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Declino sarà lei
(ammucchiando sassolini)

PRIMA PARTE

di Nonna Abelarda

 

Scusate un momento: devo ricompormi. Sapete, no… quando vi sentite su una nuvoletta, con cori angelici che intonano Bach, e intorno uccellini cinguettano, e fiori sbocciano… un po’ come quando ci si innamora, suvvia…
Insomma, sono ancora contenta per la bella prova di democrazia a Vado domenica scorsa, e neppure le brutte, orribili notizie che ci arrivano a livello

nazionale, neppure il timore che il rischio non sia ancora scongiurato,  riescono a scalfire questa sensazione.

Finché ci sono sassolini da ammucchiare, pazientemente, dal basso, forse alla fine qualcosa si ricostruisce. Complimenti a chi ha creduto in questo con ostinazione e ai vadesi che hanno saputo districarsi in un rebus di domande e risposte. 

Ma questo ci riporta al discorso delle strategie alternative, e lo rende più che mai attuale. Ricapitolando: 

- una scorsa ai progetti e alle tendenze in atto ci mostra un bilancio dubbio in termini di quantità e qualità di posti di lavoro, di necessità e strategie a lungo termine, pessimo, direi inclassificabile,  in termini ambientali. Pochi investimenti con concessioni ampissime a ristretti gruppi d’affare e di potere, anche in sedi portuali, molta edilizia speculativa senza ritorno e senza riscontri, un nuovo centro commerciale come ciliegina sulla torta, pochissimo e ancora da verificare come insediamenti artigianali, niente, almeno che mi risulti,  come imprese innovative e non inquinanti.  

- la qualità dei posti di lavoro è fondamentale, perché ha ricadute in positivo sull’intera struttura della società, creando benessere ed economia di ritorno,  e qualità dell’ambiente urbano, in un circolo virtuoso 

- il contesto in cui ci si muove ha un’altra importanza fondamentale, inutile fare paragoni senza fondamento, inutile importare pari pari soluzioni  adottate altrove, con il pretesto che lì hanno funzionato, senza studiare similitudini e differenze che potrebbero inficiarle. Inoltre, spesso non si fa il paragone in termini corretti o  con vistose dimenticanze: ad esempio, il grande dispendio di edilizia pubblica che ha accompagnato la rinascita di certe città, invece della  ridicola pretesa che tale rinascita venga dall’edilizia privata; oppure il fatto che le soluzioni adottate qui, o che si vorrebbero adottare come nuovissime, altrove sono già superate da un pezzo o in via di superamento e ridiscussione. Vale per certi grattacieli come per gli inceneritori. E non chiamateli termovalorizzatori, per carità, che è la peggiore delle ipocrisie, perché inquinano e sprecano e non valorizzano un bel niente. Ma su questo tornerò un’altra volta

Proviamo ad analizzare per sommi capi quelle che potrebbero essere linee di tendenza. La mia veloce carrellata non ha pretese, si basa in parte su opinioni e sensazioni o voci sentite, in parte su basi ben più solide, e cioè quanto studiato a fondo nell’articolato e meditato e non abbastanza discusso e considerato progetto “Savona domani” di Giuseppe Ozenda.

Sto solo, per così dire, gettando anch’io il mio sassolino, da semplice cittadina che riflette, immagina, spera.

 E che non si è ancora arresa alla logica del ricatto e del male minore.  Forse alcuni singoli aspetti di queste idee possono sembrare velleitari, o ritorni al passato, o numericamente esigui come possibilità. Ma prima di tutto, mettendoli tutti assieme, in un quadro globale, credo che i risultati sarebbero sorprendenti, e forse qualche economista o esperto saprebbe mettere giù dei numeri, oso pensare, almeno confrontabili con quelli sbandierati dai progetti in atto. Se non superiori. Poi, neanche sul ritorno al passato scommetterei, come deterrente. Il vero passato da superare è ormai quello delle grandi produzioni inquinanti. La vera modernità passa anche per i campi e per i boschi. E’ solo una questione di tecniche e razionalizzazioni. Inoltre, le soluzioni migliori per superare crisi e impasse sono quelle alternative e fantasiose, meno convenzionali.  

