La rubrica di Gloria Bardi IMBARAZZANTE NOBEL Di Mario Capecchi, prima del Nobel non sapevamo pressoché nulla ma la sua vicenda è di quelle che “riempiono” e che per molti versi “ingombrano”. La sua vita, come molti hanno potuto leggere, è da romanzo: nato a Verona nel ‘37 da una madre intellettuale con background artistico, Lucy Ramberg, antifascista e antinazista, che aveva insegnato letteratura alla Sorbona, parlava quindici lingue ed era figlia di una famosa pittrice americana e di un archeologo tedesco, e da Luciano Capecchi, ufficiale di aviazione e fascista convinto, che risulterà tra i dispersi della guerra d’Africa. "Il loro fu amore a prima vista ma per fortuna mia madre decise di non sposarlo", commenta il neo-Nobel e con questo commento, più che con i fatti, salta il fosso che separa un modello agiografico di biografia da una visione disincantata e antidogmatica della realtà. Un “ma per fortuna” che lo rende già di per sé molto inadatto a fare il testimonial dell’italianità. La madre, a causa della posizione critica assunta pubblicamente nei confronti delle leggi razziali, venne arrestata dalla Gestapo in Alto Adige, dove aveva cercato rifugio col figlio di tre anni, e deportata a Dachau come prigioniera politica. Sapendo il rischio cui andava incontro, Lucy aveva provveduto a vendere tutti i suoi averi e a consegnare il ricavato ad una famiglia contadina perché, in caso di suo arresto, provvedesse al bambino. Anche questo passaggio non è molto ortodosso per noi: una madre che per “fare politica” si sottrae alla logica del “tengo famiglia” è qualcosa che farebbe stringere i denti a molti nel paese dove "son tutte belle le mamme del mondo". Non so in quanti sarebbero disposti a dare una medaglia a quella madre ribelle e imprudente. Finiti i soldi, la famiglia dei buoni contadini mise alla porta il piccolo estraneo, che a cinque anni si unì ad una banda di bambini di strada e giovani teppisti e con loro visse di espedienti e furti. A otto anni, a causa della malnutrizione e della febbre si ritrovò tra i ricoverati di un ospedale di Reggio Emilia, dove dormiva nudo sul materasso e riceveva una crosta di pane e una tazza di caffè al giorno. Anche in questo passaggio biografico, Capecchi non ci risparmia qualche brucior di stomaco. Sì, insomma, mentre noi siamo tutti presi dalla crociata in nome della sicurezza, senza troppo sottilizzare su questioni d’età, questo se ne viene fuori col passato da piccolo teppista, sopravvissuto con furti ed espedienti. Mette male pensare che il piccolo lavavetri, cui neghiamo la postazione, o il piccolo rom a cui neghiamo l’accampamento, o il piccolo immigrato cui certi Alberti da Giussano vorrebbe negare anche l’aria, possano un giorno spuntar fuori da un piedestallo qualsiasi e venirci a raccontare una storia simile, da cui risulta che è grazie ai furti commessi in banda che ci ritroviamo un nobel e, quel che più conta, scoperte risolutive per l’intera umanità. Minimo, è imbarazzante, anche per i nostri “bamboccioni”, cresciuti a giustificazioni sul diario, cappuccino e brioche. Cellule staminali Ma l’imbarazzo non finisce a questo punto. La madre single di Mario, molto provata da Dachau, da cui la liberano gli Americani, lo ritrova in ospedale e con lui si imbarca per l’ America, dove vengono accolti in una sorta di “comune utopistica” quacchera presso Philadelphia, cui appartiene il fratello, Edward Ramberg, docente di fisica. Da qui, una carriera scolastica in ascesa, la laurea ad Harvard in biologia molecolare, la docenza, le ricerche sul gene targeting e l’attuale Nobel, insieme all'americano Oliver Smithies e all'inglese Martin Evans, biologi, per le loro "scoperte pionieristiche sul sistema embrionale delle cellule staminali e la ricombinazione del Dna nei mammiferi". E l’Accademia Reale di Svezia sottolinea il contributo dato da tali ricerche alla conoscenza di "numerosi geni nello sviluppo embrionico, la fisiologia adulta, l'invecchiamento e la malattia" e all’individuazione delle cause di malattie che colpiscono a livello cellulare, quali la fibrosi cistica. Capecchi, vale notarlo, è laureato in biofisica e non in medicina, se non honoris causa, né lo sono gli altri due associati al Nobel, e questo è molto significativo rispetto alla necessità di superare la compartimentazione dei saperi. Ma veniamo al terzo mal di stomaco tutto italiano, presente in forma di rimpianto nelle parole di Capecchi, che tra l'altro pare ricordi ben poco della sua lingua d’origine: egli lamenta di "non potere mettere a frutto i miei studi in Italia, dove la ricerca sulle staminali embrionali è vietata". Allora, che facciamo? Gongoliamo d’orgoglio, peraltro dopo avergli conferito vari riconoscimenti tra cui la recente laurea honoris causa a Bologna? D’accordo che siamo il paese dell’ipocrisia, ma a tutto c’è un limite! I rapporti con l’Italia di quest’uomo non mi sembrano molto da patria honoris causa per quello che ci riguarda: anzi, l’Italia fa la parte di quella famiglia altoatesina che, dopo averlo mantenuto a pagamento per qualche anno, quando finiscono i soldi lo caccia di casa e lo affida alla strada. Se infatti non fossero state le vicende di famiglia, sarebbe stato l’amore per la ricerca a farlo fuggire lontano da un paese bacchettone e ipocrita, che oggi respinge le sue ricerche, sgradite al Vaticano e ai suoi vassalli elettorali. Intendiamoci! anche secondo me in tali ricerche ci sono aspetti inquietanti, che non riguardano la dimensione antropo-metafisica fonte della legge 40, bensì l’impiego come cavie di sperimentazione di esseri senzienti: ciò mi accende mille quesiti morali, la cui soluzione però non sta certo nel divieto, quanto nello sviluppo di tecniche alternative, tra cui appunto la ricerca genetica e la clonazione di organi. Osservo di passaggio come proprio lo studio di Capecchi confermi un dato eticamente contraddittorio, ovvero la somiglianza genetica uomo-animale, superiore al 90%. "Oggi anche in America questo tipo di ricerca è difficile e controversa", precisa Capecchi, che si autodefinisce "credente ma non praticante". Per questo Smithies si augura che il riconoscimento da parte dell’Accademia di Svezia contribuisca ad ottenere nuovi investimenti, quegli stessi che l’Italia, con Rutelli in testa, vorrebbe bloccare anche a livello europeo. Capecchi comunque conclude ottimisticamente, malgrado la brutta figura del referendum abrogativo della legge 40, disertato dalla nostra poco volenterosa opinione pubblica, e il mio truciolo farà sua questa conclusione: "Ma in un futuro non lontano anche l'Italia sarà costretta a cambiare politica perché così vuole l'opinione pubblica. E perché anche gli individui più devoti hanno il dovere morale di battersi per curare chi già vive e soffre e non solo chi non è mai nato". GLORIA BARDI FOGLI MOBILI
Mario capecchi