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UOMINI E BESTIE

8: Prospezioni dell’immaginario

Le Sirene

Seconda parte

 

Benché il celebre episodio odisseico sia la fonte da cui provengono alle letterature europee, attraverso gli scrittori latini dei bassi tempi, la conoscenza e la vastissima diffusione del mito, cui si sovrapposero le infinite varianti folcloriche locali, nulla ci dice degli esseri sovrumani Omero, probabilmente perché riteneva che tutto fosse noto al suo pubblico. 

Tutto ciò cosí è stato compiuto, ma tu presta orecchio
ché io [parla Circe] ti dirò, verrà un dio di persona a rammentarti.
Le Sirene dapprima raggiungerai, esse invero tutti
gli uomini stregano, chi a loro giunga.

Chi non sapendo s’appressi e oda la voce
delle Sirene, a lui mai né la moglie né i piccoli figli,
a casa tornato, s’accostano e si rallegrano,
ma le Sirene lo stregano col canto argentino
sdraiate sul prato, intorno una gran pila d’ossa
d’uomini putrescenti, sopra la pelle s’aggrotta.
Ma spingi oltre, e spalma le orecchie ai compagni
ammollendo la cera del miele, che alcuno degli altri
non senta, tu invece ascolta se vuoi
purché sulla lesta nave ti leghino le mani ed i piedi
ritto nell’incasso dell’albero, ad esso s’annodi la fune,
finché gioiendo tu oda le due Sirene.
Se poi preghi i compagni e comandi d
i scioglierti,
essi allora con ancor piú corde t’avvinghino.
(HOM. Od. XII 37-54).

 

Io certo ogni cosa dicendo ai compagni spiegavo,
frattanto ratta raggiunse la nave ben lavorata
l’isola delle due Sirene, insegu
iva infatti un soffio propizio.
Ma súbito dopo cadde la brezza e si fece
calma di venti, uno spirito assopí il flutto.
I compagni levati ammainarono alla nave l
e vele
e le posero nella concava chiglia, essi ai banchi
seduti imbiancavano l’acqua coi remi politi di pino.
Io quindi una gran ruota di cera col bronzo aguzzo
tagliando in frammenti premevo con mani robuste,
presto s’intepidiva la cera, poiché la gran forza inca
lzava
del Sole, l’occhio del figlio d’Iperione [sempre il Sole];
uno via l’altro spalmai le orecchie di tutti i compagni.
Ed essi sulla nave mi legarono assieme le mani ed i piedi
ritto nell’incasso dell’albero, ad esso annodaron la fune,
loro seduti battevano il mare canuto coi remi.
Ma quando tanto distammo quanto raggiunge chi grida,
pur seguitando di furia, non sfuggí ad esse la nave dal rap
ido corso
che presso balzava, intonarono un dolce canto:
“Orsú qua venendo, Odisseo rinomato, gran glo
ria d’Achei,
arresta la nave, che tu oda le nostre due voci.
Perché mai nessuno qui passò oltre colla nave
impeciata
prima che udisse la voce soave dalle nostre bocche,
ma egli contento riparte piú cose sapendo.
Infatti tutto ci è noto, quanto in Troia vasta
Argivi e Troiani per volere dei numi patirono,
ci è noto quanto accade sulla Terra nutrice di m
olti"(*).
Cosí dicevano mandando una voce bellissima, quindi il mio cuore
voleva ascoltare, e ordinavo ai compagni di sciogliermi
colle ciglia accennando, ma essi chinatisi remigavano.
Súbito levati Perimede ed Euriloco [marinai della ciurma]
in piú lacci m’avvinsero e piú li ferm
arono.
Ma dopo che le superarono né piú poi
la voce udivamo delle Sirene né il canto
tosto cavarono via la cera i miei fidi compagni
che negli orecchi gli avevo spalmata, e me sciol
sero dai legami.

(ibid. 165-200).

 

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(*) Si noti la natura ultraterrena delle due orchesse: hanno (o uno spirito ha per loro conto) il controllo del tempo atmosferico (onde dirò in una prossima scheda che Leukōsía può pure significare “colei che ristabilisce il bel tempo”) e del flutto, sono onniscienti.

