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La Shoah … a tra un anno!

di Sergio Giuliani

 

Io non saprei dire se un valore lo si offende meno dimenticandolo o celebrandolo ritualmente. Forse sarebbe cosa giusta insegnarlo, ovvero al di là delle cerimonie e dei discorsi di dovere e situato in un contesto storico, politico e sociale che ci consenta non certo di capirlo integralmente, ma, almeno, di avvicinarsi con rettitudine e fuor di retorica a un qualcosa che, ancor oggi, ha dell’incredibile.

E invece no! Abbaiamo per far posto alle foibe, ai gulag (perché non anche ai campi pressoché di eliminazione che gli italiani istituirono nelle isole dalmatiche per detenervi prigionieri libici, rei di combattere per la loro terra o deportati della guerra di occupazione delle terre slave?); c’è uno sgomitare per istituire “giorni della memoria”, come se ogni parte politica volesse il suo per trattarlo con arroganza.

Siamo perfettamente consapevoli che in ognuno dei casi sopra ricordati ci fu delinquenza criminale, che va nettamente condannata, ma non solo con le parole, sebbene agendo perché non se ne ricrei il brodo di coltura. Ma la storia ci insegna a porre delle necessarie differenze: è vero che si opprime per eliminarla la “pianta uomo” (e allora Guantanamo, Abu Graib, Hiroshima, Dresda? Fino a che punto azioni lecite?), ma con modalità e casistiche ben diverse.

Caratteristica della Shoah fu il non colpire un “nemico” (azione, se non sempre, quasi sempre riprovevole),un invasore,un terrorista, uno che aveva combinato l’attacco alla Polonia 1939 o Pearl Harbor), ma un innocente e con scientifico accanimento inteso alla distruzione totale di una cultura e di un ‘etnia tra le più antiche sulla terra. E il tutto per motivi di espansionismo, di rimozione di ogni ostacolo all’imporsi di una cultura totalitaria e dissennata, di acquisire forza-lavoro di schiavi e di sequestrare i beni di tutta una comunità per gettarli nel calderone di una guerra che si faceva via via insostenibile per chi l’aveva voluta con tracotanza cinica.

Retoricare per un giorno e poi riporre le bandiere è cosa facile. La “memoria” non è sul calendario, ma deve incarnarsi, diventare coscienza, esperienza, tormento che rode. Non pacificheremo certo i morti ed i sofferenti se non assumendoci la loro tragedia, fino a starne male ed a riconoscere come maledetti i gingilli infantili e falsoquieti di cui facciamo vita quotidiana.

Dovremmo saper rifare le loro parole portate via disossidando cultura, interesse al capire, senso dell’appartenenza a una collettività; in una parola studiando, studiandoci, senza diaframmi di comodo.

Studiare perché il trattato di pace del 1918 volle creare le basi per la ripresa del conflitto, tanto che gli storici prendono a considerarlo un armistizio; perché la Chiesa cattolica non volle o non potè denunciare l’esistenza dei lager e contemporaneamente ebbe tanto coraggio da riempire il Vaticano di ebrei e perseguitati politici,assisterli e portarli a salvezza; perché l’Armata rossa, a due passi dal Ghetto di Varsavia nulla fece per dar soccorso agli insorti e permise che fossero massacrati e soprattutto perché e come i totalitarismi riescono a rimuovere le coscienze e i valori etici delle persone sostituendoli con la fanatica e maniacale obbedienza agli ordini superiori ed all’interesse nazionale (la giustificazione sfrontata di Eichmann al processo di Gerusalemme).

Perché un inquinamento non si ripeta, occorre che la bonifica non sia una passata superficiale di detersivo, ma un intervento meticoloso e deciso, sia pur costoso e bisogna non aver paura dell’immensità e della radicalità del lavoro.

Dobbiamo ai milioni di persone fatte finire nel silenzio un percorso faticoso per risentire le loro voci e dobbiamo capire che si identifica col lavoro per costruire una nazione, la nostra che, se ha difetti (e ne ha tanti!) e manchevolezze sociali, queste dipendono dal non aver arato in profondo il terreno e di credere, o di pretendere, che per disporre di grano basti filmare il duce che miete per un quarto d’ora in modo ridicolo. Un percorso che non si fa con gli slogan, con le imbastiture politiche o adatto a cronache calcistiche (il calcio è un gran bello sport, ma non questo…)

Dobbiamo praticare una silente e concreta serietà; bonificare il pendio, altrimenti tutto torna a franare.

Ben vengano i ricordi, i films, le iniziative scolastiche, ma serviranno a poco, se non ripristiniamo, e subito, il “peso”, lo spessore dello studio, la qualità degli spettacoli (troppi e troppo finanziati dallo stato!) ed un codice di dirittura che disciplini la politica e non la corsa chiassosa al voto quando sondaggismo premia.

Ottimo, in questo senso, il lavoro teatrale di Massimi: “Processo a Dio” recitato pochi giorni fa al Chiabrera.  Ottavia Piccolo, superstite del lager, andava freneticamente raccogliendo oggetti, carte, documenti di ogni tipo perché non si perdesse la “memoria” (questa sì!) del misfatto. Più che occuparsi davvero di…teologia!

La Shoah non può coesistere con l’isola dei famosi. Esige, se siamo uomini, un santuario attivo ed irrequieto dentro ognuno di noi con cui leggere, mai trascuratamente, la realtà nostra e consentirci di mandare maledizioni.

SERGIO GIULIANI