Roba da matti, all’inizio i vicini di posto credevano stesse esprimendo in maniera troppo plateale la propria insoddisfazione per lo spettacolo, poi hanno capito.”

“Bene, suo nipote, pensa, tre anni fa ha tentato di uccidersi con dell’insetticida contro gli scarafaggi e le formiche perché…”

“Con un insetticida hai detto? O questa è bella, non la sapevo, trattarsi da scarafaggio, che orrore.”

“Vero? Anche ‘sto tale però, che modo di morire!”

“Triste, sì, ma pensa che un cugino della moglie del dottor Canesi si è ammazzato provocando apposta un corto circuito. Ha infilato un cacciavite nella presa ed è rimasto fulminato all’istante.”

“Io invece ho letto di un uomo davvero matto. Tu non ci crederai ma è riuscito a uccidersi…”

In quel momento a Lara squillò il telefonino e smise di ascoltare, mentre lo scovava affannosamente dalla borsa e rispondeva.

“Sì, ciao… no guarda, siamo in ritardo di brutto, ho paura che non riusciamo a incontrarci al bar prima dell’appello… sì pare che un tizio si è gettato sotto il treno… proprio… se non si decidono finisce che ci perdiamo l’esame… va bene… ciao.”

“Mi sa che qui non si parte mica.” Sbottò infine, parecchio ad alta voce, non osando lanciare rimproveri diretti a Giacca Armani. Fu udita da mezza carrozza..

“È una bella rottura. Ma quel coglione doveva gettarsi sotto il treno proprio oggi? Io tra poco devo essere in tribunale.” Commentò Giacca Armani, cioè l’ingegner Canevari, a cui non pareva vero di avere un’occasione per scambiare due parole qualsiasi con quella bella ragazza

Lei lo guardò irritata ma anche pensando con soddisfazione come per lo meno pure gli altri passeggeri di dimostrassero stufi marci. Lo vide allentarsi il colletto della cravatta. Come facessero gli uomini a sopportare giacca e cravatta in piena estate per Lara era un mistero insondabile.

“C’è caldo, vero? Non ha scopo tenerci fermi qui a sudare.”

“Colpa della burocrazia, ragazza mia. Tu sei giovane. Sei una studentessa universitaria, vero? Ancora non conosci il mondo. La burocrazia è la piaga del paese. In fondo bastava che qualcuno ordinasse di togliere di mezzo il corpo e facesse ripartire i treni e invece restiamo tutti bloccati.”

 Il medico legale ha terminato il suo compito e il funzionario di polizia se ne sta in disparte a osservare i miseri resti. Alle sue spalle il capostazione impreca infuriato e chiede di continuo a gran voce di spostare il cadavere un po’ più in là, in modo da far ripartire i treni, altrimenti manderanno in tilt l’intera linea.

Certo ha un bel pelo sullo stomaco quell’uomo. Nonostante la spaventosa vista del cadavere maciullato non ha battuto ciglio. Il poliziotto ne è rimasto sorpreso, perché neppure gli addetti ai lavori saprebbero affrontare un simile spettacolo con una così assoluta indifferenza.

Sta per un poco ad ascoltare i ricorrenti sproloqui del capostazione:

“I ritardi si riverberano all’intera giornata e dio sa se i viaggiatori non ci odiano già così.” “E’ uno scandalo che per uno stupido suicidio si perda tutto questo tempo.” Eccetera, eccetera.

E guardarlo male o rimproverarlo è inutile, quell’uomo pare impermeabile a ogni genere di disapprovazione. All’ennesima lamentela del ferroviere il poliziotto finalmente si decide. Dopo tutto gli pare un caso lampante di suicidio e non vale la pena di perderci il sonno.

“Ok, qualcuno ricopra il corpo con un lenzuolo e poi lo sposti da lì, grazie.”

 

Intanto un nero era andato a sporgersi dalla porta di accesso e passando davanti al tizio grasso e baffuto, intuendo che parlava del ritardo domandò cosa succedeva.

“Un uomo si è gettato sotto un treno.”

Il ragazzo senegalese, si trattava di Bé, lo guardò con tanto d’occhi e borbottò qualcosa d’incomprensibile mentre, chissà perché, il ricordo dei pavoni emergeva dalla sua memoria.

“Già, si è gettato, che sarà mai. Perché fai quella faccia, non si suicida nessuno dalle tue parti? È terribile, certo, ma ogni giorno ce n’è una.” Ribadì allora l’obeso.

