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La mistica dei posti di lavoro
di Nonna Abelarda

 Prima di tutto, Buon Anno a tutti quanti, qualunque cosa questo possa significare. Io augurerei, un Anno che porti consapevolezze e partecipazione, e nuova dignità ai savonesi.
Stavolta volevo affrontare da un altro punto di vista la pappardella precotta che ci viene continuamente rifilata dal “fronte del porto” e non solo, quella ripetuta dagli organi di informazione e nelle occasioni pubbliche,

come una specie di vangelo, di verità indiscutibile e indiscussa: quella del famoso “sviluppo”  proposto, che non sarebbe il migliore (questo non hanno il coraggio di affermarlo neppure loro), ma comunque l’unico possibile, la sola alternativa all’altrettanto noto “declino”.

A parte che, ora che il “trend” nella direzione propugnata è avanzato assai, che qualche risultato concreto delle politiche impostate si inizia a vedere, qualcuno forse nota sintomi di riscossa, di ripresa economica e sociale? Sarò pessimista, prevenuta e dotata di occhiali molto grigi, ma a me sembra invece di vedere intorno tutti i segnali proprio del declino: economia stagnante e prevista tale anche in futuro (non lo dico io, lo dice anche il PPA, documento ufficiale), serrande abbassate, appartamenti e vetrine vuote, città sporca e spelacchiata con il verde già scarso che diminuisce a vista d’occhio, opere pubbliche al dissesto, poche nuove iniziative e imprese, e quasi nessuna che vada nel senso dell’innovazione, sia tecnologica, sia di originalità di impostazione. Soluzioni (quando ci sono) vecchie, decotte, asfittiche. Progetti foglia-di-fico  che a stento nascondono le vergogne, sbandierati come rivoluzionarie novità. Aperte contraddizioni fra le varie vocazioni che dovrebbero assumere la città e il comprensorio, del tutto inconciliabili fra loro.

Quando però le obiezioni iniziano a farsi pressanti e di una logica condivisibile da molti, quando non si riesce più a bollarle con le solite etichette di fastidiosi ambientalisti, miopi retrogradi, immobilisti a oltranza, pensionati mugugnoni e via stereotipando, dopo che tutte le proposte alternative, esistenti, eccome se esistono, sono state debitamente soffocate e boicottate, per poi strillare trionfanti che “non ce ne sono”, oppure che “non ci sono i soldi”, ecco arrivare l’argomento principe, a mo’ di pietra tombale della discussione: i famosi “nuovi posti di lavoro”.

Non mi metterò a contestare nel merito dei singoli progetti, sia perché difficilmente vengono forniti all’inclito pubblico gli argomenti necessari per valutare con cognizione di causa, sia perché curiosamente questi posti di lavoro variano nel numero e nel tempo, a seconda del proponente, degli interlocutori, delle sedi, dell’avanzamento del progetto, e chissà, fors’anche del clima atmosferico e delle stagioni. Sarebbe interessante tentare un grafico di correlazione: magari si potrebbe notare che il numero aumenta via via nella fase propositiva, a volte cala, a volte aumenta di nuovo, a volte si sottintende l’indotto, a volte si differenzia… curiosa situazione invero. E’ chiaro però che in questo quadro ciascuno può dire quel che vuole, e io non mi avventurerò in cotale palude.

Tranne osservare che:

- l’argomento è scarsamente sostenibile per l’edilizia privata,  per la quale ormai lo sappiamo bene si usano imprese esterne, possibilmente subappalti, possibilmente lavoratori sottopagati, possibilmente stranieri.

In compenso, tutti i disagi, come consumo di territorio, inquinamento aumentato e sue conseguenze, necessità di allacci, nuovi consumi idrici e depurativi, traffico e auto in più, eccetera, sono tutti nostri.

Con l’unico risibile vantaggio di un presunto calmiere sui prezzi di case. Anche qui, striminzitissima foglia di fico a coprire quella che non è altro che immane speculazione dove pochissimi straguadagnano e tutti gli altri perdono di brutto

- per edilizia non privata, come porti e piattaforme, sarebbe almeno da auspicare che in fase costruttiva si usasse mano d’opera locale, il che non è detto, ma comunque si tratterebbe di posti a termine. In seguito, l’elevata automazione, (vale anche per la centrale di Vado), l’effettivo utilizzo delle strutture e dei servizi e altro fanno dubitare si possano muovere grosse cifre, sempre tenendo comunque presenti i danni diretti e indiretti all’ambiente, alla salute, alla qualità di vita della cittadinanza, e le lacunose e nebulose previsioni in termini di congestione di traffico e infrastrutture varie.

