versione stampabile 

Senatores boni viri?

di Sergio Giuliani

 


Marco Bertolotto si è autocandidato alle prossime elezioni

Colpisce sempre la pesantezza, anche se per bocca di un politico locale, che dichiara di autocandidarsi al Senato. Segno dei tempi, si dirà, e del prepotere politico per cui, come nel gioco della dama, ogni pedina che sgattaiola nelle caselle di fondo dell’avversario raddoppia ed esce coronata.

E il peggio è che non ci se ne accorge neppure; tanto la “gente” obbedisce, subisce ed è irresponsabile e contenta.

Ceppaloni festante vale assai più di un’assoluzione in tribunale, tanto da pensionare la magistratura tutta. E non la si chiami vox populi; semmai vox plebis.

E allora, dove radicare l’albero della democrazia, la lecita, convinta chiamata dei migliori, adatti e preparati a reggere la cosa pubblica? E dire che non c’è che la “gente”, quella che “marcia” convogliata in piazza dalle grida: non certo cosciente quanto a valori politici, ma arrabbiata contro qualcuno, spesso in modo irriflessivo e vociante, impaurita del futuro prossimo, incapace o senza voglia di faticare ad orientarsi nel politico arcipelago complesso, urlante per sentire soltanto la propria voce. Quella gente che va ad ascoltare il Papa per fotografarlo, indicarlo ai bambini e poter dire “io c’ero, all’evento”, salvo poi non obbedire, se non proprio quanto fa comodo, ai comandamenti; quella gente che sogna televisive fortune e giochi e va dietro ad un leader politico soltanto guardando con invidia ai suoi soldi ed alle sue veline ha  - e tocca a noi democratici dolorosamente ricordarlo – pieno diritto di voto, pur se, spesso, scriteriato e superficiale.

Probabilmente, la qualità di una democrazia si misura dalla presenza fecondante del “ceto medio riflessivo”,che coltiva, per ricordi di scuola, per educazione e per esperienze, una serie di valori civici che mette di continuo a prova e che riscatta dalla polvere che vi si può essere accumulata.

Le democrazie sono esseri viventi, che alternano, forse, pause e crescite, cieli azzurri ed obnubilamenti. E’ facile capire che oggi, davanti a questioni politiche ed economiche assai serie e nuove, c’è sconcerto, vecchia attrezzeria che è di ostacolo e in sostanza affronto superficiale. Tutto questo si esprime con la formula mediatica “sfiducia nella politica” ad arte gonfiata da chi, in tal modo, senza dover rendere conti, si trova la via spianata al potere.

Achille Lauro con un giocatore del Napoli

La mia generazione ha conosciuto altri tempi, quelli in cui ci si avvicinava al potere legislativo con emozione e tremore, sentendo tutta la gravità di un’incombenza quasi mai cercata ma nella quale, per modo di dire, si veniva ad inciampare per aver ben agito, nettamente ed alla luce del sole, in incarichi precedenti di minor conto. E a verificare la qualità della scelta era non “gente”, ma il popolo, ovvero l’insieme dell’elettorato attivo che prendeva coscienza della responsabilità del voto e decideva.

Probabilmente era importante l’azione-filtro dei partiti, allora ben riconoscibili e marcati nettamente dalle loro ideologie sociali che seguivano il popolo e ne erano seguiti in una simbiosi assai efficace.

Qualche ricordo: Luigi Einaudi accettò l’elezione a Presidente della Repubblica solo perché rassicurato sul fatto che il suo essere claudicante non era disonorevole per la funzione; la grande piazza Mameli a Savona si riempiva fino all’inverosimile per ascoltare i comizi dei leaders nazionali; i giornali radio e la stampa trattavano molto e di sicuro noiosamente le questioni politiche, con poche sbrodolature scandalistiche (fece eccezione, ricordo, il caso Montesi) e con tanto meno frivolezze e…calcio.

Certo; anche allora Lauro divenne sindaco di Napoli comprando per 105 milioni l’attaccante Jeppson: ma altrove ribollivano fermento, voglia di capire, di contare, di conoscere; voglia d’internazionalismo, di cultura, di scuola, di libertà di idee e Lauro era l’eccezione che si poteva curare. Poi…

Ma da quando è nata questa tracotanza di decidere le candidature a stanze chiuse, a peso di tessere, senza lasciare al cittadino neppure più la preferenza sulla scheda? E chi vi si è davvero opposto? Chi ha davvero agito diversamente, anche “da sinistra”?

Ricordo come venivano canzonati i comunisti che, per non disperdere preferenze, davano indicazioni settore per settore e tanta gente, buona e rispettabile, andava in cabina col facsimile della scheda e ricopiava i numeri preindicati. Non era democrazia completa, forse; ma era democratico il rapporto tra elettori e partiti, tra esigenze di “base” e formazione di un quadro di iniziative politiche coordinate per affrontarle.

Bene fa, da qualche anno, la sinistra ad indire elezioni primarie che non siano soltanto corse ai gazebo, ma occasioni di confronto. Una ci è stata data anche domenica scorsa e sono soddisfatto, da democratico (spero!) di avervi partecipato. E’ lì, guardando in viso il “popolo” che si ritiene nostro, che si guadagnano candidature (non sinecure!) stressanti ed impegnative perché l’agire politico si è fatto molto pesante emper intervenirvi, occorrono molto buoni e democratici muscoli.

       Sergio Giuliani