Lara lo fissò disgustata. L’indifferenza dell’uomo era sgradevole, per non parlare poi dell’altro tipo, che oltre a fissarla con pervicacia ora le sorrideva pure in maniera ammiccante. Ma forse si viveva meglio occupandosi solo di se stessi e lei dopotutto aveva gli studi a cui pensare. Sospirò profondamente, decisa a non farsi condizionare dall’evento del mattino: le tragedie, come ogni altro evento spiacevole, se le ignori e non si vedono è come se non fossero mai accadute.

Quanto poi all’affermazione del signore, in effetti viaggiare sulla linea Genova Ventimiglia era diventato impossibile. Tutti i momenti ce n’era una. Certo, stavolta si trattava di un caso particolare, però secondo suo fratello, di quindici anni più anziano di lei, ai tempi in cui lui frequentava l’università le ferrovie funzionavano molto meglio e i treni erano sempre accettabilmente puntuali. Più si va avanti e più si peggiora, incredibile.

In quel momento l’attenzione di Lara fu attratta da un uomo seduto dall’altro lato del corridoietto, perché fissava i passeggeri con un’aria così sconvolta e allucinata da metterla a disagio. Lo guardò incuriosita, spalancando i suoi splendidi occhi grigio celesti. Questi pareva la tristezza fatta persona ed era soprappeso, spettinato e con la calvizie incipiente, due occhiaie profonde e la barba di almeno tre giorni. Portava vestiti che parevano scelti a caso: una giacca a doppio petto blu economica e una camicia bianca, una cravatta a rigoni verdi e gialli, pacchiana e piuttosto stonata, blu jeans sdruciti e un paio di mocassini che avevano conosciuto tempi migliori, da uno dei quali si vedeva spuntare, grazie alla gamba destra accavallata, uno stinto calzino amaranto, in origine macchiettato di verde, ma dal filo che formava i pois ormai sfilacciato. Costui non aveva cura di se stesso e doveva soffrire, lo si sentiva, ma non era affar suo.

Lara fece mentalmente spallucce e tornò alle sue preoccupazioni. Si rivolse dunque all’amica, la quale non aveva ancora distolto la concentrazione dal libro di testo.

“Finisce che ci perdiamo sul serio l’appello, Miriam.”

“Chissà, forse è meglio così, non so nulla.”

“Ma non dire sciocchezze, che ormai ne saprai più del professore.”

“Non è vero, non mi ricordo più niente, ho una fifa nera, accidenti. Forse è una fortuna che quello sfigato si è gettato, così ho una scusa per rinviare l’esame e studiare un altro po’.”

Udendo Miriam, il tipo intento a leggere il giornale interruppe la lettura, la fissò per un momento e infine sentenziò:

“Se uno non ha proprio niente di meglio da fare che uccidersi, potrebbe almeno ammazzarsi in casa propria dove non disturba nessuno, qui io ci perdo la giornata.”

“Per arrivare a tanto doveva soffrire molto, forse aveva una malattia incurabile.” Lara si sforzava di immedesimarsi in quel poveraccio, ma arrivare a togliersi la vita le pareva inconcepibile.

“Cazzi suoi, chi se ne frega, diavolo. Per colpa sua io oggi farò tardi al lavoro, si rende conto?”

“A me invece mi hanno incastrato a seguire un processo come giudice popolare. Mi aspetteranno per iniziare? E se arrivo in ritardo in tribunale sarò giustificato? Accidenti, se non partecipo alla seduta forse non sono giustificato neppure nel mio studio. Non ne ho proprio idea. Che casino. Quasi quasi forse faccio meglio a scendere e prendere l’auto.”

“E se andassimo in auto anche noi?” Suggerì Lara all’amica.

“Prima che arriviamo a casa, recuperiamo le chiavi e l’auto e partiamo è capace che passa mezz’ora e poi in autostrada a quest’ora intorno a Genova c’è traffico. L’appello ce lo perdiamo lo stesso.”

“Potrei darvi uno strappo io, ragazze.”

“Non occorre, grazie.” Rispose Lara, brusca. Senza il rischio di restare in piedi si sarebbe allontanata. Quell’uomo avrà avuto 20-25 anni più di lei, ma che voleva! Cominciava a odiarlo.

All’improvviso si udirono rumori e voci concitate alle loro spalle. Tutti allora si voltarono a guardare. Il giovane africano stava dando in smanie sul fondo della carrozza.

