versione stampabile 

ANCHE LUIGI SE N’E’ ANDATO

di Sergio Giuliani

 

Nell’inevitabile baccano-pseudobilancio che si farà, per ricorrenza, sul ’68 mancherà la voce arguta ed informata di Luigi Figliolìa. La sua grande disponibilità all’amicizia, al dialogo, la sua serena cultura porta sempre col fare ironico e una punta irriverente che gli veniva dalle origini partenopee ed il suo convinto impegno in quegli anni “memorabili” (per dirla con Capanna) sono stati un ancoraggio sicuro per quella generazione allora abbastanza bambina che è straordinariamente maturata a Savona (Freccero, Sanguinetti, Grasso, Lombezzi etc).

Luigi aveva compiuto ottimi studi universitari di economia a Torino e si era ritrovato a vivere un episodio oggi trascurato, ma importantissimo come gli scontri di Corso Marconi, in cui un’avanguardia operaia si era misurata e scontrata con le forze dell’ordine per rivendicazioni al di là di piattaforme sindacali ed aveva assunto  coscienza di sé e dei processi innovativi che si andavano formando nel mondo del lavoro ed in particolare nelle grandi fabbriche a tecnologia avanzatissima e a ritmi di lavoro stressanti.

Luigi era un “teorico”, ma non si assentava dalla piazza. Quell’esperienza, legata al gruppo ed alla elaborazione economico-socio-politica dei “Quaderni rossi” lo aveva del tutto formato come militante.

Tornato a Savona (gli era mancato dolorosissimamente il fratello Sandro, neppure ventenne) diede una forte spinta ad un clima che si stava storpidendo, soprattutto perché esisteva una gran bella aristocrazia operaia, cosciente, moderna e decisa ed anche perché, per opera di alcuni intellettuali, soprattutto insegnanti che davano vita al circolo laico “Calamandrei” di Mirco Bottero.

Da “Monthly Rewiew” arrivavano le notizie e le elaborazioni sulle rivolta dei campus statunitensi (Berkeley) e sulla lotta alla guerra in Vietnam: dalla Francia le notizie dell’occupazione delle fabbriche come Renault, della Sorbona e dei grandi scioperi che fermavano ed accendevano la nazione.

Questo pre-sessantotto fu percepito da una generazione giovane, ma non giovanissima, di ottima cultura, cresciuta in seno alla famiglia tradizionale ed al cattolicesimo, di cui scartava sempre più i formalismi dogmatici e maturava invece i valori della testimonianza diretta, del rispetto di tutte le genti e dell’illiceità di certi interessi costituiti.

Questi giovani manifestavano con entusiasmo, con continua e gioiosa ricerca, tanto da trascinare con loro i più giovani. Luigi passava interi pomeriggi e serate a parlare suadente, come ben gli riusciva di fare nel colloquio (non era né mai lo sarebbe diventato, un oratore da piazza: era incapace di retorica e la puniva coi suoi lazzi, anche rivolti a se stesso) a discutere di riviste politiche, di films e, soprattutto, di economia, inteso a capire alla radice il pensiero autentico, non truccato, di Marx a cui, e non paia tanto strano, era, come moltissimi allora, approdato sui binari di una morale cristiana assoluta, che aveva ed ha come obiettivo la teologia della liberazione dell’uomo planetario.

Costretti ad iscriversi ad un partito, per militare, questi giovani del primo gruppo avevano scelto lo Psiup, uno strano equivoco perché, sotto un’etichetta accattivante ed innovatrice, nascondeva uomini (non tutti, certo!) legati alla politica tradizionale ed addirittura più stalinisti del Pci.

Allora Luigi Figliolia e Pierluigi Meriggi, l’ngegnere, fecero coppia fissa nella sede di Piazza Sisto ed in tutte le manifestazioni politiche. 
Un poco coccolati, un poco messi da parte dai “vecchi” del partito, il gatto e la volpe, come li chiamavamo affettuosamente, erano un vulcano di ricerca e di cultura politica tagliata intransigentemente.

Capitò la Cecoslovacchia ’68 e loro strepitarono giustamente col partito che esitò parecchio nella condanna; capitò il “Manifesto” e la radiazione di amici-compagni come Mario Zanella e il partito da un lato godeva delle difficoltà dei cugini comunisti, dall’altro sbarrava le porte ad ogni contatto coi reprobi scissionisti, non saprei se per gelosie o per cecità.

Luigi, sempre calmo, rifletteva sui libri di economia della collana Einaudi ( “Monopol capital”) e sugli amati e postillatissimi Baran e Sweezy. Con Pigi, avevano addirittura comperato le opere di Marx in lingua tedesca per non fraintenderle, ma il tedesco non lo impararono e lo scatolone s’impolverò in sede. A me, una delle tante, fece una lezione convincentissima e, inutile dirlo, dotta sull’austromarxismo di cui non sospettavo neppure l’esistenza e mi mandò a leggere il saggio di Arduino Agnelli: oltre a tutto, era una miniera bibliografica. Con loro, si divertiva e compiaceva Andrea Uberto, l’artigiano che era stato lunghi anni in sudAmerica e che aveva una formazione politica netta e libertaria ed era felice quando la sentiva sorretta dalla profondità degli studi. Luigi canzonava bonariamente la sua intolleranza delle ambiguità politiche e lo chiamava con affetto lo sfasciapartiti.

“Come dici?” era il continuo intercalare di Luigi: un vezzo inconscio, forse, per ordinare meditate risposte ai quesiti che sempre e da tutti gli venivano posti. A risponderti, era un fiume in piena che si riposava soltanto con qualche sapida battuta, senza mai perdere di vista il lungo filo da disbrogliare.

Poi, col 1974, lo Psiup ed i suoi piccoli reggicoda scomparvero. E noi, che avevamo parlato ed imparato con uomini come Lelio Basso,Vittorio Foa, si restò orfani e fu come chiuder bottega. Luigi continuò le sue letture: ricordo l’insistenza con cui chiedeva a chi andava a Roma, nella sede nazionale di via della Vite, particolarmente a Lucio Libertini o ad Andrea Dosio di procurargli le dispense del corso di Lucio Colletti (finito poi in quota berlusca:”vedi giudicio uman come spesso erra!) che, credo, non ebbe mai.

I mediocri si riaccusarono e marciarono alla “carica” con casacche mutate. Luigi no! Troppo sentita, etica e modesta, della bellissima modestia dei colti, era la sua ragione politica. Fu al Centro studi della cassa di Risparmio di Torino, dove lo condusse la preparazione, non la “tessera” e non è che non cercasse di insegnare qualcosa al suo “politico!” superiore Nerio Nesi.

La bottega s’era chiusa, ma fu bello essersi illusi e non aver salito i gradini della infida scala dell’utopia leggera che tutto voleva nuovo, maturo e facile, Non fu; non è così!

Rivedevo sporadicamente gatto e volpe, anche se non so chi fosse l’uno e l’altra. Luigi mi aveva promesso certi suoi studi economici, ma ho omesso di dichiarare un suo difettuccio: era dimenticane e se non lo tenevi per la giacca….nulla.

Chissà ora, in questa situazione politica, quanti cockers, come chiamavano i suoi socratici discepoli, lo attornierebbero. A tutti direbbe, sorridendo “Come dici?” e poi, giù a rispondere a fiume, più a se stesso che agli altri. Ciao!

           SERGIO GIULIANI