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L’insostenibile inciviltà
dei cacciatori

di Antonella de Paola

In attesa che il TAR Liguria si esprima in merito all’ennesima querelle tra cacciatori ed animalisti, e prima che questi ultimi siano tacciati, come è già in parte accaduto, di fanatismo ed irrazionalità, vorrei esprimere le ragioni della mia personale avversione nei confronti dei seguaci di Diana.

E’ ormai molto tempo che l’Uomo si è affrancato dal bisogno di andare a caccia per far fronte ai suoi bisogni primari.

 Andare a caccia per mangiare, come accadeva nei secoli scorsi, è sicuramente preferibile, e da un punto di vista etico e dal punto di vista delle vittime, al comprare carne proveniente da allevamenti intensivi. Ma andare a caccia per divertimento è violenza gratuita, una violenza legalizzata - e quindi non riconosciuta come tale - ma pur sempre violenza. E tanto più riprovevole se si considera il rapporto di forze sproporzionato tra chi caccia e chi è cacciato.  

Il desiderio di sopraffazione è un sentimento che purtroppo fa parte della natura umana – William Golding ben lo ha descritto - ma, proprio per questo, è un sentimento che è sempre stato giustamente combattuto e represso da tutte le società civili. Insomma, se non abbiamo ancora imparato a tollerare il vicino di casa, abbiamo perlomeno assimilato il concetto che non possiamo infilargli un coltello nella schiena impunemente.

 

Questa lotta permanente contro una società stile Far West si è tuttavia bruscamente inceppata davanti al salto di specie. I princìpi che valgono per la società umana non valgono più in senso assoluto. Il medesimo atto di sopraffazione che viene punito se la vittima è un nostro simile, viene definito sport, o addirittura nobile arte, laddove le vittime sono milioni di animali.  

Sembrerebbe che la nostra “civiltà” si sia fermata laddove finiscono i nostri umanissimi interessi. In realtà, i numerosi sondaggi sulla caccia sono concordi nel rilevare che la stragrande maggioranza dei cittadini vorrebbe che questo “sport” fosse abolito tout court. Segno, questo, che per la gente comune la violenza gratuita è violenza gratuita, indipendentemente da chi è il soggetto che versa il sangue. Un segno di indubbio progresso culturale che, per fame di consensi e di denari, le istituzioni non hanno tuttavia mai avuto il coraggio di abbracciare. 

In questi giorni le associazioni animaliste sono tempestate da richieste di intervento a favore di fagiani d’allevamento, liberati a fini venatori che, totalmente smarriti, atterrano sulle spiagge o in centro città. Fagiani, lepri e starne che le amministrazioni hanno comprato a caro prezzo, con soldi pubblici, e liberati pochi giorni prima dell’ apertura della stagione venatorio, per il sollazzo di chi, pur non essendo in grado di cercarsi selvaggina vera, non vuole rinunciare al piacere di vedere schizzare un po’ di sangue. Difficile, a questi livelli, dialogare con chi sbandiera presunte necessità ambientali. Difficile, a questi livelli, accettare lezioni di vita. 

La caccia non è solo un male per le sue vittime più dirette, gli animali. La caccia è un danno per la stessa società umana. Non solo perché i fucili finiscono spesso in mano a dilettanti ed esaltati - provocando un numero altissimo di vittime umane tra coloro che frequentano i boschi e tra le pareti domestiche - ma soprattutto e ancor più perché rafforza quell’ istinto atavico, già fin troppo radicato, alla sopraffazione. Un istinto che si alimenta e cresce anche attraverso il massacro di un uccelletto di venti grammi.  

Antonella de Paola, responsabile provinciale per i Diritti animali dei Verdi Savona