“Cosa gli piglia a quel benedetto ragazzo? Si chiese ad alta voce l’ingegnere.

“Perché ‘sti negri e arabi di merda non se ne stanno sui loro alberi a mangiar banane, invece di venire da noi a piantar grane?” Sbottò invece il lettore di giornale. Si trattava di Marongiu, l’impiegato: era un razzista convinto e non perdeva mai occasione di dimostrarlo.

A quelle parole l’ingegnere, Lara e Miriam si agitarono scandalizzati. Nei sedili dietro a loro pure Virginia, l’insegnante in tailleur crema incontrata presso i taxi dalle due vicine di casa, guardò male Marongiu senza però interloquire. Altrettanto fece un passeggero con occhiali fotocromatici, capelli assai lunghi trattenuti da un fermacapelli blu e una t-shirt blu con su stampati tanti Titti inseguiti da un Silvestro, che da quel momento sospese la lettura del suo giornale con aria stizzita.

“Certo il mondo è cambiato, siamo invasi dagli extracomunitari, la gente prende e si getta sotto un treno, un tempo era tutto diverso.” Fu invece la perla offerta da Maria Pia D’Aliesio.

“Il suicidio è peccato mortale e quell’uomo finirà di sicuro all’inferno.” Sentenziò Anna Cerone.

“Oh meno male, guardate, stiamo partendo.”

“Era l’ora. Se arrivo tardi in tribunale querelo le ferrovie, parola mia. Scioperi, disservizi, sporcizia, bisognerebbe licenziare tutti i ferrovieri e sostituirli con qualcuno che voglia lavorare sul serio.”

“E magari vendere alle ferrovie tedesche. In effetti scommetto che con i crucchi i treni diventerebbero efficienti, almeno finché lo stato non ci mette becco.” Aggiunse il capellone.

“Ehi, chissà se riusciamo a vedere il morto.” Esclamò a quel punto un ragazzino lì accanto.

“Dai, guardiamo.” Rise l’amico.

I due, l’uno piccino di statura, con il codino, italiano ma pallido di colorito e biondissimo, perfino più della maggior parte degli stessi scandinavi e l’altro snello pure lui ma assai più alto, bruno e con una piega corta fresca di barbiere, si affacciarono al finestrino.

Erano i quindicenni urtati in stazione da Isaia Mollo. Con le scuole finite da un pezzo quel giorno avevano optato per una gita a Genova, a zonzo in mattinata e all’acquario nel pomeriggio, dove speravano di riuscire a entrare senza pagare. Ai due si era unito un coetaneo abbronzato e atletico, giunto in stazione molto più per tempo rispetto a loro e poi costretto ad attenderli a lungo.

Questi pure si volse a guardare da una parte e dall’altra nel tentativo di individuare la salma.

“Ehi, eccolo!” Esclamò infine, alzandosi di scatto.

“Con quel lenzuolo non si capiva mica.””

“Era senza testa ti dico, ne sono sicurissimo.”

“Non fate così ragazzi, un uomo soffriva ed è morto per questo, non dovreste riderci sopra, non sta bene. Non è giusto restare indifferenti di fronte ai dolori altrui, almeno voi, che siete ancora così giovani.” Intervenne la signora Virginia, seduta di fianco ai ragazzi.

Sinceramente dispiaciuta per quanto accaduto quella mattina, aveva in parte ascoltato il surreale chiacchiericcio sviluppatosi alle sue spalle e ne era rimasta scioccata. Soprattutto era scossa dall’insensibilità mostrata dalla ex collega, perché non la immaginava tanto vuota.

Il biondino la guardò con aria canzonatoria ma un poco anche incerta e poi fece spallucce senza dir nulla. Poi lui, il bruno e il ragazzo atletico tornarono a sedersi e ripresero a commentare tra loro più a bassa voce l’eccitante novità, finendo però presto per annoiarsene e cambiare argomento. Intanto Marongiu, così come gli altri passeggeri solitari, si disinteressava ormai alla conversazione ed era tornato alla lettura del suo giornale, mentre le persone venute in compagnia si limitavano a dialogare tra di loro. Ben presto il volume del chiacchiericcio si attenuò fino a essere sovrastato dal frastuono prodotto dal treno in movimento. Il regionale trascinava con sé tutti i passeggeri.

