TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

Gli occhi di un bambino

 

a cura di Antonella De Paola 

 

E’ raro  sentirsi in totale sintonia con qualcuno. Lo è ancora di più per un animalista, isolato dalla maggioranza dei suoi simili dal muro di indifferenza che la nostra specie riserva ai non umani. E’ per questo che la lettera inedita di Rosa Luxemburg, pubblicata su La Stampa del 13 ottobre scorso con il titolo “Mio povero bufalo, mia amato fratello”, mi ha colpito come raramente mi accade. Ed è per questo che lo ho copiato e, in parte, ve lo ripropongo. L’intensità del testo non ha bisogno di premesse né di commenti. Mi auguro vivamente che faccia vibrare anche le corde del vostro cuore.

                            

Da una lettera alla sorella Sonicka che Rosa Luxemburg (1870 -1919), polacca figlia di ebrei, marxista e pacifista, scrisse negli anni di prigionia che precedettero il suo assassinio ad opera dell’allora governo socialdemocratico tedesco. 

“Nel cortile dove vado a passeggiare arrivano di frequente carri dell’ esercito, zeppi di sacchi o vecchie giubbe e casacche militari, spesso con macchie di sangue. Vengono scaricate, distribuite nelle celle per i rattoppi e quindi di nuovo caricate e rispedite all’esercito. Qualche tempo fa è arrivato un carro tirato da bufali anziché da cavalli. Per la prima volta ho visto questi animali da vicino. Di struttura sono più robusti e più grandi rispetto ai nostri buoi, hanno teste piatte e corna ricurve verso il basso, il cranio è più simile a quello delle nostre pecore, completamente nero e con grandi occhi mansueti. Vengono dalla Romania, sono trofei di guerra… I soldati che conducono il carro raccontano quanto sia stato difficile catturare questi animali bradi, e ancor più difficile farne bestie da soma, abituati com’erano alla libertà. Furono presi a bastonate in modo spaventoso, finché non valse anche per loro il detto “vae victis”…

 

Qualche giorno fa arrivò dunque un carro pieno di sacchi, accatastati a una tale altezza che i bufali non riuscivano a varcare la soglia della porta carraia. Il soldato che li accompagnava, un tipo brutale, prese allora a batterli con il grosso manico della frusta in modo così violento che la guardiana, indignata, lo investì chiedendogli se non avesse un po’ di compassione per gli animali. “Neanche per uomini c’è compassione” rispose quello con un sorriso maligno, e batté ancora più forte…  gli animali infine si mossero e superarono l’ostacolo ma uno di loro sanguinava… Sonicka, la pelle del bufalo è famosa per essere assai dura e resistente, ma quella era lacerata.

 

Durante le operazioni di scarico gli animali se ne stavano esausti, completamente in silenzio, e uno, quello che sanguinava, guardava davanti a sé e aveva nel viso nero, negli occhi scuri e mansueti, un’espressione simile a quella di una bambino che abbia pianto a lungo. Era davvero l’ espressione di una bambino che è stato punito duramente e non sa per cosa né perché, non sa come sottrarsi al tormento e alla violenza bruta… gli stavo davanti e l’animale mi guardava, mi scesero le lacrime – erano le sue lacrime; per il fratello più amato non si potrebbe fremere più dolorosamente di quanto non fremessi io, inerme davanti  a quella silenziosa sofferenza.

 

Quanto erano lontani, quanto irraggiungibili e perduti i verdi pascoli, liberi e rigogliosi, della Romania! Quanto erano diversi, laggiù, lo splendore del sole, il soffio del vento, quanto era diverso il canto armonioso degli uccelli o il melodico richiamo dei pastori! E qui… questa città ignota e abominevole, la stalla cupa, il fieno nauseabondo e muffito, frammisto di paglia putrida, gli uomini estranei e terribili e… le percosse, il sangue che scorre giù dalla ferita aperta.

 

Oh, mio povero bufalo, mio povero, amato fratello, ce ne stiamo qui entrambi così impotenti e torpidi e siamo tutt’uno nel dolore, nella debolezza, nella nostalgia… Intanto i carcerati correvano operosi qua e là intorno al carro, scaricavano i pesanti sacchi e li trascinavano dentro l’edificio; il soldato invece ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni, se ne andò in giro per il cortile ad ampie falcate, sorrise e fischiettò tra sé una canzonaccia…”