Partiamo, allora. Senza alcuna pretesa, eh. Solo spunti, che chi è più esperto potrebbe approfondire. 

I porti Il nodo resta sempre quello di capire: come si vuole far convivere porti turistici, commerciali, crocieristici, logistici e una spruzzatina di carbone qua e là, per gradire, distribuendo fra Savona e Vado.  Non dimentichiamo anche che in mezzo ci sarebbe la spiaggia delle Fornaci e del Prolungamento,  di una qualche importanza dal punto di vista turistico, ambientale, o anche come sbocco per i residenti. E’ evidente che certe politiche portuali  in espansione alla lunga tenderebbero in qualche modo a inglobarla, o a peggiorarla, rendendola meno o non più usufruibile. Siamo sicuri che un risultato del genere sia auspicabile? E quali ne sarebbero le contropartite, a parte la distruzione di una tutto sommato fiorente microeconomia balneare?

Per non parlare della zona di Natarella e Zinola dove, anziché pensare alla riqualificazione,  si parla nuovamente di palazzoni sul mare, quelli che, per l’appunto, nella Spagna di Zapatero (ma anche solo a Bari) già demoliscono, incompatibili con qualsiasi criterio ambientale. Guardatevi la villa Zanelli ahimè in abbandono e il suo trascurato ma bellissimo parco, per capire cosa potrebbe diventare una buona parte di quel lungomare. Una zona verde di ampio respiro, non un giardinetto cementato.

Per il resto, non essendo esperta in materia di pianificazione portuale, non posso dire molto, se non che ho sentito parlare di progetti che quanto meno separerebbero le vocazioni di Savona e Vado, rendendo l’una turistica e l’altra commerciale, o comunque razionalizzerebbero spazi e destinazioni secondo criteri di utilità ed efficienza.

Scommetto che sarebbe possibile migliorare l’economia portuale e realizzare anche il famoso porticciolo turistico in spazi già esistenti senza scomodare incongrui grattacieli sulla Madonnetta. Tra l’altro, nel pensare al porto turistico, se non si vuole che rimanga uno squallido rimessaggio per yacht di lusso occorrerebbe studiare incentivi e aspetti peculiari, come spazio per barche economiche, scuole di vela o di wind surf o di immersione, spazi per la nautica e la cantieristica che valorizzino anche le imprese già esistenti e ne facciano nascere di nuove, e via discorrendo.

Le sinergie Assolutamente impossibile pianificare, decidere su base isolata. Occorrono intese e idee e progetti e combinazioni e strategie coordinate che tengano conto di città, entroterra fino al basso Piemonte, cittadine rivierasche. Se si parla di infrastrutture, come di politiche turistiche, abitative, agricole, energetiche, industriali   eccetera si deve tenere conto del quadro comune. Questo consente di valorizzare le varie realtà, accrescere e dosare le risorse, subordinare le decisioni a valutazioni congiunte e ragionate. Forse sarebbe il caso di mandare in pensione le province e i comuni più piccoli, divoratori di risorse, le vecchie anacronistiche divisioni geografiche. e creare strutture più vaste e omogenee, meno burocratiche ma più operative, tipo distretti. Ma questo non è risolvibile su base locale, è un nodo più ampio da affrontare. In ogni caso, una buona politica in tal senso è un eccezionale valore aggiunto.

