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INTERVISTA DELLA SETTIMANA

Il primario che buttò giù dalle scale un portaborse

IL PROFESSOR LUIGI BRUNI
UN GUERRIERO IN OSPEDALE:
VIA I POLITICI DALLE ASL

TESTIMONIANZA ESCLUSIVA DI UN PROTAGONISTA E MATTATORE DELLA SANITA’ SAVONESE. L’EX PRIMARIO DEL SAN PAOLO, 82 ANNI, IN GRAN FORMA, RIVELA RETROSCENA INEDITI. IL GIORNO IN CUI BUTTO’ GIU’ DALLE SCALE UN PORTABORSE DI TEARDO. LE SUE LOTTE A SUON DI CARTE BOLLATE CON ALCUNI EX PRESIDENTI DEL SAN PAOLO. FA I NOMI DI MEDICI E PRIMARI. DI CHI LO SOLLECITO’ AD ENTRARE IN MASSONERIA. FA UN RITRATTO IMPIETOSO DELLA SANITA’, CON UNA SERIE DI PROPOSTE. VIA I POLITICI DALLE ASL. RICORDA COME SALVO’ DA MORTE CERTA DIECI PAZIENTI RICOVERATI PER IL MORBO DI LYELL. POI ALCUNI CONSIGLI DI VITA SANA.

di LUCIANO CORRADO.

 

IL PROFESSOR LUIGI BRUNI

SAVONA - Per oltre un ventennio ha “fatto notizia”. In qualche caso scalpore. Il professor Luigi Bruni, primario di dermatologia del “San Paolo” di Savona, è stato un grande mattatore della cronaca savonese, ma non solo. Spesso in “guerra” aperta con gli amministratori ospedalieri, spesso sul “palcoscenico” della carta stampata per le sue scoperte e soprattutto i risultati ottenuti nella cura della terribile sindrome di Lyell, causata da intossicazione da farmaci.

 Bruni ha strappato alla morte 10 pazienti su 10 curati, forse unico caso al mondo. E ancora, nella cura della psoriasi, dermatosi della pelle, ha raggiunto traguardi da primato.

Conclusa quella parentesi alla ribalta, lasciato l’ospedale e l’insegnamento universitario per la pensione, Bruni è finito nel consueto dimenticatoio dei mass media. Lui che, un giorno sì e l’altro pure, era rincorso dai cronisti, si è trovato nel limbo, ignorato dai media, ma non dai suoi pazienti. Perché non ha scelto di finire in soffitta, ha scelto di continuare ad essere utile a chi soffre e ha bisogno di cure. Come dimostra questa intervista che Bruni ha voluto concedere ad un cronista-testimone del suo tormentato e glorioso percorso di medico ospedaliero. Domande e risposte a caldo. L’ex primario rivela, ad esempio, di aver saputo che si sono verificati quattro casi di morte per Lyell, ma nessuno l’ha chiamato quantomeno per un consiglio. Rivela di aver contribuito a salvare in altre parti d’Italia 4 pazienti: uno ad Ancona, 2 a Torino, tra cui un medico, uno a Pordenone. Come? Con un confronto giornaliero, via telefono, nei centri clinici di cura.

Un’intervista a tutto campo, ricca di notizie inedite. Con un uomo che con le sue 82 primavere e in forma smagliante, determinato e pungente, descrive dalla sua visuale lo spaccato della sanità pubblica e privata, del malato ("Il grande dimenticato in tante dispute, polemiche di campanile o di corporazioni"), i limiti e i pregi della nuova generazione di medici e specialisti.

Bruni, come è sempre stata sua abitudine, parla senza peli sulla lingua, dice pane a pane e vino al vino, senza acrimonia, ma attento ad evitare eventuali querele o richieste danni, lui che di battaglie anche su questo fronte ne ha vissute e vinte parecchie. Ora, smessi i panni della voce critica, preferisce parlare da "vecchio saggio", quasi per rilasciare, almeno in parte, il testamento etico.

Professor Bruni, partiamo da lontano, ci parli della sua infanzia...

