LA
STORIA “SEGRETA”
DEL “CICLONE TEARDO”
Seconda puntata – A 26 anni dai primi articoli
di stampa
PERSONAGGI MAI RACCONTATI
DI “MANI PULITE” A SAVONA
In questo secondo
capitolo leggerete di Gad Lerner, già direttore del telegiornale di Rai
Uno, oggi leader del piccolo schermo in Italia. Tommaso Giglio,
direttore del Secolo XIX quando prese avvio l’inchiesta, tra processi
per diffamazione ed insidie. Ernesto Monterverde lo storico difensore
del Decimono che scrisse una dura raccomandata all’editore e alla
redazione. Camillo Arcuri, caporedattore all’epoca della “bomba Teardo”.
Renzo Bailini, il teste chiave d’accusa (nella fase iniziale) con
retroscena inediti su chi aveva tentato di fargli confessare, dietro
ricompensa, i nomi degli informatori-traditori. Cronaca delle udienze,
sotto i riflettori, del processo promosso da Teardo e Capello contro Il
Secolo XIX e Luciano Corrado messi sotto pressione da “personaggi
oscuri”. Il ruolo determinante e decisivo di un giudice istruttore,
Francantonio Granero, che diversamente dal collega Michele Del Gaudio
rilasciò pochissime interviste e non lasciò la toga. Nei suoi confronti
Savona ha scelto l’oblio. Meritava ben altro per aver fatto fino in
fondo il suo dovere di servitore dello Stato?
SAVONA - Ci sono
capitoli della “Teardo story” che non hanno mai avuto “l’onore” delle
cronache. Mai scritti, né resi noti. Gad Lerner, allora
collaboratore de “L’Espresso”, che deve chiedere scusa ad un discusso e
chiacchierato procuratore della Repubblica di Savona. Tommaso Giglio,
all’epoca direttore del Secolo XIX, da coimputato in un’aula delle
udienze del tribunale di Genova che sbotta: <Le scuse? Questi signori
non meritano neppure il mio biglietto da visita>. Ernesto Monteverde,
“maestro” del foro ligure, quasi fino alla morte fedele avvocato di
fiducia e per anni a titolo gratuito, del glorioso Decimonono dai tempi
dei “vecchi Perrone”. Monteverde che perde le staffe e detta alla
segretaria una “raccomandata a.r.” (9 dicembre 1981) destinata
all’amministratore delegato Cesare Brivio Sforza, al direttore Giglio e
a Luciano Corrado, altro imputato, per denunciare inammissibili
interferenze e contrasti nel ruolo di difensore.
La lista continua.
Camillo Arcuri, già inviato speciale de “Il Giorno”, caporedattore
de Il Secolo XIX, sulle pagine di “Sette”scrive parole di fuoco: <La
Teardo-bis sepolta, nonostante le gravi accuse di Michele Del Gaudio,
con nomi e cognomi, senza che nessuno intervenisse. Né il Consiglio
superiore della magistratura, né i consigli di altre corporazioni,
avvocati e giornalisti, che pure avrebbero avuto materia da vagliare>.
Renzo Bailini,
ancora giovanissimo massone di Piazza del Gesù e assai meno noto come
cavaliere del Sovrano Ordine Militare ed Ospedaliero di S. Maria di
Betlemme (bolla pontificia risalente al 14 gennaio 1459), alle prime
armi come pubblicista in provincia di Savona. E’ Bailini che firma uno,
poi due dettagliati esposti-denuncia contro il “clan delle tangenti” e
trova nel Secolo XIX-Savona un implacabile “alleato”.
EMISSARI GIORNALISTI ?
NO, SONO SPIONI PAGATI
Ma quante sorprese !
Grattacapi. Cinque anni dopo l’inchiesta, gli arresti, le condanne (non
erano ancora definitive), il 16 agosto 1987, domenica, Bailini è nella
sua casa di Milano dove si era “ritirato” per prudenza (lasciando i
genitori e la sorella a Borghetto S. Spirito) e riceve una visita. Un
tizio, modi e toni convincenti, sostiene di essere giornalista del
Secolo XIX di Genova e gli chiede se era disposto ad una
“confessione-memoriale”, ben retribuita. L’emissario-“giornalista” si
dimostra assai interessato alla fase iniziale della vicenda Teardo (in
pratica chi fu la gola profonda, lo spione). Chi era stato, insomma, il
suo informatore che aveva “tradito” il clan. Un imprenditore
taglieggiato? Un “fratello muratore” col grembiulino”? O il venerabile
della loggia di appartenenza? Bailini chiede di voler riflettere.
