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L’INTERVISTA DELLA SETTIMANA
– Il personaggio “dimenticato” dai media

di LUCIANO CORRADO

L’AVVOCATO RAMELLA:

“VOGLIO MORIRE CON LA TOGA E’ STATA LA MIA VITA”

Racconti e aneddoti del decano in attività del foro savonese. Il nonno materno era il legale personale del re. Lui è stato esponente politico a livello regionale e provinciale nel Psdi. Presidente della Centrale del latte di Genova.  Fu tra gli amici dell’ex presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.  Era tra i difensori del maxi-processo Teardo e di Antonio Fameli. Ha percorso tutti i gradini della massoneria di Piazza del Gesù,  fino a maestro venerabile di loggia. Ora fa parte del Consiglio Supremo dei “33”. Ramella parla anche dell’oggi: giustizia, illegalità, corruzione, tangenti e della sua Laigueglia.

Ramella
               Umberto Ramella

Laigueglia – Il suo ultimo desiderio: “Voglio morire con la toga sulle spalle!” Ha iniziato la professione a 23 anni, subito dopo la laurea.  A 26 anni era procuratore, pochi mesi dopo avvocato iscritto all’albo. “Ho avuto la fortuna di muovere i primi passi nello studio di colui che era considerato tra i più bravi penalisti italiani, l’indimenticabile maestro del foro genovese Ernesto Monteverde. Con lui, a far pratica, sono rimasto sette anni. Un uomo duro, inflessibile, perfino spietato nell’aula delle udienze, ma con un animo dolcissimo e di grande umanità”.

Con le sue 87 primavere, in ottima forma di salute e di spirito, con l’impeccabile humour che l’ha accompagnato anche nei momenti difficili, l’avvocato Umberto Ramella ha scelto di rispondere alle domande di un giornalista che per anni l’ha seguito nelle aule dei tribunali, delle preture, nei corridoi dove si affacciano gli uffici della Procura della Repubblica, nelle lunghe attese alle sentenze in Corte d’assise.
L’avvocato Umberto Remalla, oggi è il decano, in attività, del foro savonese.

E’ stato tenente di cavalleria a Pinerolo e autore del libro “Gridavano Savoia!”. Per tre anni segretario provinciale genovese del Psdi (partito socialdemocratico di Giuseppe Saragat, eletto presidente della Repubblica nel 1964). E ancora, consigliere comunale delegato per lo stato civile del sindaco di Genova all’epoca di Giancarlo Piombino. Per sette anni presidente ed amministratore delegato della Centrale del Latte di Genova. Segretario provinciale dal 1972 della Federazione del Psdi della provincia di Savona. Un’esperienza di consigliere comunale di minoranza della sua città adottiva, Laigueglia.

Infine un ruolo di primissimo piano nella massoneria di “Piazza del Gesù”, l’altro schieramento è quello di “Palazzo Giustiniani”. Oggi Ramella fa parte del Supremo Consiglio d’Italia dei “33”. In Liguria con suo stesso “grado” sarebbero in tre. Ramella nella riservatezza (da non confondere con segretezza) ha percorso tutti i gradini e le cariche della loggia. E’ stato maestro venerabile della Andrea D’Oria di Albenga, di cui è stato fondatore. La nuova sede è in via Oddo, nel centro storico. La sua prima adesione, come risulta dagli atti, a suo tempo allegati al “processo Teardo e C.”, risale alla loggia “Anton Gino Domeneghini” di Savona, sempre emanazione della Gran Loggia d’Italia degli antichi liberi accettati muratori.

Umberto Ramella, anche se lui non lo ammette, ha contribuito a “ripulire” dalle logge – alcune sono state persino chiuse -  quel mondo di opportunisti ed infiltrati per affari e carrierismo che per un certo periodo ha popolato la massoneria savonese, ma non solo. Oggi, a quanto ci risulta, per entrare a “Piazza del Gesù” occorre presentare certificato penale, carichi pendenti ed avere rigorose credenziali di tre “fratelli” muratori.