Sono nato a Broni, nel Pavese. Papà, che ho avuto la fortuna di avere con me fino ai suoi 92 anni, era capostazione, prima a Genova Principe, poi a Brignole; la mamma casalinga. Una famiglia modesta, con principi e valori rigorosi. A Genova, ho frequentato le elementari, a Pavia ginnasio, liceo e università: Facoltà di medicina. La tesi di laurea in ginecologia, per l’epoca, era avveniristica. Riguardava i dosaggi ormonali nel sangue e urine in rapporto al ciclo mestruale ed ovarico.

Quale era, allora, la sua aspirazione professionale?

Specializzazione in ginecologia ed ostetricia. Ho fatto pratica, con sette anni di volontariato, senza ricevere un centesimo. Allora un giovane medico ospedaliero riceveva 60 mila lire di stipendio, un infermiere professionale 120. La nostra sorte era tutta nella mani dei “baroni”. Loro decidevano chi doveva concorrere e chi no. A me fu imposto di rinunciare ad un primo concorso.

Quando arrivò a Savona, aveva la fama di chi, per la prima volta in Italia, aveva pubblicamente denunciato il sopruso di cui era rimasto vittima. Con clamorosi strascichi e titoli di giornali. Scoperchiò una pentola.

Nessun atto di eroismo, decisi solo di ribellarmi ad una grande ingiustizia che regnava impunità in buona parte d’Italia. Lo feci nonostante molti mi sconsigliarono. Lo stesso prefetto di Pavia, al quale mi ero inizialmente rivolto, fece presente che non avrei più potuto lavorare in quella zona. Altri mi dissero addirittura che l’unico posto sicuro sarebbe stato l’Africa. Rispondevo che ero disposto a trasferirmi in Africa, ma volevo che esplodesse il bubbone del malcostume generalizzato nell’ambiente universitario, una palese ingiustizia. Firmai un duplice esposto, alla magistratura e al prefetto. Raccontando ciò che avevo subìto e saputo, su ciò che avveniva negli istituti clinici in aperta violazione della legge e a danno dei giovani medici privi di sponsorizzazioni. Sta di fatto che quel concorso venne annullato.

Ne pagò le conseguenze...

Certo, dovetti attendere tre anni per rifarne un altro. Ovviamente non potevo rimanere in ostetricia. Per guadagnare qualcosa e non pesare sulla famiglia, mi si offrì l’opportunità di fare il medico condotto, seppure in sostituzione. In quel periodo si presentò un’ ammalata affetta da estese manifestazioni cutanee. Un caso complesso, decisi di iscrivermi a dermatologia. Telefonai al professor Giorgio Falchi (conserva la foto-reliquia dietro la scrivania dell’ufficio n.d.r.), gli parlai del mio interesse nel voler scoprire il nesso tra mestruazioni e dermatiti, gli raccontai dei miei precedenti, compresa la denuncia per quel concorso “truccato”. Mi rispose di aver naturalmente letto e saputo... Commentò “sei una testa calda che merita”.

Un maestro, per lei, forse qualcosa di più... 

Il feeling, come si dice adesso, fu immediato. Nell’ambiente ospedaliero e medico era apprezzato perché, si diceva, era tra i pochi ad aver fatto esperienza diretta presso una grande casa farmaceutica. Un camice bianco, in altre parole, che conosce a fondo i medicinali. Dote non comune, capace di evitare guai ed errori, prevenire, oltre che curare.

IL PROFESSOR LUIGI BRUNI

Quando ci fu la svolta nella sua vita professionale?

Il destino volle che la Schering tedesca, con una sede a Milano, fosse allora la prima azienda farmaceutica europea a produrre ormoni sessuali, estrogeni, testosterone. Ricevetti una lettera con una proposta di lavoro. Ero ancora medico condotto, restai incerto. Ricevetti un secondo espresso, un vero e proprio sollecito a rispondere sì o no. Pensando che la condotta non era a tempo indefinito, accettai di lavorare per la Schering. Ci rimasi 6 anni, con un importante arricchimento di conoscenze, di bagaglio nelle nozioni di farmacologia. Era il 1964. Restai comunque iscritto a “dermo” e nell’ambiente universitario dove facevo docenza. Poi lasciai l’industria farmaceutica per l’ospedale, ma l’azienda decise di affidarmi una consulenza che si è protratta fino a 8 anni fa.