Miriam rimase assorta a guardare attraverso il finestrino finché non entrarono in una galleria.

“Ha tre quarti d’ora di ritardo. Forse siamo ancora in tempo per l’appello.” Esclamò poi.

“Speriamo.”

“Sarà meglio riprendere a ripassare.”

“Senti Miriam, ci sono un paio di cose che non ho ben capito e vorrei chiederti…”

…Più tardi Marongiu si affacciò al finestrino, scorse chi attendeva e prese a sbracciarsi.

Un minuto dopo l’amico lo raggiunse.

“Come mai questo ritardo?”

“Niente di serio, uno sfigato si è buttato sotto il treno.”

“Ah, meno male, mi preoccupavo. Se cominciano problemi sistematici pure all’andata siamo fritti. Proprio ora poi che da un paio di settimane si viaggia abbastanza in orario.”

“Non c’è comunque da fidarsi. Stasera comincia un altro sciopero di ventiquattrore, hai sentito?”

“No, mi era sfuggito, cazzo. Bastardi, morissero tutti…”

 

Ah no, adesso basta. Da un pezzo ascolto trasecolato i discorsi dei passeggeri in viaggio insieme a me. Morissero tutti e niente di serio, uno sfigato si è buttato sotto il treno?! Niente di serio?! Un essere umano è morto, morto! Lo capiscono o no? Una esistenza intera, gioie e dolori, legami, amicizie, successi e delusioni, è tutto cancellato per sempre e non gliene importa niente a nessuno. Per tutti è solo un fastidio, una scocciatura o addirittura un motivo di divertimento, come per quei tre ragazzini.

Terribile. Mi verrebbe da urlare, urlare, insultare tutti, ma me ne vergogno.

E poi capisco che forse sarebbe così pure per me, se solo fossi in pace con me stesso. In un altro momento avrei partecipato ai loro discorsi con la medesima indifferenza. Credo sia inevitabile. È la psiche umana. Se non proprio giusto almeno inevitabile, davvero: siamo tutti troppo presi da noi stessi, troppo egoisti, è una forma di autodifesa. Lo sono anch’io, sì, io che mi crogiolo da mesi nel mio dolore, io che so pensare solo a quanto sono sfortunato, a quanto il mondo sia contro di me ed esclusivamente contro di me…

Egoismo, puro egoismo. Ognuno pensa solo ai fatti suoi, ecco la verità. Uomini, davvero noi siamo uomini? Appartenenti alla specie Homo sapiens? Tutto questo vuol dire essere uomini?...

…Avrei voluto parlare con quello sconosciuto, sapere, capire… aiutarlo, magari, dirgli che esiste sempre un rimedio a tutto, finché si è al mondo…

… E vorrei cambiare. In fondo per capirsi basterebbe conoscersi, ma io sto troppo chiuso in me stesso. Sabato scorso… solo ora me ne rendo conto… sabato Valentina era preoccupata per me! Gliela si leggeva in faccia la preoccupazione.

“Sei sempre giù, qualcosa non va? Perché non vieni a casa mia una di queste sere a parlarmene?

Io non l’ho neppure ascoltata. Ero troppo preso a compatirmi, troppo avanti lungo la mia china discendente per ascoltare qualcuno. Ma stasera la chiamo, ho bisogno di parlare liberamente con chi mi può capire. Ho bisogno di ricevere due coccole, metaforiche magari, ma pur sempre coccole…

…Tutto ciò mi sta facendo uno strano effetto… sì, non sono più così sicuro di voler morire…

…Vivere, conta solo vivere, il più a lungo possibile. Ora lo so. Tirare avanti e pazientare. Se c’è tempo, tempo a sufficienza, tutto passa. Non sarà questo mondo di merda ad averla vinta!

Ogni problema si risolverà… o forse no… ma mi adatterò, mi abituerò, e sarò ancora vivo. Stasera dopo cena potrò di nuovo sedermi sul balcone di casa mia e guardare il volo felice delle rondini. Può sembrare stupido ma mi piace guardare le rondini, le contemplerei per ore…

…E niente più donne tra i piedi. In fondo da solo sono sempre stato bene, quando ci credevo, quando non me ne crucciavo a priori. Invece ogni volta che mi son messo con una donna me ne son pentito e la vita mi è diventata un inferno… Niente più pretese, allora e poi quel che sarà, sarà…

Invece l’anno prossimo voglio andarmene da qualche parte con gli amici. Sono tanti anni che non faccio una vacanza. Conoscere gente nuova, paesi nuovi. Mi piacerebbe andare in Scandinavia… pure la Spagna deve essere bellissima. Siviglia, Madrid, Toledo… o magari… in Messico … o in Russia … in mille posti, mille. Risparmierò per potermici recare. Dovrà pur andarmi bene, prima o poi. Anche in teatro. In fondo forse non è impossibile ricominciare. Potrei parlarne con Giorgio, tanto ci vediamo spesso. Provare a organizzare un corso insieme a lui… comunque non arrendermi… Organizzare un corso, sì, forze nuove ed entusiaste, strano, non ci avevo mai pensato.

