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Usciamo da un pericoloso equivoco
Il laico non è colui che non crede

di Domenico Maglio

 


Domenico Maglio

In questo inizio di millennio il processo evolutivo sociale dovuto a molteplici fattori di sviluppo non solo nella sfera economica e finanziaria, ma anche nelle correnti del pensiero filosofico con la rilettura o rivisitazione degli eventi storici passati, ha portato il mondo politico complessivamente e non solo quello italiano, ma anche quello europeo e mondiale, a rivisitare ideologie considerate incancellabili.

In particolare la società politica ha già da qualche anno la tendenza a raggrupparsi, quasi in ogni nazione del mondo si presenta alle consultazioni elettorali grossomodo in due schieramenti più o meno ampi, conservatori, progressisti, riformisti, destra, sinistra, ecc, questi schieramenti si distinguono tra loro per obiettivi, linee ideologiche,  politiche economiche e politiche sociali, tematiche ambientali o energetiche.

Oltre al mondo politico classico e istituzionale esiste però anche un altro mondo sempre in agitazione, composto da un gran numero di donne e uomini più o meno impegnati socialmente in gruppi, associazioni o movimenti di cittadini, che rappresentano tutte le varie domande che nascono dal vivere quotidiano di ognuno, domande sulla scuola, sulla salute, sui diritti, sul lavoro, sul disagio sociale, e molti altri quesiti ai quali le istituzioni dovrebbero dare risposte, ma nel nostro paese l’interlocutore principale dei cittadini, e cioè il mondo politico, ha subito frammentazioni tali da non essere più in grado di dare risposte sempre soddisfacenti, questa frammentazione ha portato inoltre a disegnare contorni indefiniti anche al riguardo delle grandi contrapposizioni avvenute in un passato, una polverizzazione che ha spazzato via i grandi partiti di massa sia di sinistra che di centro impedendo di fatto un’accelerazione del bipolarismo voluto.

Un passato per alcuni forse ancora troppo recente per essere dimenticato, per altri un passato forse ancora rimpianto sia che si tratti di blocchi di sinistra che di destra, in particolare i primi che pur essendosi inequivocabilmente affrancati dagli eventi dell’URSS e dalla sua politica totalitaria interna che perseguiva, cercano comunque oggi di ritrovarsi nelle linee fondamentali di quella dottrina, ma anche nel blocco contrapposto c’è l’affannosa ricerca di soluzioni ritenute giuste e perseguibili ancora oggi, con il cercare di affermare la disciplina e la devozione alla causa.

Un passato di contrapposizione delle grandi ideologie dominanti come capitalismo e liberismo da una parte, Socialismo reale dall’altra, la Socialdemocrazia unica vincitrice dello scontro del ‘900, contrapposizioni culminati negli anni ’50 e ’60 con la guerra fredda, che poi tanto fredda non era. Il crollo del blocco Sovietico ha riaperto nuove prospettive sia nei paesi dell’Est che in ogni altra parte del globo, e se vogliamo a tutti i costi trovare un’espressione di uso comune possiamo ipotizzare che è venuto a mancare quell’equilibrio che teneva il mondo intero in una sorta di stand by più o meno pacifico, che giocava sul catastrofismo che sarebbe susseguito ad un conflitto nucleare del quale non sapremo mai quanto sia Stato imminente.

Indubbiamente il nuovo corso delle politiche internazionali non possono essere esentate da un giudizio particolareggiato che si riallaccia al tema sopra citato, è del tutto evidente che il blocco capitalistico americano sia l’unico rimasto indenne e sopravvissuto allo scontro est ovest, un blocco occidentale inteso non certo come continente americano nella sua totalità, ma soltanto come america del nord, gli USA in particolar modo, che hanno avuto la possibilità di gestire in modi soffusi la loro supremazia globale sia con il controllo della Banca Mondiale o del FMI, o in modo palese come l’utopia dell’esportazione coatta del proprio modello di democrazia, auspicabile in molte sue forme ma per altro discutibile in alcune altre.