Informa subito e scrive
(non si sa mai) a Luciano Corrado che con le sue cronache dava “buchi”
(notizie in esclusiva) ai concorrenti, contribuendo a far deflagrare il
“caso Teardo”. Corrado casca dalle nuvole, chiede notizie al collega
Luciano Basso, segretario di redazione. Per il suo ruolo, è la persona
più “vicina” alla direzione e alla proprietà del giornale.
Basso risponde per
“raccomandata a.r.”: <Egregio signor Renzo Bailini...Il collega Luciano
Corrado ci ha mandato copia della sua lettera del 22 agosto scorso. Per
correttezza e soprattutto per amore della verità, dobbiamo dirle che il
nostro giornale non ha mai pensato di chiederle “memoriali” o
“confessioni”. Abbiamo un giornalista che si chiama Giuseppe Palermo e
non Giuliano Palermo. Questo collega non è certamente quello, falso, che
si è presentato domenica 16 agosto a casa sua. Evidentemente qualcuno ha
agito in malafede, sfruttando il nome del giornale e di un collega
(peraltro inesistente a questo nome) per motivi che noi non conosciamo.
Questo Le dovevamo: anche perché Lei ne tragga le opportune conclusioni
e si sappia regolare. Le ripetiamo: il giornale ed il giornalista sono
completamente estranei all’iniziativa a Lei prospettata. Cordiali
saluti. Luciano Basso>.
Un mistero che ebbe, anni
dopo, una piccola luce. Anzi, col senno del poi, uno squarcio di luce.
Fu il questore Arrigo Molinari, a suo dire infiltrato nella P 2 per
scoprire i misteri degli anni del terrorismo e delle stragi di Stato
(così lui le definiva, ma non era il solo) a dare una dritta. Mi
ricollego alla precedente puntata. Ho riferito una confidenza di
Molinari. Era solito girare col registratore nascosto, anche quando si
recava nelle redazioni dei giornali dove era quasi di casa, soprattutto
a Genova.
Fu in quella circostanza
(dopo le confidenze del questore) che cercai di collegare la protesta
per le pressioni occulte lamentate da Monteverde. Insomma c’erano talpe?
STRANI PERSONAGGI
SI AGGIRAVANO IN TRIBUNALE
C’è da ricordare il mio
imbarazzo di fronte a “strani” consigli di un paio di colleghi, del tipo
“stai rischiando grosso, ti conviene scaricare i giudici di Savona”.
C’era il problema, come spiego più avanti, della notizia pubblicata in
prima pagina dal Secolo XIX, quattro colonne, taglio centrale, dal
titolo-bomba: <Inchiesta nel Savona Calcio. Perquisita la casa di
Teardo> Occhiello: <Clamoroso sviluppo dopo l’esposto di un massone>
Sommario: <Il presidente della Regione sarebbe nei guai a causa di
misteriosi assegni. Le comunicazioni giudiziarie per lui ed altre
persone nascerebbero da un sospetto di ricettazione. Ispezionate altre
abitazioni e sequestrati documenti bancari>. Tutto vero, ad eccezione
della mancata perquisizione nella casa di Teardo di via Al Mare 17-8 ad
Albisola Superiore.
La notizia fece il giro
delle redazioni e agenzie di stampa in tutta Italia: scoop viene
definito in gergo giornalistico. Dal suo ufficio in Regione, Teardo,
allora potentissimo e temutissimo, suonò la gran cassa, chiamando a
raccolta i fedelissimi. E reagì: tutto falso, nessuna perquisizione,
definendo la notizia <ignobile congiura diffamatoria>
Già, Il Secolo XIX che
dapprima dà in esclusiva (21 ottobre 1981) l’esposto di Bailini su “giri
di bustarelle” da parte di imprenditori, titolando “Duplice inchiesta
della Procura su Teardo per un esposto che parla anche di tangenti”.