Soprattutto non voglio morire, non più. Voglio poter vedere il mondo di domani e non voglio far soffrire chi mi vuole bene, come Valentina, come Giorgio o come mio padre… E poi non  sopporto il pensiero dell’indifferenza generale, il disinteresse della gente. Essere il soggetto dell’ironia altrui. Solo essere vivi conta, fare, pensare, ammirare le rondini, anche solo respirare, accidenti, ora lo capisco. Quando sei morto non sei più nulla, solo polvere. Gli altri vanno avanti e presto tu sei dimenticato. Mi vengono in mente un paio di persone che conoscevo. Sono decedute da pochi anni eppure non le ricordo nemmeno più, come se la loro scomparsa fosse lontanissima, cancellata, perduta nei meandri dello spazio tempo. Prima o poi sarà inevitabile per tutti, ma perché affrettare i tempi? Io non voglio essere cancellato, trovo il solo pensiero insopportabile.

Quella conoscente di mia madre, la signora Profeta. Figurarsela mentre incontra ‘ste due streghe:

“Conoscete la signora Mollo? Pensate che suo figlio…” Due finti compatimenti per poi finire nel dimenticatoio e via con un altro vacuo discorso. No, no, per carità.

E poi un credente può sempre sperare nell’aldilà, nel trovare dopo la morte quanto gli è mancato sulla terra, ma io no. Io non credo in Dio, io sono ateo. Per me conta solo restare vivi. Abbiamo solo questa esistenza e dobbiamo tenercela stretta, perché dopo non c’è nulla, c’è il nulla.

…Sì, continuerò a vivere, nonostante tutto, ho deciso… E qualcosa di buono prima o poi dovrà accadere… dovrà, ne sono sicuro.

 

Era già metà pomeriggio quando Isaia Mollo risalì in treno, dopo aver trovato anche il tempo di mangiarsi un panino in un bar e poi fare quattro passi in centro, che tanto non aveva alcuna fretta. Dubitava circa la riuscita del colloquio ma non gliene importava. Era anzi meglio così, non sarebbe stato il lavoro giusto per lui, lo sentiva. Qualcosa di preferibile sarebbe saltato fuori, prima o poi. Si sentiva più sereno e rilassato, con quell’appuntamento ormai alle spalle e dimenticato. E sua madre dicesse pure ciò che voleva, tanto a lui non importava più. Invece appena tornato a casa avrebbe chiamato la sua amica Valentina e le avrebbe chiesto se poteva andare a trovarla. Aveva tanto da confidarle, tanto da sfogarsi. E poi avrebbe contatto pure Giorgio.

Percorrendo le carrozze vide le due streghe dell’andata entrare in uno scompartimento trascinandosi una montagna di pacchetti. Nello scomparto successivo riconobbe pure l’uomo elegante diretto in tribunale. Gli rivolse una rapida occhiata. Pareva perfino più irritato di quanto già non fosse stato la mattina presto, qualcosa di certo gli doveva essere andato storto. Isaia tirò dritto, deciso a tenersi il più possibile lontano da quelle spiacevoli persone.

Si accomodò due carrozze più avanti. Poco dopo gli sedettero casualmente a fianco le studentesse dell’andata. Chiacchieravano allegre, felici dell’esame superato con successo. Avevano un’aria vitale e gli venne da salutarle come se le conoscesse. Entrambe risposero educatamente al saluto.  

Lara all’andata era rimasta colpita da quell’uomo e lo riconobbe. Lo trovò però diverso, più sereno. Pareva ringiovanito di diversi anni. Le poche ore trascorse lo avevano trasfigurato. Lara d’istinto gli sorrise amichevolmente, prima di riprendere la conversazione con l’amica.

25/01/08 Fine. Massimo Bianco.