Tra le novità degli ultimi anni, l’ingresso nella fratellanza delle donne. Al punto che proprio in Liguria era stata chiamata una donna all’alta carica di “delegata magistrale” (il massimo grado regionale) la “sorella” Ines Anselmi (poi deceduta). Nessuna parentela con Tina Anselmi che con determinazione, coraggio ed indipendenza venne chiamata a presiedere la commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 di Licio Gelli, dove risultava iscritto anche Alberto Teardo quando ricopriva la carica di presidente della Regione Liguria.

 

 

LAIGUEGLIA

Avvocato perchè non ha intrapreso la carriera militare.

In effetti ci sono andato vicino. Ero tenente a Pinerolo ed il capitano mi propose di diventare effettivo. Ho rinunciato soprattutto pensando a papà Nicola, avvocato a Genova. A mio nonno materno, Giovanni Maurizio, con natali a Laigueglia, che era a sua volta titolare di un avviato studio legale, sempre a Genova. Voglio rivelare un fatto mai divulgato. Il nonno era l’avvocato personale di re Vittorio Emanuele II°. In casa conservo un quadretto con il “decreto” di nomina. Un secondo attestato della casa reale da atto che “l’avvocato Giovanni Maurizio ha reso a Vittorio Emanuele II° importanti servizi non solo allo Stato italiano, ma anche alla nostra persona.”

Tentiamo di forzare la mano, chiedere a Ramella se custodisce qualche documento importante su quel periodo, sulla vita, sulla sfera personale del re. L’avvocato tergiversa, sembra disposto a raccontare, svelare. Ad esempio la storia segreta di un debito del re con un banchiere svizzero al quale diede in garanzia, per un prestito di 5 mila lire, la tenuta di Racconigi.

“Non posso violare il segreto professionale, anche se siamo alla storia. Posso confermare che mio nonno custodiva carte segretissime, mai rese note”.

Come è cambiata la professione di avvocato, dalla sua visuale?

Direi in peggio. Non per colpa dei giovani, ma per il sistema. E’ finita l’era del fascino della Corte d’assise, dell’oratoria forense. Posso testimoniare che un volta poteva accadere che in un grande processo si lavorasse anche per la gloria.

Ai miei tempi il tirocinio era davvero duro. Ricordo che Monteverde, con i suoi allievi, e l’ha fatto anche con me, usava metodi diciamo forti. Ti metteva subito alla prova in Corte d’assise. Per lui era il posto ideale per superare l’esame sul campo. Un bel giorno ti chiamava e ti invitava a prendere la difesa, come suo rappresentante, davanti alla Corte d’assise per un processo di omicidio. E lui si sedeva a fianco ed assisteva all’esordio, fino alla conclusione per dirti bravo continua. Oppure come è accaduto con diversi praticanti, invitarli a cambiare professione: “Per te va meglio il posto in banca”. Ricordo il caso estremo di un praticante che non si presentò neppure in aula la mattina del processo, Monteverde lo cerco a casa e la mamma gli disse che era stato male tutta la notte. Ma nello studio non l’abbiamo più visto e non fece neppure la carriera di avvocato. Cambiò vita.

Perché il cittadino ha poca fiducia nella giustizia. Il parlamento è zeppo di avvocati. Che succede?

Intanto tra i cittadini regna molta confusione e disinformazione. Ricordo alcuni significativi e concreti aneddoti. Con l’avvocato Alfredo Biondi, che faceva pratica nello studio Ciurlo, andavamo in via Serra, allora il palazzo di giustizia era crollato. C’erano le udienze davanti al pretore, oggi abolito ed è stato un errore. Arrivava in aula un maresciallo con una fila di incatenati; bene l’abolizione di quei catenacci. Le detenute erano in gruppo, 6-7. Tra esse ricordo la più avvenente, Enrica che aveva fatto perdere la testa ad un giornalista del Secolo XIX, innamoratissimo. La più anziana invece era Mafalda. Allora la lotta alla prostituzione illegale era rigorosa ed efficace, perché c’era l’articolo 191 (poi abolito) del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. In sintesi recitava: polizia, carabinieri convocano il detenuto o la persona dedita a fatti, comportamenti penalmente illeciti , con la notificata una diffida a cessare il “turpe lavoro” di meretricio o altro, borseggi, truffe. L’interessato/a sottoscriveva l’impegno.

