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Savona/A confronto, grazie ad un libro, il generale e il maresciallo

<LA MIA VERITA’

SULLE BOMBE>

Autori, mandanti, insabbiatori. Quel giovane senza memoria. Quella targa di auto e i suoi tre occupanti. Quel fermo non convalidato dal magistrato. E una sentenza di Fiorenza Giorgi.

 La presentazione del primo libro dedicato ai 14 attentati del 1974-75, scritto da Massimo Macciò, con testimonianze e documenti, ha offerto un dibattito con spunti interessanti. Per la prima volta ha “testimoniato” in pubblico uno dei protagonisti delle indagini, il maresciallo Moretti. Il “disaccordo” con il generale Bozzo che parla anche del “Grande Vecchio”, di Calabresi, di Dalla Chiesa. Moretti insiste, c’era la pista savonese. Bozzo indica una più vasta strategia della destra eversiva e di settori istituzionali dello Stato, con palesi deviazioni. Tra i partecipanti l’avvocato Brunetti, il sindacalista Imovigli, Michele Costantini. 

di Luciano Corrado

 


Albenga, il maresciallo Pietro Moretti, in giacca e cravatta, vicino ad un carabiniere, Voltato con un fascicolo, l'allora procuratore della Repubblica, Boccia. Davanti a lui, con gli occhiali il corrispondente de La Stampa di Albenga, Stefano Pezzini. Al suo fianco il maresciallo Antonio Stefanì che comandava la polizia giudiziaria di Albenga. Sulla destra, un calvo, Ernani Iezzi, corrispondente del Secolo XIX. Vicino a lui, Luciano Corrado. La foto, dell'aprile 1979, in occasione del delitto di un ingegnere tedesco, trovato ucciso nell'alveo del Centa. Uno dei tanti delitti impuniti (36 o forse 44) della nostra provincia dal 1950 ad oggi. 

SAVONA - <Credo che nell’arco di un anno, sulle “bombe di Savona”, ne sapremo finalmente qualcosa di più. Sono fiducioso, l’indagine giudiziaria non è stata affatto archiviata. Presumo che ci saranno interessanti novità. Ringrazio quanti hanno voluto essere presenti in questa circostanza ed hanno dato la loro disinteressata collaborazione>.

Chiude con queste parole la serata di venerdì, 8 febbraio, alla libreria Ubik di Stefano Milano, di corso Italia, l’autore del libro, fresco di stampa, “Le bombe di Savona – Chi c’era racconta”, Massimo Macciò.

Non è un giornalista, ma un insegnante di Diritto ed Economia al liceo sociale Della Rovere di Savona. E’ alla sua prima esperienza di scrittore ed il volume (162 pagine) ha il pregio di offrire documentazione e testimonianze riunite, assemblate, in modo da offrire quantomeno un primo spaccato, per “fare memoria”, su un periodo assai travagliato e zeppo di misteri della storia di Savona, città Medaglia d’oro della Resistenza.

Si tratta della prima parte di una meticolosa ricerca “storica”, di atti, documenti, ritagli stampa (a volte molto utili, come ha rimarcato lo stesso Macciò), che dovrebbero sfociare in una

 seconda edizione, con risultati significativi. Vale a dire aprire un ulteriore squarcio di luce (l’autorità giudiziaria svolge da parte sua un lavoro istituzionale) su quegli eventi. Mettere, insomma, alcuni paletti che vadano al di là di tesi più o meno contrapposte, divergenti, con molto fumo e poco arrosto.

Un libro che ha anche il pregio di offrire una serie di risposte ai molti interrogativi. La serata di presentazione in libreria ha riproposto soprattutto due tesi proprio ad opera di persone qualificate, “titolate” che si sono occupate in prima persona di quei fatti, delle indagini.

Il generale Nicolò Bozzo, allora ten. col. Comandante provinciale dei carabinieri di Savona ed il maresciallo dei carabinieri, Pietro Moretti, che fu comandante della squadra di polizia giudiziaria.


                  L' Avvocato Renzo Brunetti

Tra i presenti alla serata alcuni “testimoni” di quel periodo che hanno collaborato con l’autore, rispondendo alle sue domande e sono intervenuti riproponendo la loro visuale ed analisi. L’avvocato Renzo Brunetti (esponente della prima ora del Pri e della massoneria di Palazzo Giustiniani) che ha definito “sciocchezze chi addebita al Pri mancate prese di posizione ufficiali, almeno sui giornali, in merito agli attentati di Savona”. Brunetti ha posto l’accento sull’esordio con l’esplosione nel portone del palazzo dove abitava il senatore democristiano Varaldo. Più di un avvertimento. E’ intervenuto anche, sempre seguendo un filone socio-politico, Santo Imovigli che per 10 anni (1979-1980) fu segretario della Camera del Lavoro.  