Poi, sempre in esclusiva, i primi avvisi di garanzia, perquisizioni
domiciliari e di uffici.
Ci vuole poco a capire il
“feeling” Bailini-Corrado, manca però il secondo tassello. Solo un
magistrato o giudice (procura e allora Ufficio Istruzione del
tribunale), oppure stretto collaboratore, poteva aver soffiato le due
notizie, ricche di particolari. C’è di più, Corrado deve difendersi,
dare spiegazioni, per aver arrecato <un grave danno all’immagine e alla
credibilità del giornale....nonostante richiamato fino a tarda sera, ore
23, a verificare le notizie> per la “bufala” della perquisizione
domiciliare a Teardo. La lettera, durissima, è firmata per lo staff di
direzione da Giulio Anselmi e indirizzata al capo della redazione
Luciano Angelini, al suo vice, Sergio Del Santo ed è lui che “passò”
(ultima correzione) il pezzo-scandalo.
Angelini reagì rassegnando
le dimissioni (respinte). Del Santo era molto abbattuto. Pur senza
rivelare la fonte, mi sforzai di far capire ai “capi” che la mancata
perquisizione, nonostante fosse stata decisa ed ero sicuro, venne
bloccata due ore prima del blitz, al primo piano del tribunale, i
giudici istruttori invece erano al secondo piano. Di più: nell’obiettivo
iniziale, mi risultava, doveva esserci anche l’ufficio, a Genova, del
super presidente. Sulla perquisizione piombò il “veto”, un “consiglio” a
desistere? Con quale motivazione? Un giorno, spero di poterlo
raccontare, soprattutto per rendere onore a chi davvero lo merita, non
avendolo avuto fino ad oggi, se non in piccola parte e solo nella prima
fase della vicenda quando figurava anche il capo ufficio Antonio
Petrella. A questo punto è utile fare un passo indietro, al clima che si
viveva al giornale e dintorni nei giorni in cui venne fissato il
processo per diffamazione.
QUEL FOTOGRAFO
“AMICO” DI TEARDO
Prima udienza, venerdì 15
gennaio 1982. Essendo un processo per direttissima, la sentenza arriverà
già il 28 gennaio. Quel venerdì c’erano le telecamere della Rai
regionale, parecchi fotografi, uno in particolare continuava a far
scatti, ad avvicinarsi per “primi piani”, al punto che il mio difensore,
Romano Raimondo, uomo affabile e professionista abilissimo (con un
grande merito nell’esito finale, dopo 8 anni), pure lui “timoroso” del
clima e del risultato, si avvicinò al Pm d’udienza per chiedere se
“conosceva quel tizio...”. Più sbrigativo Monteverde che difendeva il
direttore Giglio, lui taciturno come sempre, seduto sul banco degli
imputati.
Il “maestro” si lascia
andare ad una delle sue sagaci battute in dialetto genovese: <U le’ in
frillu, u’ belinun de turnu...>. Con un invito diretto ad essere meno
invadente e rivolto al presidente del collegio giudicante, Giordano:
<Abbiamo anche il fotografo ufficiale del tribunale? O di Teardo? Non mi
era ancora successo in un’aula di giustizia...>.
Questo collega, quasi agli
esordi della professione, diventerà in seguito, meritatamente,
dimostrando saggezza ed equilibrio, presidente dell’Ordine dei
giornalisti liguri. Oltre che bravo cronista di giudiziaria.
Nel capo di imputazione
venivano indicati i due titoli incriminati: < aver riportato
contrariamente al vero che l’abitazione di Teardo era stata perquisita,
contestualmente (circostanza veritiera) all’invio di comunicazione
giudiziaria per il reato di ricettazione (questa l’imputazione madre di
quello che diventerà un ciclone con 368 reati accertati n.d.r.)>.