Chi veniva sorpreso di nuovo sorpreso a prostituirsi, a borseggiare o truffare, tanto per fare un esempio, finiva in manette e scontava non meno di sei mesi. Il pretore ci affidava a noi giovani avvocati la difesa d’ufficio. La libertà provvisoria, ai borseggiatori, veniva concessa solo dopo aver risarcito il danno. Le prostitute finivano a Marassi e ricordo che quando andavamo a trovarle, spesso erano intente, sotto la guida severe di suor Clementina, a lucidare i pavimenti, a spolverare l’altare della Misericordia.

Ebbene oggi per la prostituzione o altre piaghe basterebbe rimettere il 191.

Ma penso che la mia categoria professionale abbia assai meno poteri in parlamento, rispetto al passato.

In Italia abbiamo il record delle amnistie e degli indulti. Grazie a chi, agli avvocati che siedono in parlamento?   

I miei colleghi parlamentari li vedo più impegnati a polemizzare su tutto che a fare leggi utili al paese. E’ scomparso l’avvocato oratore, oggi c’è più bisogno di tecnica giudiziaria che di oratoria, ma è scomparsa anche una certa cultura. Personalmente leggo ancora un libro al giorno, soprattutto di storia, sono un appassionato di Napoleone. Dunque direi che c’è carenza di cultura complessiva.

L’amnistia in certi casi è utile, ma se succede come in Italia che diventa inflazionata è inutile istruire processi.

Come penalista l’indulto non mi entusiasma. La più grave sciagura dei nostri giorni è rappresentata dalla non certezza della pena. In galera non ci va o non ci resta quasi più nessuno a scontare la galera. Era troppo duro il vecchio codice Rocco, con il mandato di cattura obbligatorio, oggi il mandato di cattura è meno che un optional. Mentre dovrebbe essere rimesso per alcuni reati più gravi e di allarme sociale. Prima era obbligatoria la detenzione preventiva per furto, truffa, borseggio, rapina. Oggi si resta in carcere solo se sussiste il pregiudizio all’indagine, inquinamento delle prove,  pericolo di fuga o reiterazione del reato. Sarà anche giusto, ma in un contesto sociale più evoluto, educato alla legalità e al rispetto delle leggi.

Il giorno che più ha inciso nella sua vita, nei suoi ricordi....

Non saprei, non saprei...Forse il giorno che mi sono sposato, ho conosciuto Sandra durante un processo in Corte d’assise. Lei seguiva il dibattimento come giornalista, cronista. Poi ci sono i ricordi di processi seguiti negli Stati Uniti, in Francia per storie anche delicate, di cui non si è mai scritto.

E il giorno da dimenticare?

Non vorrei rivivere l’8 settembre del 1943. Ero tenente di cavalleria, di ritorno dalla Russia, nelle vicinanze di Bologna arrivò la notizia del crollo del regime, la disfatta. Tutti i soldati scappavano. La nostra squadra “Savoia” è stata arringata dal maggiore che ci ha fatto mettere le armi da una parte e nascoste. Poi ad ogni soldato ha consegnato il foglio di “licenza illimitata”. Dunque niente disertori, ma in servizio...

La persona che più l’ha colpita...

Con Giuseppe Saragat ci davamo del tu. Abbiamo fondato insieme ad altri compagni la sezione di palazzo Barberini del Psdi. Era un uomo burbero, determinato, a volte scostante, ma gran signore. Un altra persona di cui mantengo un ottimo ricordo, il principe Umberto II° che poi diventò re. Spesso ci siamo trovati a mangiare allo stesso tavolo. Era di una gentilezza estrema, di una cortesia assoluta, anche se quando si era con lui bisognava rispettare un galateo eccezionale. Lo incontravo perchè veniva alla scuola allievi ufficiali. Riusciva col suo modo di fare a metterti sempre a tuo agio.