Il turismo Puntare sulle seconde case è fallimentare. Puntare su nuove infrastrutture e parcheggi che stravolgano il territorio, per incrementare le visite, è distruttivo per l’ambiente e favorisce il poco utile “mordi e fuggi”. Lo ripeterò fino alla nausea, se in Spagna, dove pure hanno ampi spazi, stanno demolendo le costruzioni sul mare  in zone turistiche, noi vorremmo sventrare montagne e ricoprire colline? Occorrerebbe concentrarsi su qualità, originalità, professionalità, efficienza. Il mare non basta più, è evidente, non ci sono più le famigliole bagnanti da un mese di soggiorno, come un tempo. Si deve sfruttare al meglio ciò che di meraviglioso  (e talvolta unico, direi!) il nostro territorio già ha o può offrire, e gestirlo in buon accordo con tour operator o con altre forme di pubblicità positiva: manifestazioni musicali, culturali, mostre, sagre che abbiano un senso (non, che so, oktober fest a Varigotti o maiale fritto a Ospedaletti), pacchetti combinati con escursioni nell’entroterra, a piedi, in mountain bike, di arrampicata, con visite ad agriturismi, beauty farm, e poi cliniche riabilitative, ristorazione di qualità e genuinità, rinascita di prodotti tipici eccetera. Addirittura pacchetti convenzionati mare monti: le Alpi sono a due passi! Il turista non è più la vacca da mungere che accetta tutto. Vuole novità e stimoli giusti. Prendiamone atto, corriamo ai ripari, ma per favore basta con la cementificazione a oltranza, che insieme con la cattiva qualità del mare di certe zone lo fa scappare ancor di più a gambe levate. (Celentano docet).

L’entroterra: agricoltura e silvicoltura e tutto il resto Se dico che a Valleggia si producevano albicocche eccezionali, addirittura da dare il toponimo alla preziosa varietà, mi si accuserà subito del solito luogo comune: “una volta qui era tutta campagna”. Be’, non è così: ripensare il territorio e rivalutare certi aspetti non è arretratezza né vuota nostalgia.  E’ una nuova forma di progresso. E’ rivalutare il tempo, il gusto. Pensiamo solo al successo riscosso da associazioni come Slow Food. Per lo stesso motivo, genericamente parlando, per cui il made in Italy non può reggere la concorrenza dell’est con la riduzione costi, ma solo con la qualità della produzione come valore aggiunto. Per le zone collinari, non punterei più di tanto sulle dispendiose serre, su certi prodotti agricoli o fiori, ma su ciò che è più adatto al territorio. Olivi, per esempio. L’olio è preziosissimo, continua a esserlo, per alimentazione e cosmesi. Bisognerebbe incentivare il recupero e il ripristino delle fasce nelle zone migliori, magari concedendo, come mi pare abbia fatto il comune di Finale se non vado errata, appezzamenti in concessione a cooperative di giovani, e magari qualche incentivo fiscale o qualche contributo agevolato. E poi coltivazione della castagna, frutto sottovalutato ma di apporto nutrizionale eccellente. E il miele, e le piante officinali, e i frutti di bosco, o i vigneti pregiati, come la semiscomparsa Granaccia di Quiliano: a seconda di zone ed esposizioni. Lo so, manca l’acqua. Ma con razionalizzazione, magari captazione di acque piovane o torrentelli stagionali si può ovviare. In Israele, con intelligenza, tecnologia e lavoro, non rendono fertile il deserto? E poi tornare a uno sfruttamento intelligente e conservativo dei boschi, che aumenterebbe anche pulizia e sorveglianza e diminuirebbe il rischio incendi, dalla raccolta di aghi di pino per floricoltura al taglio controllato. Attenzione al discorso biomasse che va analizzato nei suoi vari aspetti e deve comunque essere compatibile e non depredante. Da qui, poi, industrie o laboratori di trasformazione, rivendite di prodotti tipici in loco, ristorazione, e tutto quanto segue. Da qui, richiesta di certificazioni di qualità, ambientali, prestigio e risonanza a cui all’estero sono sensibili. Non appare redditizio? Tutto sta a cominciare e organizzarsi e crederci e avere incoraggiamento e sostegno economico agevolato, tipo microcredito. Paesi come Varese Ligure sono lì a dimostrare dove si può arrivare, con un po’ di idealismo e lungimiranza.

Nonna Abelarda

 

.....continua la prossima settimana