Secondo capo d’accusa:
<...offeso la reputazione di Leo Capello, nella sua qualità di
presidente del Savona-Calcio affermando che la Procura della Repubblica
di Savona aveva aperto un’inchiesta su un esposto che parlava di un
finanziamento ricevuto da Leo Capello...>
In effetti, Il Secolo XIX
pubblicò la notizia il giorno prima dell’iscrizione ufficiale sul
registro A (indagati) della Procura stessa. Un capitolo che mi vincola,
in questo caso con maggiore forza, al segreto professionale. Posso
aggiungere che le spiegazioni date nel libro-testimonianza del giudice
Del Gaudio (in assoluta buona fede e convinzione) non corrispondono alla
realtà.
Del resto, in quanto
imputato, il codice consente di non dire la verità. Nessuna congiura
antiTeardo comunque. Spero un domani di “aprire il libro”, ma all’epoca
col clima imperante alla Procura della Repubblica di Savona si dovette
escogitare un “mossa strategica” che ottenne il risultato previsto. Cioè
la supercelere richiesta di archiviazione dell’esposto di Bailini da
parte del Procuratore capo, Camillo Boccia, dopo una rapidissima
deposizione (8 minuti), quale teste, di Leo Capello e, udite, udite,
neppure l’esigenza di interrogare a chiarimenti e completezza il
firmatario, cioè lo stesso Bailini. Aspetto da incorniciare che ha
descritto molto bene il giudice Del Gaudio.
RICHIESTA DANNI
DA OLTRE UN MILIARDO
Per concludere il capitolo
sentenza, ancora pochi accenni di quei giorni. C’è chi mi consigliava di
rivelare la fonte responsabile della “cantonata” per non “beccare” una
condanna ed una richiesta danni stratosferica. Oltre un miliardo da
destinare in beneficenza. Il direttore Giglio, con grandissima dignità e
correttezza, non entrò mai nel merito della fonte. Non mi chiese. Non
poteva essere frutto di un‘invenzione o “leggerezza”. Aveva capito che
si era inceppato, di fronte al “big” Teardo, un meccanismo. In tutta
franchezza temeva di finire sommerso pure lui, seppure con minori
responsabilità come prevede la legge per i “direttori responsabili”.
Decisi di resistere, non
per eroismo. Forse incoscienza, ma lo sentivo come un dovere di fronte a
tanta prepotenza ed impunità perdurante. Del resto in tema di processi
per diffamazione stampa avevo alle spalle due vicende non proprio
piccole. Un importante imprenditore edile (all’epoca dei fatti, anni
sessanta) di Loano, socialdemocratico, assessore provinciale, mi querelò
quando scrivevo sulla Settimana Ligure (direttore responsabile Romano
Strizioli, oggi collaboratore de La Stampa da Albenga) e chiese i danni.
Una storia di presunta speculazione immobiliare. Oggi posso parlarne. La
vicenda si concluse bene per l’intervento di Secondo Olimpio, allora
potente capo ufficio stampa del ministro Paolo Emilio Taviani. Ci pensò
il procuratore della Repubblica in udienza, Camillo Boccia, a favorire
una transazione (nessuna spesa, ma la pubblicazione di un chiarimento).
Altra querela, altra grossa grana la vissi quando da direttore
responsabile de La Nuova Liguria (1967) l’ingegner Emanuele Della Valle,
di Albenga, molto popolare in tutta la vallata, portava avanti la sua
tenacissima battaglia sull’arginamento del Centa e contro il presidente,
dottor Franco Ugo. Quella volta fui fortunato perché Della Valle si
assunse l’onere di far fronte a tutte le spese e alla transazione, senza
arrivare ad un processo che si presentava molto insidioso.
Sta di fatto che, a
Genova, mi convinsi a mantenere inviolati i “miei segreti” anche perché
Teardo davanti ai giudici anziché i “toni bassi”, sostenne: <Sono
oggetto di una violenta campagna di stampa, estesa su altri giornali,
Paese Sera (allora con Ennio Remondino, oggi inviato speciale per la Rai
in Turchia n.d.r.) e l’Unità che non giustifico ma capisco per la loro
matrice politica, ma non capisco la sistematica persecuzione da parte
del Secolo XIX>.