 


MARIO BERRINO

Il personaggio politico savonese che più ha stimato...
L’onorevole Pera, socialista, morto giovane.

A proposito di politici, partiti...oggi c’è più o meno corruzione, tangenti, di quando lei faceva politica attiva?

Devo proprio rispondere? E’ peggio, molto peggio. Su questo aspetto stiamo andando alla deriva. Non ci sono più valori, ideali, ma interessi, denaro, i costi sempre più spropositati della politica.

Un tempo ci si dimetteva da una carica pubblica per un semplice sospetto. Bisognava farsi da parte, poi si vedrà. Le racconto un episodio, protagonista Saragat. Ero segretario provinciale del Psdi a Genova. Non avevamo pagato la tipografia che ci stampava i manifesti. Il titolare ci citò in tribunale, ma da avvocati abbiamo eccepito che il nostro statuto prevedeva che il responsabile unico era il segretario nazionale. Da qui l’istanza di nullità della citazione ed il rinvio del processo. Bisogna però avere la delega del segretario per resistere in giudizio. Un giorno mi ritrovai a Roma. Raggiunsi palazzo Barberini, sede il partito. Al segretario di Saragat, Zerbini, chiesi se poteva far firmare la delega per il processo a Genova. Mi rispose, guarda che il segretario è arrabbiato con te....Parlagli. Entrai e Saragat mi apostrofò in malo modo, come non era mai accaduto. Prese in mano la citazione del tipografo e urlò “è una porcheria, vergognati, questi debiti vanno pagati senza fare storie”. Ma noi, in Federazione non abbiamo i soldi, risposi. “Bene, vai sotto dal tesoriere, li tratteremo alla Federazione poco alla volta. Non succeda mai più”.

Ci sono giudici di cui riserva un particolare ricordo?

Ricordo Chiarelli, presidente di Corte d’Assise a Genova; ricordo il procuratore Coco, il presidente Donadu. Ricordo Lalla, quando era pretore, persona capace e preparata. A Savona mi è rimasta molto impressa la figura della dottoressa Caterina Fiumanò, Tiziana Parenti.

C’è un capitolo della giustizia che più la tormenta, che rifiuta?

Se un cittadino ha un debito superiore a tre anni, il procuratore della Repubblica gli manda una lettera nella quale chiede come il condannato intenda scontare la pena. Ci sono 30 giorni di tempo per presentare istanza e dire se sceglie la semilibertà, la detenzione domiciliare... Fatta l’istanza si va davanti al tribunale di sorveglianza che decide se accogliere o meno la richiesta. Di fatto siamo arrivati non più a tre gradi di giudizio, ma a quattro, record mondiale. E nessuno ne parla.

In passato si presentava istanza al procuratore della Repubblica per chiedere la sospensione della pena, ma non più di due volte. Dalla terza c’era il carcere assicurato.

Un cenno alla sua bella Laigueglia. E’ migliorata, peggiorata...

Sotto certi aspetti ha fatto passi avanti, penso al ripascimentgo dell’arenile, il primo patrimonio di un paese turistico-balneare. Penso sia più vivibile rispetto al passato, nel complesso. Poche, invece, le iniziative in campo turistico. Male lo sviluppo irrazionale dell’edilizia. Hanno continuato a costruire malissimo sotto il profilo urbanistico e degli interessi collettivi. A Laigueglia, purtroppo, non vedo una personalità che possa fare il sindaco con autorevolezza, coalizzando un largo consenso. Dare una robusta sterzata, con scelte coraggiose e magari impopolari. Oggi vive in un handicap per la città.