L’esempio dell’esportazione del modello americano è calzante perché recente, ma ci dice che non può essere imposto in nessun altro paese del mondo, proprio perché ogni paese del mondo è diverso dagli altri per formazione culturale, per la propria storia, per le politiche perseguite, per formazione religiosa.

Galileo

Ma essendo una strada intrapresa comunque, bisogna domandarsi come si è potuto arrivare a tutto questo, e se questo è compatibile con l’evoluzione del mondo, chiedersi se sia possibile imporre un percorso politico non accettato da un paese per esempio come è successo per l’Iraq tanto per citarne uno, di tradizione profondamente islamica, tribale, che non si riconosce nelle tradizioni occidentali, ne’ europee figuriamoci nello stile di vita degli americano, uno stile consumistico sfrenato che ha già dato i primi segni della deleterietà sociale.

Ecco dunque apparire all’orizzonte la frase chiave che permette di giustificare in qualche modo, sia in occidente che in medio oriente, grossolani e tragici errori strategici : “ Dio è con noi”.

E proprio nel Medio Oriente uno dei principali partner delle potenze occidentali, L’Arabia Saudita, ha scritto a chiare lettere nella sua bandiera che l’unico Dio è Allah e Maometto ne è l’unico profeta; si tenta quindi di trasformare in guerre religiose conflitti nati essenzialmente per interessi economici, nascosti sotto la falsa ricerca di armi letali per l’umanità, armi spesso inesistenti come è Stato provato dagli organismi internazionali, qui nasce l’attenzione che dobbiamo avere nel concetto di religione, di laicità, e proprio quest’ultimo termine sta diventando oggetto di discussioni, spesso confuse e senza sintesi costruttiva finale.

 Laicità è una parola molto difficile nella sua semplicità, una parola che non da adito a significati diversi da quello che vuole rappresentare, ma che invece viene interpretata a volte in modo disordinato, se non quando viene carpita da chi ne vuole fare una bandiera ideale in termini di opportunismo politico e sociale. E’ quindi necessario proporre alcune riflessioni sul termine stesso di laicità, affinché la conoscenza più completa possa essere inizio di valutazione collettiva e discussione culturale.

A mio giudizio il termine laicità va spiegato innanzitutto in negativo, quindi capire cosa non  significa, cosa non è la laicità; in genere il termine viene associato nelle discussioni tematiche quando ci si riferisce a ciò che viene riassunto nella complessità dei rapporti tra lo Stato e le Chiese, e possiamo affermare che non ha caratteri di laicità, cioè non è laico, un ‘ordinamento basato sul confessionalismo, cioè su una sorta di fusione o di legame privilegiato tra uno Stato e una o più chiese.

Per esempio nella sua scrittura formale possiamo affermare senza temere di essere smentiti che si trattava di uno Stato a tipologia prettamente confessionale quello che vigeva sotto l’ordinamento dello Statuto Albertino, come dimostrato dalla storia e dagli atti conseguenti di quel periodo, inoltre basta ricordare l’art 1 proprio dello Statuto Albertino che non va dimenticato ha regolato il nostro paese fino alla costituzione dello Stato Repubblicano, questo articolo recitava che la religione cattolica apostolica romana è religione di Stato e tutte le altre confessioni religiose erano tollerate, si evince quindi che lo Stato stabiliva una relazione di tipo privilegiato con un’unica confessione religiosa, in questo caso la religione cattolica.

E’ palesemente evidente che non esisteva nei fatti una vera e propria libertà religiosa, ma esisteva soltanto una tolleranza religiosa verso confessioni diverse da quella cattolica, si stabiliva un principio, una classifica di merito secondo la quale esisteva, riconosciuta dallo Stato, una religione di serie A e altre religioni “tollerate” di serie B.

E’ questa un’impostazione tipicamente riconosciuta come modello di uno Stato estremamente di tipo confessionale, quindi nulla a che fare con ciò che noi intendiamo come modello di Stato laico.