Teardo ammise di sapere
dell’esistenza di difficoltà economiche del Savona Calcio, di aver
sollecitato sottoscrizioni da parte di amici solo spinto dall’entusiasmo
che lo animava nei confronti del mondo calcistico. Piccola annotazione
divertente di cronaca. La collega dell’Unità che seguiva il processo
restò impressionata dall’attivismo di “quel giovane collega, munito di
macchina fotografica”. Risultato: fu ripreso e “pubblicato” dall’Unita
mentre conversava con Teardo nei dintorni del palazzo di giustizia.
Dopo la prima sentenza con
lievi condanne (multe) e piccolo risarcimento, fissato dagli stessi
giudici, la Corte d’appello, sezione II, il 23 settembre ’87 (cinque
anni dopo il primo giudizio) manda assolto Corrado per la diffamazione a
Capello “perché il fatto non costituisce reato> e per diffamazione ai
danni di Teardo per <aver agito nell’esercizio di un diritto>.
Questa volta è il
procuratore generale di Genova che appella e la Cassazione annulla la
sentenza, con rinvio ad altra Corte d’appello. A quel punto, siamo al 5
luglio ’89, scatta la prescrizione, l’estinzione del reato e
l’improcedibilità dell’azione penale. Nel frattempo Tommaso Giglio è
deceduto, Il Secolo XIX ha perso uno dei suoi direttori “più
indipendenti dal potere politico ed economico”. Si racconta che
rifiutava persino di parlare al telefono con certi potentati politici
romani. Come faceva con palazzinari, affaristi rampanti, banchieri. Ma
non era il solo. Anche Cesare Brivio, per un periodo editore-timoniere
del giornale (con i cugini Perrone e Grazioli), non amava certi
personaggi del mondo politico ed imprenditoriale ligure. Per questo non
era considerato un “amico” fidato su cui contare. Un interlocutore
valido. E non era neppure massone, col giuramento dell’aiuto reciproco e
della fratellanza in caso di bisogno. Costi quel che costi.
Inoltre, siamo sinceri, in
Italia non abbiamo la buona abitudine dei giornali inglesi che
combattono la crisi di lettori e l’erosione di fette di mercato, andando
a fondo delle cose, con inchieste mirate, fuori del Palazzo, unite
all’innovazione e alla qualità del prodotto.
Persino il “ciclone
Teardo” vede da una parte i fedeli, i fedelissimi, anche nel mondo
dell’informazione, locale e nazionale. Ma il tempo, si sa, aiuta a
dimenticare. Tutto.
LETTERA DI SCUSE
FIRMATA GAD LERNER
Una storia singolare, per
gli sviluppi, interessa un personaggio di primo piano nel mondo del
giornalismo italiano. Finito nel mirino, nelle grane, per aver osato
troppo, o forse per non essersi documentato a sufficienza, o ancora per
aver ricevuto informazioni parziali. Si tratta di Gad Lerner, tra i più
autorevoli giornalisti italiani del “piccolo schermo”. Un collega con
fama di serietà, coerenza e coraggio che è stato direttore della
corazzata di “Rai Uno” (il telegiornale), ora conduce interessanti
programmi sulla “7” ed è stato collaboratore de “L’Espresso”.
Cosa aveva combinato di
grave il collega Lerner? Aveva “attaccato” l’allora procuratore della
Repubblica, Camillo Boccia, per il tentativo di insabbiare l’inchiesta
al suo nascere. Perché ? Per Lerner, dietro le quinte, c’era una
frequentazione tra Boccia e Teardo, allora l’uomo più influente e
potente a Savona, ma anche a Genova, in Regione, con solidi legami ed
iscrizione in ambienti massonici (Piazza del Gesù e Palazzo
Giustiniani), ma soprattutto affiliato alla P2 di Gelli, alla quale
risultava iscritto, dietro versamento di 1 milione.
Ecco la lettera di scuse
che Gad Lerner, assistito dall’avvocato Oreste Flammini di Roma, dovette
scrivere al dottor Boccia il 5 marzo 1985, a meno di due anni dalla
grande retata che portò in carcere il presidente della Regione, della
Provincia ed il suo vice, dell’Iacp, sindaci, assessori e...>
<In riferimento a quanto
da me scritto sull’Espresso n.41 del 16 ottobre 1983 nell’articolo dal
titolo “Il metodo Teardo”, non ho nessuna difficoltà a darle atto che
dagli atti istruttori del processo Teardo è risultato che Lei non si è
mai occupato di nessuna inchiesta giudiziaria a carico del Teardo
stesso, ma soltanto dell’esposto del signor Renzo Bailini che accennava
ad “oscuri finanziamenti” alla squadra di calcio del Savona.