Il primo ad essere chiamato, dal moderatore ed intervistatore Michele Costantini, collaboratore de La Stampa-Savona, è stato proprio Moretti, accolto da un applauso.

 Il sottufficiale in pensione non ha deluso. Ha rispettato il ruolo dell’investigatore. Le indagini devono trarre conclusioni concrete ed univoche. Basarsi su prove e riscontri. Ebbene il “Moretti pensiero”, a distanza di decenni dal suo lavoro investigativo, dice: <Sono del parere che se gli autori dei 14 attentati, dispersi tra Vado e Varazze, avessero avuto alle spalle un’organizzazione eversiva degna di questo nome avrebbero provocato ben altri danni. Invece…e non so neppure se fossero di destra o di sinistra, il colore non mi interessava. I risultati si….>

Tesi che non è condivisa dal generale Bozzo, grazie alle sue esperienze in settori vitali dell’apparato investigativo dei carabinieri, soprattutto stretto collaboratore di Dalla Chiesa negli anni cruciali del terrorismo e della strategia della tensione. Bozzo ha parlato, tra l’altro, dell’esistenza del “Grande Vecchio” (indicato in Corrado Simioni, rifugiato a Parigi), argomento caro a Bettino Craxi.

Bozzo ha citato esempi, testimonianze (generale Dalla Chiesa) sui responsabili e mandanti della stagione delle “bombe” e della “strategia della tensione”. Matrice la destra ed ambienti americani ben individuabili, strage di Ustica compresa, obiettivo Gheddafi, ha rimarcato l’alto ufficiale della Benemerita in pensione. Cose che Bozzo afferma di aver riferito pure alla Commissione parlamentare d’inchiesta, <senza alcuna reazione dei suoi componenti>.

A suo dire anche Savona era entrata in quell’ottica, aggiungendo di aver letto con grande interesse, condividendole, le analisi-conclusioni finali sulle “bombe di Savona” del giudice istruttore Fiorenza Giorgi. <Sono di una lucidità ed analisi impeccabile, che sottoscrivo – ha rimarcato>.

Una quasi “prova del nove” starebbe nel fatto che l’apparato dello Stato che doveva coordinare, approfondire a vasto raggio, l’indagine sugli attentati (di Savona) era praticamente assente, latitante, ad iniziare proprio dai carabinieri.

< A proposito – ha incalzato – vorrei chiedere a Moretti, cogliendo questa occasione, che aiuto ricevettero, allora, dal nostro reparto specializzato in attentati di matrice terroristica e che all’epoca aveva il comando a Torino, poi trasferito a Milano>.


Nella foto d'archivio di Gallo, l'allora comandante dei carabinieri a Savona, Nicolò Bozzo con Rocco Peluffo, già presidente "A Campanassa"

Il maresciallo Moretti: <E’ venuto un capitano, mi pare si chiamasse Seno, non ci fu di grande aiuto…ma anche da Genova non ci fu grande aiuto>

Se Bozzo non ha dubbi sulla matrice di destra ed eversiva, Moretti davanti alla platea ha ribadito: <Mi sono occupato a fondo dell’attentato al traliccio di Madonna degli Angeli e di questo posso parlare con cognizione di causa…posso ritenere che per altri attentati ci sia stata anche una paternità che definirei ragazzate…E’ una mia supposizione>.

Bozzo: <Non possiamo dimenticare che l’attentato alla linea Savona- Torino, senza l’intervento di un agricoltore che diede in tempo utile l’allarme, avrebbe causato una strage, il treno sarebbe precipitato e c’erano una sessantina di passeggeri>.