Dopo questa riflessione si rende però necessario analizzare cosa si intende come Stato di tipo laico.

Possiamo affermare che uno Stato laico che voglia definirsi tale, è uno Stato che conosce e attua una netta separazione tra le chiese nella loro totalità di confessioni religiose qualunque esse siano o chiunque rappresentino, e lo Stato istituzionale, una vera e propria separazione, ma le separazioni che abbiano queste caratteristiche di grande influenza sociale possono essere paragonate alle separazioni tra coniugi, e come tali possono avvenire in modo amichevole o in modo ostile, conflittuale, lasciando pesanti strascichi nelle popolazioni e contrapposizioni difficilmente risanabili in tempi brevi.

Se prendiamo la seconda ipotesi di separazione non amichevole,  come è stata per esempio in passato nei paesi del socialismo reale, oppure come lo è Stato per lungo tempo in Francia, più che di laicità bisognerebbe parlare di laicismo, perché in questi casi lo Stato è vero che non ha un rapporto particolare con una determinata chiesa o con una determinata religione, ma è come se pensasse se stesso, come se avesse una propria religione laica, alternativa, è come se volesse negare ogni  rapporto con le chiese perché egli stesso si ritiene una chiesa, con le proprie credenze laiche, repubblicane, con le proprie ideologie di Stato, per cui il cittadino deve scegliere obbligatoriamente l’ideologia di Stato e relegare solo nel privato le altre ed eventuali credenze religiose.

Questa oggi non è laicità, ma laicismo, anche se qualcuno continua a chiamarla laicità identificandola erroneamente con laicismo

Dove quindi si può parlare veramente di laicità ?

Se ne parla quando la separazione tra Stato e chiese è di tipo amichevole, quando cioè lo Stato non assume su di se una determinata religione ma da un ampia libertà religiosa ai suoi cittadini, da loro la possibilità di testimoniare la propria fede religiosa le proprie credenze non solo in privato ma anche in pubblico, perché le religioni hanno la naturale tendenza ad avere un ruolo pubblico, il che non vuol dire un ruolo statale, non ci può essere alcuna religione di Stato, ma può esserci e c’è però uno spazio pubblico dove le religioni sono chiamate a dire la loro non solo sugli aspetti interni del singolo individuo, ma anche sulle grandi sfide etiche e politiche che riguardano la nostra società, e anche sulla legislazione, quando però entrano nella sfera pubblica esse devono rispettare i criteri della sfera pubblica che sono basati sul libero convincimento in libertà tra i cittadini.

E quindi solo uno Stato laico, cioè non ostile alle religioni, che può regolare in modi diversi i rapporti con le varie credenze religiose, può avere accanto alla libertà religiosa riconosciuta per tutti anche dei regimi pattizzi, per esempio il concordato, nettamente migliorato con la revisione abbastanza recente avvenuta negli anni ‘80, oppure con l’impegno preso con le altre confessioni religiose per regolare meglio la collaborazione reciproca dello Stato e delle chiese allo sviluppo umano e allo sviluppo sociale in generale, anche se queste potremmo catalogarle come scelte abbastanza particolari.

Francamente credo che la cosa importante da ricordare oggi sia la considerazione che il laico non è colui che non crede, ed è bene sottolineare questo aspetto dato che a volte da vita a scontri virulenti e difficilmente controllabili, si può benissimo andare a Messa o rivolgersi alla Mecca ed essere laici.

Il laico e la laicità dell’ordinamento è quindi a mio giudizio il fatto che tutti coloro che hanno delle particolari tendenze possano avere il diritto di manifestarne anche la valenza pubblica, ma non di costruire uno Stato che si fondi su una distinzione tra religioni di serie A che credono in una determinata fede religiosa o laica, e ordinamenti religiosi di serie B, perché ciò che fonda la laicità dello Stato è l’unità della figura del cittadino.

DOMENICO MAGLIO