Professor Bruni, come docente lei godeva di grande prestigio nell’ambiente universitario....

Ero aiuto nella clinica universitaria del professor Falchi, avevo le carte in regola per concorrere a primario. Scelsi la carriera ospedaliera anziché universitaria. Insegnavo comunque agli specializzandi e agli studenti durante l’anno scolastico. L’ho fatto per 30 anni, spostandomi da Savona a Pavia.

Può raccontarci, come arrivò all’ospedale di Savona?

In quel periodo il primario di chirurgia era il professor Scalfi (maestro del professor Renzo Mantero, ndc), originario di Pavia. Un conterraneo. Telefonò per dirmi se ero interessato al posto di primario di dermatologia, essendosi reso vacante per la morte del primario Cannata. In Liguria avevo trascorso l'infanzia ed ero rimasto affezionato, dunque felice di tornare in questa terra. Attesi tuttavia un anno, ricordo che faceva le funzioni da primario il dottor Zunino.

Savona, “isola” senza baronie? Lei le combatteva!....

Non ho segreti di cui vergognarmi per incoerenza. Il mio maestro Falchi, che era pure preside della Facoltà di Medicina, venne appositamente a Savona a parlare all’allora presidente del San Paolo, cavalier Bruzzone, a Fortunato Oddone, segretario amministrativo e al dottor Mazza, direttore sanitario. Falchi perorò la mia causa. Sapevamo che a quel posto aspiravano colleghi genovesi. Si fece il concorso da primario. Non truccato. Ricordo che partecipò anche un concorrente molto bravo, Della Valle di Albenga. Risultai vincitore. Aggiungo che gli aspiranti genovesi neppure si candidarono.

Al San Paolo ha vissuto giorni di gloria professionale...

Tutto ebbe inizio in estate. Una giovane di Busto Arsizio, in vacanza a Finale Ligure, si presentò al pronto soccorso del Santa Corona e da qui messa in isolamento. Ricevetti una telefonata del collega Luigi Dante, ora primario a Cairo: “abbiamo qui una paziente che sta perdendo la pelle, si sta scorticando...”. Chiesi se era possibile sapere se avesse assunto supposte di Uniplus. Confermarono. Per combattere un forte raffreddore aveva fatto uso di supposte. Chiesi a Dante di mobilitare la polizia. Dissi che a mio avviso aveva la vita appesa alla mezz’ora...Per me era il primo caso che dovevo affrontare dal vero, di persona. La paziente, dopo le cure, tornò a casa perfettamente guarita.

Come visse quel ricovero con i suoi collaboratori?

E’come fosse ieri. Radunai tutti i medici del reparto, gli infermieri. Parlai con estrema chiarezza: i testi e le pubblicazioni ci dicono che il 70-80 per cento di questi pazienti muoiono. Dobbiamo smentirli. Preparammo un programma di cura (e rigetto): dosi fortissime di cortisone che contrariamente a quanto sostengono molti medici non è quel nemico tanto additato; impregnare l’organismo di cortisone per impedire che altri farmaci necessari generino nuovi Lyell; flebo da 100 cc in meno di venti minuti; plasma; elettroliti; antibiotici; rivestire tutto il corpo di una tuta di garze “grasse” con uso di Gentalyn.

Un altro ricovero fece molto “chiasso” per la presa di posizione del papà della giovane paziente. La vicenda finì sulle prime pagine di molti giornali, rotocalchi....

Impossibile dimenticare. A 20 anni di distanza quel padre continua ad invitarmi ogni anno ad una cena, con altri medici, per ricordare che gli abbiamo salvato la figlia Laura. La giovane era stata ricoverata al San Martino di Genova dove la famiglia abita. C’era allora un medico...posso fare il nome o abbiamo grane? Sa quel collega è poi venuto a lavorare a Savona...Quel padre mi raccontò, disperato, il drammatico colloquio con quel medico: “Sua figlia muore.. non c'è più nulla da fare”. Non voglio essere frainteso, né offendere la sensibilità di qualcuno, ma grazie all’appartenenza massonica quel padre seppe che a Savona c’era un primario che curava con successo il morbo di Lyell. Firmò le dimissioni dal San Martino e trasferì la figlia nel mio reparto. Dopo 58 giorni di ricovero, Laura, destinata a morire secondo il collega di Genova, tornò a casa guarita dal San Paolo di Savona. Fu quel padre a chiamare i giornalisti, e a raccontare. Aggiungo che mi era difficile credere a quel racconto di resa. In occasione di un convegno di dermatologi a Roma, presi da parte quel collega, davanti ad un paio di miei collaboratori. “E’ vero che quella paziente l’avevi data per spacciata?”. Confermò tutto, quel papà disperato non aveva mentito. Inviperito, mi scagliai: “Non sei degno di fare il medico!...”.