 

Aggiungo alcuni commenti antichi al testo omerico.

 

Secondo la maggior parte dei commentatori sono figlie di Acheloo e di Sterope, figlia di Portaone, secondo alcuni di Acheloo e di Tersicore, una delle Muse. Avendo deciso di rimanere vergini furono prese in odio da Afrodite, e poiché avevano le ali volarono via nella regione tirrenica e occuparono un’isola chiamata Antemoessa. I loro nomi sono: Aglaofeme, Telsiepia, Pisinoe e Ligea. Presso Omero sono due, usa infatti il duale Seirnoin.

(schol. in HOM. Od. XII 39 V).

 

Le Sirene figlie di Acheloo e di Tersicore, una delle Muse, secondo alcuni di Sterope, la figlia di Portaone, avendo preferito di rimanere vergini furono prese in odio da Afrodite, che le mutò in uccelli. Esse volarono via nel Tirreno all’isola di Antemoessa. I loro nomi sono Aglaofeme e Telsiepia. Taluni raccontano che quando Odisseo riuscí a sfuggire al loro inganno, sdegnate si gettarono in mare. Omero non precisa la loro origine né dice che fossero alate.

(schol. in HOM. Od. XII 39 H. Q. T.).

 

B

Le Sirene o erano uccelli canori in un prato, o donne seducenti e ingannatrici, o l’adulazione vera e propria, perché l’adulazione seduce e inganna ed in certo senso causa la morte.

(schol. in HOM. Od. XII 39 B).

 

 