Dopo l’espletamento delle
prime indagini (che avvenne con grande celerità da parte sua) Lei ebbe a
chiedere l’archiviazione del suddetto esposto e, quindi, la notizia che
“tutta l’inchiesta sul clan Teardo sarebbe partita molto tempo prima” se
Lei non avesse archiviato quella volta, si è rivelata priva di
fondamento.
Il suo primo incontro
casuale con il Teardo nel corso di una conferenza organizzata dal
Panatlon di Savona è avvenuto, infatti, solo in data 21 novembre 1981
(cioè dopo la sua richiesta di archiviazione dell’esposto di Bailini) e,
di conseguenza nessun rapporto di amicizia è mai intercorso tra Lei e il
signor Teardo.
Lieto di aver chiarito
ogni equivoco invio i miei migliori saluti, con l’espresso consenso da
parte mia ad una eventuale pubblicazione della presente lettera a sue
spese nella ipotesi che ella lo ritenga opportuno>.
La lettera di scuse, in
tempi reali, ci fu consegnata da un penalista di Savona che, all’epoca,
assisteva il procuratore della Repubblica.
CAMILLO ARCURI
SPARO’ A ZERO
Un’altra firma, con un
glorioso passato al “Giorno” e documentati, sferzanti servizi di
denuncia sulla speculazione edilizia in Liguria, già negli anni
sessanta. Camillo Arcuri nel periodo in cui è rimasto al Secolo XIX,
come caporedattore, è stato tra i più convinti nel portare avanti la
battaglia della “pulizia” nel mondo politico-amministrativo. Con altri
colleghi più anziani (ricordo soprattutto Badino, Cavassa, Bazzali,
Angelini, Grimaldi) e non solo, ha cercato di incoraggiarmi.
Conosceva l’importanza del
sostegno di squadra quando ha scritto per “ Sette” l’intervista a
Michele Del Gaudio. Titolo: <Dieci anni fa, Di Pietro ero io>. Ecco un
passo significativo: <Era il 1983. Noi due giudici istruttori di Savona,
Francantonio Granero ed io, ci siamo sentiti veramente isolati davanti
al clan P2 di Teardo, col procuratore della Repubblica che aveva già
chiesto l’archiviazione del caso e col presidente del Tribunale che si
era raccomandato agli stessi gelliani per ottenere la promozione. In più
la procura generale di Genova che, attraverso Sossi, ci invitava a far
presto, a chiudere il caso prima delle elezioni. Teardo era alla vigilia
di entrare in parlamento, mentre noi lo mandammo in carcere>
CHI SCELSE DI ARENARE
LA TEARDO-BIS E PERCHE’
Altro passaggio
dell’intervista di Michele Del Gaudio ad Arcuri: <La tangentopoli
italiana avrebbe potuto esplodere 10 anni prima, partendo proprio dalla
Liguria, infatti i primi arresti di Di Pietro sono del ’91-’92. Di
sicuro, non saremmo stati tanto osteggiati, perseguitati, noi due
giudici istruttori costretti di fatto ad andarcene, i nostri bracci
operativi, il colonnello dei carabinieri Bozzo, il generale Biscaglia
della Guardia di Finanza, trasferiti, insomma puniti. E’ così che la
Teardo-bis, l’inchiesta di più alto livello da noi indirizzata verso
Roma, sulle orme dei Cad2 (Centri di azione democratica P2 fondati da
Teardo) finì in archivio. La sede del Cad 2 di Roma corrispondeva agli
uffici privati di Enrico Manca, il presidente della Rai-Tv. E ancora, un
passaggio di assegni per decine di milioni, come da dichiarazioni a
verbale, che accompagnò l’adesione di Teardo alla corrente di De
Michelis....tutto finì in archivio, sepolto, perché non so – concludeva
De Gaudio – come siano state condotte le indagini ed i giornali hanno
evitato di approfondire, di informare. Non mi importa sapere chi fossero
i miei colleghi. Di certo una volta estromessi noi, non è più stato
fatto alcun passo avanti. Il disegno si è compiuto>.