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paziente affetto da sindrome di Lyell


Il Prof.Bruni col il dott. Santoro e Luciano Corrado ( foto d' archivio)

Il suo lavoro ha lasciato tracce nell'ambiente?

Mi risulta che i pazienti affetti di Lyell, ora al San Paolo vengono trasferiti in rianimazione. Devo aggiungere che anche il testo-vangelo, da sommo pontefice di dermatologia, suggerisce di trasferire questi pazienti nei centri per grandi ustionati. Un’assurdità per la mia esperienza e scienza, il danno alla pelle non viene dall’esterno, ma da una causa interna, il derma è il pavimento, l’epidermide il tetto. E’ il conflitto immunologico che provoca il distacco della pelle, dunque non ha senso la sola cura da ustionati.

 Il suo successo con la psoriasi?

Penso di aver raggiunto risultati da primato. Tutto iniziò con la persona che poi sarebbe diventata mia moglie.

 Sono arrivato alla regressione totale della manifestazione cutanea. Duratura attraverso una terapia di mantenimento. Attenti però, mi guardo bene dal sostenere che da questa malattia si può guarire. E’ ereditaria, penso che una soluzione possa arrivare solo con le cellule staminali. Uno dei miei sogni irrealizzati era quello di creare proprio a Savona un centro per la cura di psoriasi ed eczemi. E’ soprattutto una terapia locale e tradizionale. Con immunodepressori si può raggiungere la scomparsa momentanea, se smetti però torna più forte di prima. Io faccio largo uso di pomate emollienti, galeniche, derivati di iodio. Sono terapie tradizionali. Cure innocue, prive di effetti collaterali. La malattia regredisce anche per 30 anni.

C’è una persona, nella sua vita professionale, che ha stimato più di ogni altro?

Il mio maestro professor Falchi. Per la sua onestà costituzionale, per la rettitudine morale, per l’amore verso il malato. In senso assoluto. Tutto il resto era secondario. Pretendeva da noi allievi che fossimo prima di tutto bravi medici, poi specialisti bravissimi. Per esempio, se in corsia si registrava uno scompenso cardiaco, voleva che fossimo noi ad intervenire in prima battuta prima di chiedere aiuto ad un altro reparto. C'era spirito e orgoglio di squadra. La sua dedizione al malato, lo ripeto, era totale. Si presentava al capezzale anche di domenica e se necessario in qualsiasi momento, seppure non richiesto. Sì, ho imparato da lui. Alla mia età non ho certo bisogno di pubblicità, ma devo dire che forse sono stato l’unico primario ospedaliero a vedere, controllare gli ammalati tutti i giorni. E per questo ero adorato dagli infermieri, magari un po’ meno dai medici con una sola esclusione che ho il dovere morale di fare, il mio collaboratore Santoro, ora in servizio ad Alassio.

Un sintetico giudizio sulla sanità italiana e ligure nel terzo millennio...

Si sono fatti progressi enormi, dalla chirurgia alla diagnostica, invasiva e non. La terapia farmacologica ha raggiunto traguardi importanti. Molto da ridire, invece, sul fronte dell’assistenza, ospedaliera e non, e come è organizzata. Con carenze enormi, ad iniziare dalle degenze abbreviate in modo illogico ed irrazionale. Nel corso post operatorio, a mio parere, non si tiene in dovuto conto, il rischio infezioni e di embolie. Ancora più grave la motivazione, il risparmio sulla salute. A vantaggio di chi? Sicuramente a spese del malato che va incontro a molti disagi. Si pensi ad un anziano dimesso anzitempo e che deve proseguire la cura attraverso la medicina di base. Sabato e domenica non c’è neppure il suo medico curante. In caso di bisogno deve rivolgersi al neofita della guardia medica. E’ questa l’assistenza di una società che si vuole più civile ed attenta ai bisogni del malato, degli anziani? La mia visione è la libertà vera del medico ospedaliero, del primario di gestire con scienza e coscienza, i tempi di ospedalizzazione. Allora ero libero di tenere il malato in ospedale, oggi non potrei più farlo.

