versione stampabile 

LA NOSTRA STORIA/ CIVEZZA

GIACUMIN A SAN SALVATORE

L’INCONTRO CON I PROVENZALI

  di Perandrè

 


Civezza

 CIVEZZA (IMPERIA) - Il basso sole di novembre entrava nel portico di San Salvatore, e Giacumin, immobile, con gli occhi socchiusi, si godeva i tiepidi raggi seduto sulla “ciappa”.

Una piccola carovana stava risalendo dalla “giaira”.

“Due uomini e una mula” pensò Giacumin, ascoltando le voci ed il rumore degli zoccoli sui ciottoli, “mercanti provenzali” aggiunse, distinguendo qualche parola che i due si scambiavano.
In effetti, dopo poco tempo, comparvero in basso, tra le fronde degli ulivi, all’ultimo tornantino della mulattiera, due uomini in tenuta “da viaggio”, ed un robusto mulo, carico di mercanzia.

“Bon die!” fecero i mercanti, padre e figlio.

“Buon di!” rispose Giacumin, sempre con gli occhi socchiusi.

 Il ragazzo legò le briglie del mulo all’anello in ferro, lucido dal continuo uso, e si accostò al padre, che nel frattempo era entrato sotto il portico e si era avvicinato all’ingresso della cappelletta. Rimanendo sulla soglia, si segnarono e recitarono una preghiera in silenzio, studiando, con la coda dell’occhio, quel vecchietto seduto sulla “ciappa”.

“Veniamo da Grasse” fece il mercante più vecchio, rivolto a Giacumin, che non aveva aperto bocca, però aspettava una presentazione (tocca ai foresti parlare, se ne hanno voglia, non sta bene far domande), “...e andiamo a Genova. Per dormire, questa notte, dove ci conviene arrivare?”.

Giacumin capiva la loro lingua, anche se qualche parola era un po’ diversa.

Del resto succedeva la stessa cosa anche per le case dei paesi, che avevano le finestre, i cornicioni, i tetti..., con qualcosa di diverso mano a mano che ci si allontanava da Civezza, ma nel complesso quelle case erano sempre riconoscibili e familiari (... come in cucina, il buon profumo del coniglio in casseruola era sempre lo stesso, tanto a Pieve quanto a Frejus!).

Nel suo piccolo, da giovane, aveva viaggiato: fino a Brignoles, verso ponente, e fino a Genova verso levante. Aveva una buona memoria visiva, ed era una bella fortuna, gli serviva per riempire le giornate, ripercorrere viaggi ed incontri vissuti realmente e inventarne altri con la fantasia, mentre ogni viandante gli dava spunti nuovi per ragionarci su.


Stemma del Comune di Civezza

“Visto che avete ancora qualche ora di luce” rispose Giacumin, nella parlata dei vecchi (conosceva solo quella), “... vi conviene arrivare a Porto Maurizio: proseguite in discesa sulla strada maestra, un saluto a San Bastian e arriverete al Pantan, che vedete là sotto, dove sono quei grandi  ulivi con le foglie scure.

Là troverete delle cisterne con acqua buona, di fonte. Fate bere bene la mula, perché dopo non c’è n’è altra fino a Porto Maurizio, e lì se la fanno pagare assai (e poi è acqua ferma che arriva dai tetti e dai carruggi quando piove).

Poi la strada prende a salire fino alla sella che vedete di fronte, dove c’è la cappella protetta dalla Madonna delle Grazie. Dalla “cappelletta” lasciate la strada maestra e prendete a dritta, verso la marina.

Seguendo il crinale passerete per i Poggi dei Lanteri, dove potrete procurarvi del buon formaggio, che arriva direttamente dai grassi pascoli delle montagne di Briga. Dai Poggi in poco tempo arriverete alla riva e, seguendo la costa verso levante, stando attenti a non far impantanare la mula, entrerete in Porto Maurizio.”