 Mi permetto poi di osservare che, come dire, “il modo ancor m’offende”. Spesso la cifra dei posti viene sbattuta in faccia, soprattutto in sede di dibattito o dai fautori entusiasti di corollario,  con una certa superiorità e arroganza, come si offre un osso al cane affamato, come venivano gettate monetine dalle carrozze nobiliari in corsa, alla plebaglia cenciosa ai lati. Con il sottinteso che, appunto, nella situazione stagnante in cui siamo non possiamo permetterci di fare gli schizzinosi e andare tanto per il sottile.

Assolutamente umiliante per quelli che invece sono dei liberi cittadini di una cosiddetta democrazia, che eleggono i propri rappresentanti anche perché l’economia migliori e ci sia, appunto, quel diritto al lavoro sancito dalla Costituzione, non da mendicare come postulanti. E ancor più umiliante che qualcuno, di fronte al ricatto o al lontano miraggio, mettetela come volete, di poche decine o al più centinaia di posti di lavoro per lo più scarsamente qualificati,  una briciola insignificante nel mare del disagio di precari, sottoccupati, disoccupati di lungo corso, anziani non pensionabili, in mobilità, mobbizzati, sfruttati, in nero, giovani, laureati senza sbocchi… eccetera, eccetera, eccetera, ancor più umiliante, dicevo, che qualcuno ci caschi, e chini il capo, rassegnato, prendendo per buono l’argomento, la briciolina in sé, senza fare collegamenti.

E tentiamoli, allora, questi collegamenti. Premetto, a parziale giustificazione dei nostri operatori economici e amministratori, che se certe iniziative sono farina del sacco locale, altre seguono nefaste tendenze e politiche ben delineate a livello nazionale, quindi sarebbe ingiusto gettare la croce addosso alla comunità savonese anche per colpe non del tutto sue. Guardandosi intorno, speculazioni immobiliari, grandi architetti a suggellare scempi, cementificazioni di porti e porticcioli e angoli incontaminati, entusiastiche sponsorizzazioni e rilancio del carbone, sacrifici immani al dio logistica sono all’ordine del giorno  in questa disastrata Italia che nessuno più difende, dove la cosiddetta destra ha spianato la strada alla devastazione e la cosiddetta sinistra l’ha calcata con entusiasmo e impegno da secchione.

Questo, tanto per essere obiettivi. Certo è che però, se dappertutto la tendenza è quella, non così dappertutto ha trovato terreno fertile. In certi posti si sono tenuti referendum (autentici, non populistici o pretestuosi), e se ne è tenuto conto; in altri alcuni progetti sono stati respinti; in altri ancora gli stessi amministratori  (vedi TAV) si sono messi in prima fila nella protesta e nelle esigenze dei loro concittadini, rischiando letteralmente le botte. Insomma, c’è modo e modo.

Per cui la tendenza è al più debole attenuante, non certo alibi.

Rilancio: proprio perché Savona e dintorni sono stati avanguardia nel processo di deindustrializzazione e ridimensionamento economico, anziché tamponare alla meno peggio con idee vecchie e superate, non sarebbe una buona occasione per fare da apripista, per tentare soluzioni innovative e durature, esempio e faro per altre realtà?

E mi permetto di ricordare, agli amministratori e agli imprenditori locali, che comunque le conseguenze delle loro scelte saranno anche loro e dei loro figli, che soprattutto i dati ambientali e sulla salute sono da valutare con attenzione: l’inquinamento si diffonde dappertutto, è stato ritrovato persino in zone presunte incontaminate del pianeta, figurarsi se risparmia dai suoi danni chi si sposta in collina o in qualche ridente paesino balneare. A meno che non abbiano un’astronave pronta in salotto e un nuovo pianeta da colonizzare. Argomento da valutare con attenzione anche da parte degli operatori turistici di tutta la riviera circostante, che sarebbero i primi a doversi opporre contro queste devastazioni. E per ragioni biecamente materiali ed economiche, mica sottili argomenti di etica.

A meno che non diciamo: tanto è inutile, ci pensano i cinesi a inquinare per tutti… E allora, in quest’ottica catastrofista (devastante quanto il falso ottimismo, perché dà alibi allo scarico di responsabilità) perché non mettiamo tutti la testa nel forno e la facciamo finita? La natura ringrazierebbe, se non altro.

Alla prossima torno a riparlare un po’ con calma di questi famosi posti di lavoro, e di cosa realmente significhino.

  Nonna Abelarda