C’è tuttavia l’opportunità del “day hospital”....

Io sostengo che in molti casi si trasforma in tortura. Pensi sempre all’anziano che deve usare i mezzi pubblici per raggiungere l’ospedale; alle cure spesso esasperanti. Molti finiscono per rinunciare, non completare il ciclo, a volte le medicazioni. Non è il modo ideale per il malato che deve affrontare la malattia con uno stato d’animo sereno.

I risparmi, gli sprechi sono a vantaggio o svantaggio della comunità....?

Per me servono soprattutto a riempire le tasche dei manager, scelti dal politico di turno, che hanno il potere assoluto di scegliere primari di assoluta fiducia...Macché concorsi, meritocrazia acquisita, curriculum, dedizione! L’ultimo caso accaduto a Savona, a chirurgia della mano (la diatriba, finita in tribunale, tra due medici dello staff del professor Mantero, ndc), rappresenta probabilmente la prova del nove.....

Con quale amministratore ospedaliero, ovvero politico, si è trovato meglio durante il suo impegno a Savona. Erano i tempi in cui la presidenza "ballava" tra Pci e Psi...?

All’avvocato Pastrengo ricordo soprattutto di aver inviato letteracce. Il presidente Saccone, ex sindacalista, era amorfo. Con l’avvocato Iovino intrapresi una guerra che ha riempito per mesi le cronache locali. Ho vinto il lungo braccio di ferro, anche con condanne.

E’ vero, e lei allora non volle mai confermarlo, che spinse, buttando già dalle scale dell’ospedale un componente del consiglio di amministrazione del San Paolo?

Non lo confermai per la semplice ragione che l’interessato, fece esposti e denunce contro di me, riportati con ampio risalto sul Secolo XIX, la Stampa, il Lavoro dell’epoca, senza mai raccontare quell’episodio increscioso. Arrivando un giorno in reparto mi trovai di fronte tale Mazzarella, socialista,  portaborse di Alberto Teardo, che all'epoca faceva il bello e il cattivo tempo. Non solo al San Paolo. Gli chiesi conto della sua presenza e del fatto che, essendo io primario, doveva quantomeno interloquire se voleva sapere o controllare qualcosa. Per rispetto e buona educazione. Replicò che essendo consigliere dell’ospedale, si sentiva autorizzato. Ci avvicinammo all’uscita del corridoio, aprii la porta e con uno spintone lo feci rotolare lungo gli scalini. Un paio di giorni dopo sui giornali si parlò di rissa in reparto, ma venne anche dato notizia di un comunicato stampa in cui lo stesso Teardo lo sconfessava pubblicamente. Teardo venne poi a scusarsi con me.

Come andò a finire...

Si trattò di una diatriba rovente, fui consigliato di recarmi in Procura e parlai con l’allora procuratore Poggi. Presentai una denuncia. A sua volta Mazzarella fece un esposto-denuncia in cui ero accusato di far uso di farmaci non registrati e dai qui giustificò la sua visita senza autorizzazione nel mio reparto. Non disse nulla,  invece, del fatto che lo avevo buttato giù dalle scale. Forse un po' si vergognava...

Tra i sindaci di Savona, chi ricorda...

Ho avuto rapporti con Scardaoni, solo perché avevo in cura la moglie.

Lei era anche famoso per sua disciplina in reparto....