Eppure non si può scrivere
che almeno su questo fronte, Savona faccia parte per quel periodo
dell’elenco di “Corrotti, impuniti e felici”, pubblicato nel n.40
dell’Espresso, l’11 ottobre scorso. Dove compare la fotina di Teardo,
con la condanna definitiva in Cassazione (con una chicca inedita che
pubblicheremo nelle prossime puntate di cui fu protagonista e componente
del collegio giudicante il fratello giudice di Aldo Moro, lo statista
ucciso dalle Brigate Rosse).
FRANCANTONIO GRANERO
GIUDICE DIMENTICATO
Ma forse è “omissione di
cronaca” ignorare anche chi di interviste non ne ha mai concesse, se non
in un paio di circostanze all’epoca successiva degli arresti, e che ha
avuto un ruolo decisivo, determinante nell’evoluzione dell’inchiesta e
delle indagini. E’ Francantonio Granero che prese il posto di Antonio
Petrella (si interessò solo alla fase iniziale del fascicolo). Granero,
giudice in apparenza scontroso, diffidente, che prima di fidarsi di
qualcuno ci pensava tre volte, ma di estremo coraggio nei momenti più
difficili, insidiosi dell’inchiesta. Anche col cronista sotto processo
per diffamazione. Non fu cosi per un (allora) timorosissimo Del Gaudio.
Granero impegnato nell’opera di informatizzazione degli atti e
dell’intero ciclo istruttorio, con un grandissimo beneficio per la
giustizia. Fu il primo processo informatizzato d’Italia.
Grazie a Granero, eppure
aveva lasciato Savona quasi nell’indifferenza generale. Lui, forse,
aveva intuito, come altri, di aver osato troppo, e non l’avrebbero
perdonato. Ebbene anche con quel cronista che un giorno gli confidò -
come ha rivelato Del Gaudio in un suo libro - che <ci furono tentativi
persino in Vaticano e al Consiglio Superiore della Magistratura per
bloccare quei due, ma non ci fu nulla da fare>, Granero, con quel suo
mezzo sorriso caratteristico, rispose: <Continueremo a fare il nostro
dovere, non importa se un giorno a Savona si dimenticheranno di noi>. E’
stato profeta.
Luciano Corrado
(CONTINUA)
(Seconda puntata)
ELENCO DI IMPUTATI E
TESTIMONI
INTERROGATI
NELL’INCHIESTA “TEARDO”
Trattasi di materiale che
fa parte di un dossier utilizzato a fini storico-documentali.
DALMASSO Enzo (teste),
primo interrogatorio il 24 marzo ‘84
D’AMBROSIO Domenico
(teste), primo interrogatorio il 21 marzo ‘84
DAMONTE Bruno (teste), 22
agosto ‘83
DAMONTE Giovanni (teste),
21 giugno ’83, seguono 5 interrogatori
D’AURELIO Giuseppe
(teste), 13 febbraio ‘82
DE DOMINICIS Massino(imputato),
10 divembre ’81, seguono 4 interrogatori
DE FILIPPI Mario (teste),
27 giugno ’83, seguono 3 interrogatori
DOSSETTI Giovanni
(imputato), 5 giugno ’82, seguono 8 interrogatori
DOSSETTI Giuseppe (teste,
poi imputato), 11 novembre ‘81
DUCCI Mario(teste). 4
febbraio ‘84
FABRONI Giuseppe (teste),
25 maggio ‘82
FARAUT Silvano (teste), 14
maggio ‘82
FARINAZZO Delio (teste), 5
novembre 82
FARINAZZO Silvio (teste),