Ma guardandomi attorno vedo altre località della Riviera che fanno quasi a gara nelle brutture e nello scempio del paesaggio.Poi si lamentano che il turismo cala... Le zone dove  si è tutelato, valorizzato il territorio non conoscono crisi ed i prezzi non sono certo quelli di massa. Qui tutto finisce per essere influenzato dai costi della politica, della corruzione, delle tangenti, delle clientele con l’industria del denaro facile, ovvero il mattone della speculazione immobiliare.

Avvocato, a 87 anni la morte fa paura?

Assolutamente no, la penso come Seneca (ho studiato dai barnabiti di Genova dove si parlava quasi solo latino) che nella famosa lettera a Luciglio scriveva: “Caro ...non sono stato bene, soffro di asma, la dovrebbero chiamare preludio della morte. Fai questo ragionamento. Prima di nascere non esistevi, quando muori torni come prima. Non esisti più”.

Come vorrebbe essere ricordato...

Come un amico di tutti. Disposto a tollerare. Tolleranza come base dell’esistenza, non il perdono che è cosa diversa. Come la solidarietà è diversa dalla carità.

Lei ha vissuto da vicino il periodo Teardo, gli arresti, il processo, gli strascichi. Che idea si è fatto a distanza di anni?

Io difendevo il vice presidente della Provincia, il socialista Gianfranco Sangalli (pure lui era iscritto alla massoneria di Piazza del Gesù n.d.r.). Dico solo che Sangalli non si era arricchito ed ha pagato oltre ogni misura gli errori. Per fortuna ci abbiamo messo una pezza alla Corte dei Conti, altrimenti sarebbe stato rovinato per l’intera esistenza e non lo meritava. Infine posso dire che a parte due o tre imputati per tutti gli altri si è montato un polverone.

E il rapimento di Mario Berrino, il pittore alassino. Che idea si è fatta, sulla base degli atti?

Sono stato uno dei difensori dei fratelli Enzo e Vincenzo Mombelli accusati da Berrino del concorso in sequestro, incarcerati per mesi. Sono stati assolti e Berrino giudicato non credibile. Lo dicono gli atti. E’ la mia ferma convinzione che non c’è stato sequestro di persona, semmai un’invenzione.

Devo riconoscere che nonostante il mio ruolo, Berrino con me è sempre stato gentile, quando lo incontro mi abbraccia. Un uomo di spirito che in quanto tale ammiro e dai giornali vedo che riesce sempre a stare a galla. In primo piano si direbbe. Non ho mai seguito invece la parte di richiesta danni da parte dei Mombelli.

Ci sono atti pubblici che parlano della Sua presenza in massoneria, con ruoli di grande importanza anche a livello nazionale.

Su questo chiedo sia rispettata la nostra tradizionale riservatezza. Ho aderito perchè la vera massoneria corrisponde all’idea di libertà di mente e di ragionamento. Dio è un’invenzione perché l’uomo ne ha bisogno per consolare e consolarsi. La nostra base è Cartesio, l’uomo più può e più sa.

A proposito, lei ha difeso anche Antonio Fameli, ex chiacchieratissimo agente immobiliare, pure lui figurava nelle liste degli affiliati in loggia...

Fameli ha superato 34 procedimenti penali... della loggia non parlo perché si trattò di un periodo davvero particolare e non esaltante....Fameli è incensurato, dopo aver superato un maxi-processo per omicidio  e associazione mafiosa, sequestro di beni. La Cassazione alla fine tolse le castagne dal fuoco. Bocciò tutto, col giudice Corrado Carnevale, perchè risultò che la Corte che aveva processato e condannato Fameli ed altri imputati aveva tra i giudici una persona sprovvista de decreto di nomina. Questa è la giustizia per tutti e che non fa distinzioni.

Avvocato la ringrazio per l’intervista. Vorrei sapere da lei ancora tante cose interessanti, ma so che ci sono i segreti professionali e massonici. Comunque l’ho sempre ammirata per la sua disponibilità verso il cronista anche in occasioni scabrose, difficili. Vien da dire, un vero signore d’altri tempi, oggi così rari.

Ramella: “Questa è la mia filosofia di vita, praticata e non predicata”.  

Luciano Corrado