Non la chiamerei disciplina, ma amore per il malato. Non ho mai preteso gli orari di colloquio con i famigliari. Li ricevevo sempre, soprattutto per tranquillizzarli. E’ vero andavo pure a controllare la pulizia e l’igiene dei gabinetti. Ero arrivato al San Paolo nel ’69. All’inizio eravamo in Valloria, da soli nel monoblocco, come al Colosseo. Un’assurdità. Da isolato al quarto e quinto piano. Poi al Vigiola. Stavo bene e fu un periodo in cui l’ospedale funzionava a dovere, con personale ad altissimo livello, sia medici, sia infermieri. Quando avevamo ricoveri per Lyell, andavo in reparto anche all’una di notte e chi trovavo? Il dottor Santoro. Restai a tempo pieno fino al 1975, facevo studio solo in ospedale. Poi arrivarono i contrasti con l’amministrazione e decisi il tempo definito, al termine di una lotta assai dura. Presi così ad andare alla Villa Salus di Albenga, su richiesta del dottor Lazzaro Maria Craviotto, medico di valore e proprietario.

Tra i primari dell’epoca con chi aveva più feeling....

Direi Mezzano, De Albertis, Cavaliere. C’era un’amicizia.

E i giovani medici, che ne pensa?

Sicuramente hanno nozioni superiori alle nostre, della mia epoca. Salvo, ovviamente, le eccezioni. Cosi pure le infermiere diplomate. Manca, invece, la totale dedizione al malato, scarseggia il rapporto umano. I colleghi specialisti hanno ormai nozioni settoriali esasperate. Conoscono bene la loro parte, ignorano quella che non li riguarda. E non sono più di moda le visite tradizionali. Con la sola esclusione, va detto, degli oncologi. Fanno ancora le visite mediche complete, con la vecchia semeiotica, sul malato. Un aspetto che serve molto al paziente, tanto è vero che, per fare un esempio, ascolto molti elogi nei confronti dell'oncologo collega Brema.


Il Prof Brema (Oncologo) con i suoi collaboratori

Posso chiederle, come vorrebbe essere ricordato?

Come un bravo medico, che crede nella professionalità. E con un’immensa considerazione verso il malato. Il fatto che ci dia fiducia comporta già una responsabilità morale enorme. Ho fatto il medico mettendo sempre da parte l’arroganza. Senza parlare con il paziente in medichese, con terminologia di difficile comprensione. Ho sempre cercato di tranquillizzare, non fare tragedie, non esasperare anche di fronte a malattie gravi. Primo, non togliere mai la speranza. E questo lo lascerò per testamento.

Lei ha lavorato per anni in un’industria farmaceutica, si è mai dato una risposta sui motivi che fanno dell’Italia il paese più caro in Europa per l’acquisto di farmaci?

Vorrei saperlo anch’io. Visito anche a Sanremo e so che molti italiani raggiungono la vicina Francia proprio perché i farmaci costano assai meno. Devo aggiungere che anche quando ero alla Schering avevo sottomano costi e prezzi di vendita, già allora c’era uno squilibrio enorme.

Il peggiore difetto e quello più comune del medico?

L’arroganza. Sentirsi un padreterno.

Passiamo al sociale, si vive meglio oggi, oppure, come molti sostengono, quando il benessere era meno diffuso?

Oggi il cittadino ha molto di più, ma a quale prezzo? I bambini mangiano di tutto e di più, meglio se leccornie. I giocattoli arrivano ad annoiarli. Il tenore di vita è cresciuto. Direi che tuttavia vive meglio chi ha una situazione psicofisica superficiale, i vegetativi sono anime semplici. Se hai delle sensibilità la vita è molto più dura...crudele.

Lei, nella vita privata, aveva amici?

L’avvocato Angelo Luciano Germano, nonostante ci dividesse il credo politico, è stato un ottimo amministratore dell’ospedale. Preparato, scrupoloso, pragmatico, battagliero, ma sempre pronto ad ascoltare. L’avvocato Tito Signorile, uomo di grande preparazione giuridica, cultura ed umiltà. Il collega, professor Cavaliere, il primario chirurgo Scalfi, il collega Salomone, la farmacista Scuffi, il chirurgo Folco. Sicuramente dimentico qualcuno...

Ha avuto tessere di partito, spesso servono...

Mai e le ho sempre rifiutate! Sono un cane sciolto, per un socialismo democratico, per il liberismo e la libera iniziativa. Leggo tre quotidiani al giorno. Mi spiace, ma ho escluso Il Secolo XIX.