In effetti i provenzali compresero quasi tutto il discorso di Giacumin, e ringraziarono per le indicazioni, “domani sera vorremmo arrivare ad Albenga, dove vivono alcuni parenti”, riprese il mercante più vecchio.

“Allora vi consiglio di tirare dritto!” rispose Giacumin, “Dalla cappelletta della Madonna delle Grazie tenete la strada maestra, e in poco tempo arriverete a Torrazza. Una preghiera a San Giorgio, sotto il paese e, dopo aver passato le poche case dei Cravi, il bel ponte guardato da San Martino vi porterà sull’altra riva del Prino.

 

 Prima che vi prenda il buio, con un buon passo, passando per Caramagna, e tenendo Montegrosso a mancina, riuscirete ad arrivare a Sant’Agà: sotto il portico c’è il paranco per scaricare il basto, e l’osteria per mangiare e dormire.

Domattina avrete più di un’ora di vantaggio che se aveste dormito a Porto Maurizio.”

“Che il Signore sia con voi!” Salutarono i provenzali.

Ne erano passati di viandanti da lì: catalani, genovesi, gente da Montpellier, da Firenze, da Aix, da Pavia......., con tutti aveva scambiato qualche parola, e si era capito con tutti.

 Tutti a parte i Baschi! Gli uomini che arrivavano dalle montagne che guardano il mar oceano erano gli unici che proprio non era riuscito a comprendere.

Che si trattava di Baschi l’aveva capito in seguito, quando gli spiegarono che da lì arrivava il cappello che gli avevano regalato (generosi ‘sti Baschi!).

Un bel cappello che Giacumin portava con orgoglio, un po’ invidiato dagli altri vecchietti del paese. Dal canto suo, all’uomo che gli mise quel comodo cappello sulla testa, offrì subito, senza stare tanto a pensarci su, la sua zucchetta piena di vino. Molto apprezzati, sia il nostralino delle Terre Bianche, che la zucchetta, l’ideale come borraccia da viaggio (la usava anche San Rocco!).

Un allegro vociare da levante annunciò altri viandanti.

“Bungiurnu Giacumin!”

Nonostante l’età ha sempre una bella voce, pensò Giacumin, tirandosi un po’ su e aggiustandosi la giacchetta.

“Bungiurnu a Vui, scià Maria. Qual buon vento?”

Maria “di Berti”, contenta di esser stata riconosciuta subito, si mise al fianco di Giacumin e, sfiorandolo con la mano, gli offrì una bella fetta di “turtellu”.

Sperava di incontrarlo, sotto il portico di San Salvatore, e il “turtellu” l’aveva preparato nella teglia grande, facendo finta di sbagliarsi.

Maria, accompagnata dalla figlia e da un gruppetto di nipoti, da Dolcedo andava alla Madonna di Laghet, per sciogliere un voto (la figlia aveva avuto una gravidanza difficile), approfittando del periodo di calma prima della stagione della raccolta delle olive.

Dopo aver fatto merenda, il gruppo dei “Duseaschi” si preparò a riprendere il cammino.

“Per la notte fermatevi in Per Franco, nel casà di Perandrè”, disse Giacumin, “... la porta è aperta, e sotto il fico grande... rammenti il fico grande?”, rivolto a Maria, che sicuramente era arrossita, “... sotto il fico grande c’è la vinsa, con i fichi a seccare: prendetene! Ci penserò io a dirlo al cugino Vincenzo”

Riprese a sonnecchiare e, quando ormai il sole freddo di novembre era sceso dietro Lingueglietta, il cigolio tranquillo del basto e l’odore pungente dell’enorme bue “piccin” lo risvegliarono: dall’uliveto dei “loxi”, il figlio Fransè col piccolo Tommaso tornavano a casa.

“Paie Grande, mi contate una storia?” fece il nipote.

Giacumin si alzò, mise la mano sulla testolina del nipote, e prese a camminare con passo incerto, cominciando a raccontare, guidato dal piccolo uomo, paziente. La campana del paese, poco più su, chiamava al vespro.

Perandrè