4 novembre ‘82
FAROPPA Adriano (teste),
1° marzo ‘84
FAVA Francesco (teste), 26
marzo ‘84
FERRANDO Luigi (teste), 16
luglio ‘83
FERRARA Giuseppe (teste),
25 gennaio ‘84
FERRAZZANO Giuseppe
(teste), 28 gennaio ‘84
FERRO Giannantonio
(teste), 12 ottobre ‘83
FOLCO Guido (teste), 7
luglio ‘83
FRANCHI Angelo (teste),
1°marzo ‘84
FRECCEROAngelo (teste), 4
luglio ‘83
FRANCO Franco (teste), 4
gennaio ‘84
FRECCERO Carlo (teste), 21
maggio ‘82
FRIXIONE Antonio (teste),
27 luglio ‘83
FURLOTTI Mario (teste), 28
gennaio ‘84
GAGGERO Giuseppe (teste),
seguono 5 interrogatori
GAGGERO Nino (imputato), 3
settembre ‘83
GAGLIERFO P.Fausto
(teste), 16 gennaio ‘84
GALLI Giorgio (teste), 4
aprile ‘84
GAMBARDELLA Nicola
(teste), 27 gennaio ‘84
GATTERO Vincenzo (teste
messo a confronto), 9 febbraio ‘84
GATTI Francesco (teste), 8
settembre ‘83
GATTO Luisa (teste), 31
marzo ‘82
GENESIO Giuseppe (teste),
8 ottobre ‘83
GERINI Luciano (teste), 10
agosto ‘83
GERMANO Mario (teste), 16
luglio ‘83
GHELARDI Leandro (teste),
24 novembre ‘81
GHERSI Umberto (teste),
21 maggio ‘82
GHINOI Eraldo (teste), 9
gennaio ‘84
GHIGLIAZZA Piersanto
(teste), 18 giugno ’83, seguorno 7 interrogatori
GIACCHERO Roberto (teste),
31 gennaio ‘84
GHIGLIOTTI Carlo (teste),
7 febbraio ‘84
GIANCONTIERI Salvatore
(teste), 26 agosto ‘83
GIOMETTI Giancarlo
(teste), 11 ottobre ‘83
GIORDANO Giuseppe
(teste), 16 gennaio ‘83
GIORDANO Roberto (teste),
29 novembre 83
GIUNTINI Luigi (teste), 10
aprile ‘84
GONELLA Roberto (teste),
24 gennaio ‘84
GOVONI Maria (teste), 5
agosto ‘83
GRANAGLIA (teste), 12
aprile ‘84
GRANAIOLA Antonio (teste),
10 settembre ‘83
GRANDIS Maurizio (teste),
23 genniao ‘84
GRECO Maria Enrica
(teste), 28 dicembre ‘83
GREGORIO Francesco (teste
e poi imputato, 21 maggio ‘83
GREGORIO Vittoria (teste),
14 maggio ‘82
GRISOLIA Luigi (teste), 14
aprile ’82
GRONDONA Alberto (teste),
27 luglio ‘83
GUAGNINI Silvano (teste),
20 novembre ‘81
GUERCI Nicola (imputato),
13 luglio ’83, seguono 6 interrogatori
GULLI Giuseppe (teste), 28
gennaio ‘84
GUGLIELMINO Anna Maria
(teste), 9 aprile ‘83
INGARAMO Aldo (teste), 2
giugno ‘82
INVREA Isabella (teste),
10 giugno ‘83
INVREA LUCA (teste), 28
luglio ‘83
LAGASIO Mario (teste), 12
ottobre ‘83
LABATE Fortunato (teste),
28 luglio ‘83
LANZA Giuseppe (teste), 11
febbraio ‘83
LEO Massimo (teste), 16
agosto ‘83
LEQUIO Remo (teste), 26
marzo ‘84
LOCCI Luciano, primo
interrogatorio da teste il 10 dicembre ’81 e il 4 novembre ’82, poi da
imputato il 5 febbraio ’83, seguono altri due interrogatori
LOCCI Tullio, teste il 14
dicembre ’81, poi imputato l’11 febbraio ‘83
LOMBARDINI Licio (teste),
27 maggio ‘83
LOVATI G. Battista
(teste), 24 agosto ‘82
LUGARO Valentino (teste),
24 marzo ‘84
LUGLI Bruto (teste), 1°
febbraio ‘84
LOMBARDI Giuseppe (teste),
27 marzo ‘84
(segue prossima puntata)
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