E in massoneria? Se è iscritto non può rivelarlo...Molti suoi colleghi hanno un posto, anche di comando, grazie proprio al legame e alla forza massonica.

Il collega Martinengo, la cui appartenenza massonica e correttezza era nota, me lo chiese. Poi ebbi la proposta da un altro eminente collega di Genova, rifiutai cortesemente. Accettai, all’epoca della vicenda Mazzarella, l’adesione al Lyons Club. Fui tra i fondatori del Savona Host con il professor Amicarelli (all'epoca primario della neuro, ndc). Ricordo che mi convinse sostenendo che di fronte a certi attacchi, con vasta eco sulla stampa locale, dovevo avere l’attestato di fiducia e solidarietà di un’associazione di persone di un certo livello sociale. Non ero entusiasta, ma accettai. Ora sono nella sezione Lyons di Albissola, meno impegnativa per me.

Dove va la sanità? Le Asl  non funzionano, tante polemiche, poca concretezza, risultati mediocri, lunghe liste d’attesa, sprechi, sperequazioni tra impiegati ed infermieri, edilizia ospedaliera divoratrice di denaro pubblico, proliferazione (taciuta o volutamente ignorata dai media) di maxi-ambulatori specialistici privati in ogni città, sempre zeppi di cittadini. Chi ha soldi si cura, accede in tempi rapidi ad esami diagnostici e magari non deve mettersi neppure in lista d’attesa negli ospedali. Ha un pass come certi politici e parenti, amici degli amici. Non parliamo delle cure odontoiatriche. Recentemente Walter Veltroni ha proposto: via i politici dal governo delle Asl. Nessuna reazione. Silenzio assordante. Chi dovrebbe amministrare le Asl a suo avviso? E nel solo interesse del malato...

Per quale ragione le Asl e gli ospedali operano in condizioni non ottimali? Da sempre sono feudo del politico vincente di turno. Di destra, di sinistra, di centro. Non importa se è un incapace e non solo...In questa veste i politici li detesto. Metterei al vertice delle Asl o aziende sanitarie, un laureato in scienze economiche, con curriculum. Oppure un avvocato....sempre affiancati da un medico che non cura gli ammalati, ma che è specializzato igienista, in ingegneria sanitaria, che abbia una mentalità diversa. Ovviamente i politici preparati, intelligenti, pratici, onesti, possono dare il loro contributo, ma mai essere determinanti nelle scelte come accade oggi.

Professor Bruni quali i suoi hobby? E consigli di vita sana e lunga....

Mangiare di tutto, variare, in modo equilibrato. Non dare troppa importanza al colesterolo, troppo demonizzato, come si fa con il cortisone. Evitare assolutamente la vita sedentaria. Fare attività motoria senza però raggiungere i dolori muscolari perché significa che c’è un accumulo di acido lattico muscolare, un veleno per il nostro organismo. Avere un cane aiuta, perché costringe a fare ogni giorno una passeggiata. Avere un hobby, il primo, per me, è la musica. Suono il pianoforte con una media di un’ora al giorno. Il corpo ha bisogno di sano relax.

A proposito di animali, è proverbiale il suo amore per i cani...

Certo, nasce dall’affetto per il creato, un completamento della vita affettiva terrena. Maledico quelli che maltrattano gli animali. 

Si conclude la lunga intervista-testimonianza. E’ quasi sera. Ogni tanto squilla il cellulare dell’ex primario. Sono pazienti, a sentire dalle risposte. Qualcuno ringrazia per il successo della cura, c’è chi chiede consigli. Altri un appuntamento. Bruni si raccomanda: “Non prenoti in segreteria, la ricevo tra una visita e l’altra”. Chiedono probabilmente il motivo e lui: “Non è proprio il caso che debba pagare”.

E’ sera. L'incontro è concluso. Per Luigi Bruni un pomeriggio diverso. Per noi un arricchimento, oltre che un piacere. Sappiamo qualcosa di più su un medico che ha speso gran parte della sua vita per curare chi soffre, che ha scommesso e vinto la sua battaglia contro un male terribile come il Lyell. Un medico vecchio stampo che ha contribuito a salvare vite umane altrimenti condannate, riconsegnandole guarite ai loro cari. Grazie, professor Bruni.

Luciano Corrado