Moretti: <Parlo della mia esperienza diretta delle indagini e delle circostanze emerse per l’attentato al traliccio. E’ qui presentei il maresciallo Devola, poi comandante della stazione di Celle Ligure. Abitava e operava allora a Savona, fu lui a segnalare che tre giovani avevano preso il numero di targa della Fiat 126 verde, vista scendere a forte velocità subito dopo l’esplosione a Madonna degli Angeli. Uno dei ragazzi scrisse quel numero sulla mano e lo riferì, descrivendo anche che a bordo c’erano tre occupanti. Una descrizione precisa, chi guidava aveva un paio di occhiali da vista a goccia…a fianco un giovane moro, dietro un altro giovane con i capelli rossicci…Individuato il proprietario dell’auto, tale Pellero di Quiliano, ci ha riferito che la vettura era affidata al nipote Attilio. L’abbiamo rintracciato il giorno dopo, ma non è stato in grado di dirci come avesse trascorso il pomeriggio in cui avvenne l’attentato. E più precisamente le due ore…ci indicò una cartoleria, senza risultati. Parlò di  due amici che aveva incontrato…e con i quali condivideva gli studi. Come carabinieri, allora comandati dal capitano Fenu, chiedemmo alla Procura della Repubblica la convalida del fermo di Attilio Pellero, ma non fu convalidato…chiedemmo altri accertamenti, il magistrato non rispose…Aggiungo che personalmente feci tutte le segnalazioni agli organi competenti, a tutti. Ebbene quando fu riaperta l’indagine dalla Procura generale di Genova che avocò gli atti, fui interrogato per cinque ore e mi venne contestato che avrei dovuto avvertire la procura generale stessa…Dunque la colpa era mia?>.

Moretti ha aggiunto: <Prima di entrare in questa sala un giornalista mi ha fatto osservare che anche Agostino Sansone, segretario del Msi di Borghetto S. Spirito, fu arrestato per detenzione di esplosivo, emersero strane coincidenze, le indagini dell’allora Pm, Tiziana Parenti, ebbero delle lacune…e Sansone usava ed affidava alla manovalanza una Fiat 126 verde…Ho risposto che quell’auto non aveva la stessa targa e nessuno del giro di Sansone corrispondeva alla descrizione dei tre giovani visti scendere da Madonna degli Angeli quel pomeriggio. Registro infine che dopo l’identificazione di Pellero, avvenne un solo attentato al forte di Monte Ciuto che potrei collegare col desiderio di volersi disfare del materiale esplosivo….Non stava a me trarre conclusioni. Nè faccio illazioni, riporto degli atti, ma ci rimasi davvero male quando hanno cercato di addossarmi colpe che non avevo>.

E' l'unica foto d'archivio (di Gallo) del giudice Leonardo Frisani, nel suo ufficio di Savona e che si occupò dell'inchiesta sulle bombe. Di spalle l'avvocato Angelo Luciano Germano e l'allora il cancelliere capo Pietro Venturino

Il generale Bozzo ha rivelato (è la prima volta?) che incontrò anche il commissario Luigi Calabresi (fu ucciso): <Gli chiesi cosa ne pensasse di piazza Fontana e mi disse che stava indagando su un traffico di armi ed esplosivo dalla Svizzera all’Italia, aggiunse “sono in difficoltà, i superiori non mi credono..”. Si indagò in quel periodo anche su Nardi, rifugiato in Spagna e morto in un misterioso incidente d’auto…>.

Insomma a Bozzo sembra davvero difficile che negli attentati di Savona non ci sia stata una “manina”, una “regia”. Ma le sue restano ipotesi, desunzioni. Per la giustizia non sono sufficienti.

Il maresciallo Moretti  preferisce far “parlare” gli atti, quelli a sua conoscenza diretta. Non divaga su fronti che non conosce personalmente.

Si riuscirà – a 33 anni di distanza – a riscrivere quella storia? Massimo Maccio sta facendo la sua parte, con scrupolo, diligenza, serietà, hanno ricordato alcuni intervenuti.

Non sappiamo se dopo la “brutta figura”, il “flop” realizzato un anno fa, anche con la collaborazione del Comune di Savona (vedi l’articolo documentato scritto sul blog “Uomini Liberi” la scorsa settimana), l’ingresso e la rapidissima uscita di un “giallista”, capace e bravo, come Lucarelli, il pressappochismo dimostrato dai “tuttologi”, si potrà cementare una pietra miliare sul “grande mistero”.

Un suggerimento non richiesto: purchè, nel tirare le somme, si dia la parola agli atti e si lasci parlare “chi sa”, “chi c’era”, chi seguì eventi ed indagini “in diretta”. Altrimenti si continuerà ad abbaiare alla luna. A distribuire lezioni di profilassi. Nel frattempo sarebbe segno di concretezza, se le istituzioni (Comune di Savona in prima linea) ritenessero utile far conoscere ai giovani delle scuole il libro sulle “bombe”. Come documentazione storica. Per non dimenticare e per non essere disinformati, per essere informati. Poi ognuno trarrà le sue conclusioni.

Luciano Corrado