Odisseo il sapiente spalmò di cera le orecchie dei suoi uomini, ossia si fece loro guida [il testo greco presenta un intraducibile bisticcio fra i due sensi di aleíptēs: lo schiavo untore delle palestre e il direttore degli esercizi fisici, poi direttore tout court] alla conoscenza tramite un’audizione virtuosa, lui invece ascoltò con piena coscienza, eventualmente per mettersi alla prova. Non permise però che alcuno degli altri giungesse ad intendere le Sirene, riguardo alle quali l’interpretazione allegorica sa riconoscere nei loro canti i piaceri. Aveva cognizione infatti, essendo un sapiente, che se avessero udito sarebbero rimasti ed avrebbero aumentato il mucchio d’ossa, non sapendo resistere al richiamo dei piaceri. A proposito di codeste ossa, Aristofane filologo ritiene che si siano accumulate in pile là dove ciascuno si trovò ad ascoltare, si consumò per il piacere del carme e in tal modo morí. Aristarco invece pensa che gli uditori venissero meno a causa della mancanza del necessario, intensamente concentrati com’erano sul canto. Neppure Odisseo però presta orecchio alle Sirene senza precauzioni, ma “ritto le mani e i piedi legati nell’incasso dell’albero”: ritto, perché non si piegò assoggettandosi alle lusinghe ma “immoto egli era colà rimanendo” [Od. XII 161]; legato, per non dover consegnarsi ad esse avendo abbassato le proprie barriere, bensí tenendosi saldo coi lacci della conoscenza [...] Le Sirene omeriche appaiono in possesso di conoscenze teoriche assai vaste, in quanto si occupano, come si accennò [in un brano qui non riportato], di storia e di scienze naturali, e a dirla in generale, d’ogni apprendimento. Perciò Odisseo, pur avendo anch’egli da dire, anche perché “invecchiando s’impara” [SOL. fr. II 18 IEG WEST ], è bramoso d’ascoltare e desidererebbe, fattosi uditore, impadronirsi di ciò che codesto canto promette, ma non rimane né si ferma a dedicarsi alla sola teoria, bensí s’occupa pure dell’azione perché vuol essere un sapiente completo, che trae la sua formazione dalla teoria e dalla pratica, cosí contemperandosi per il bene dei suoi compagni e contribuli, se mai gli ubbidissero [...] Fra i miti, uno le dice figlie di Acheloo e di Sterope, figlia di Amitaone, o della Musa Tersicore, un altro racconta che nacquero dal sangue scorso dal corno spezzato di Acheloo [ne parleremo nella scheda della settimana prossima], quando Ercole lo vinse nella lotta. Un terzo le fà competere colle Muse nel canto: è la celebre contesa con cui altrove viene chiarita l’espressione poetica “alati discorsi” facendola risalire alle penne delle Sirene, che le Muse secondo la comune opinione strapparono loro per farsene una corona [idem]. Si riferisce pure che vollero rimanere vergini, per cui Afrodite, a quanto si racconta, le prese in odio e le mutò in uccelli; esse allora volarono via in Etruria e abitarono un’isola piena di fiori [interpretazione evemeristica del nome proprio dell’isola, Antemoessa]. Il Poeta colle espressioni da lui usate, ad es. ópa akoúsēs Seirḗnoiïn [Od. XII 52, in realtà óp'akoúsēis] e nễson Seirḗnoiïn [ibid. 167], dichiara che sono due, Seirḗnoiïn infatti è un duale, come podoîïn [ad es. Il. XIV 228]: “i due piedi”, e ṓmoiïn [ad es. Il. V 622]: “le due spalle”. Alcuni si misero persino in gara con Omero e scrissero che hanno un nome, precisamente Aglaofeme e Telsiepia. Gli autori piú recenti, tra cui anche Licofrone [tradotto in altra scheda a venire], ne contano tre, Partenope, Ligea e Leucosia; d’una d’esse, Partenope, si mostra pure la tomba presso Napoli [sempre in Licofrone]. Costoro le rappresentano pure alate, ma non cosí fà Omero, infatti avrebbero inseguito Odisseo che passava oltre levandosi in volo, se fossero state fornite d’ali. Che se l’ebbero a male quando il solo Odisseo riuscí ad evitarle colla sua nave e si buttarono a mare, venendo gettate dal flutto nei luoghi che da loro presero nome, favoleggiarono gli antichi. Il Geografo [Strabone: anche il suo testo verrà tradotto in futuro e corredato di una Piccola appendice cartografica] racconta pure che da qualche parte nella regione campana sporge sul Golfo di Posidonia il Promontorio di Atena, su cui sorge un tempio della dea costruito da Odisseo. Doppiato il capo, s’incontrano tre isolotti disabitati e petrosi, che un tempo si chiamavano le Sirene. Anche Plutarco parla delle Sirene e della cera nelle sue Quaestiones conviviales [tradotto in altra scheda]. Aristotele [hist. an. 623b11] ricorda un piccolo insetto chiamato sirena [un’ape selvatica, come dicevo nella scheda prec.], di genere maschile. Che pure quest’insetto abbia una voce particolare, lo dichiara un santo sapiente [?]. In un lessico retorico [PAUS. Attikỗn onomátōn sunagōg sigma 9, HESYCH. sigma 343, etym. magn. 710, SUID. sigma 285: nessuno ad verbum] si trova anche questa definizione: “Le Sirene, ossia gli astri: si chiamano infatti seíria da seiriân, che significa balenare” [ricordato nella scheda prec. a proposito dell'etimo del nome]. Per questo il Poeta usa egualmente per le costellazioni il termine teírea [Il. XVIII 485. In realtà la parola è connessa con téras: “prodigio”, ma la sigma e la tau iniziali erano considerate dalla peregrina teoria etimologica degli Antichi “pleonasmi” della radice]. Che seiriân indichi il gettar lampi lo mostra anche il nome di Sirio, che viene da questa parola. Un altro lessico scrive: “seirázei: stà per ‘volge’ e ‘splende’, ‘scuote’”; inoltre: “seiriâ: ‘infiamma’, ‘intorpidisce’” [AEL. DION. Attikà onómata sigma 10-11 ERBSE, ma in 11 l’Editore corregge senza ragione il testo tràdito, postulando due verbi distinti, uno col significato di volgere, l’altro di splendere e scuotere]. Va infine notato che Pindaro [fr. 52i72 paean. MAEHLER] le chiama Incantatrici, perché il piacere del loro canto induce chi le ascolta a dimenticarsi di mangiare, onde deperisce sino alla morte.

(EUSTATH. in HOM. Od. II 3-5 passim).

 MISERRIMUS