TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

FOGLI MOBILI

La rubrica di Gloria Bardi

INTERVISTA A LUIGI MAIO

 

Comincio dal fondo e ti domando del Festival di Ravello da cui sei appena tornato. Raccontaci la malia del posto e il tipo di pubblico che hai entusiasmato con “un Peer Gynt da camera” in cui tu interpreti tutti i personaggi, se non sbaglio.

 

Non ti sbagli affatto! Con “un Peer Gynt da camera” ho voluto continuare il cammino iniziato con la mia “Histoire du Soldat”: se con quest’ultima avevo vinto un’ardua scommessa, quella cioè d’interpretare tutti i quattro ruoli del Narratore, Soldato, Diavolo e Principessa, con repentini cambi d’abito e voce per consentire massima agilità ad uno spettacolo fatto di musica, dialoghi, azioni mimico-coreografiche e canti (e non un mero monologo!), col Peer Gynt sono arrivato ad interpretare ben sette personaggi (più un intero ‘coro’ di Trolls!). Senza contare che nello spettacolo gli stessi musicisti prendono parte all’azione scenica con veri e propri interventi attorali. Ciò nel tentativo di aderire all’idea ibseniana di lacerazione dell’io gyntiano, come se tutti i personaggi dell’opera non fossero altro che brandelli della personalità ‘a cipolla’ del protagonista!

Il pubblico di Ravello (composto prevalentemente di stranieri) ha testimoniato la riuscita dello spettacolo, mostrando ancora una volta quell’entusiasmo che mi ha sempre sostenuto lungo una carriera faticosamente piena di soddisfazioni, veicolata attraverso il passa parola di colleghi, critici e organizzatori che hanno sempre creduto in me: si può ancora lavorare contando sulle proprie forze, anche se è sempre più difficile!

Ritrovarmi -dopo gli scorsi trionfi allo strehleriano Piccolo di Milano e al Carlo Felice di Genova- nel prestigioso cartellone del Festival di Ravello, curata dalla pregiata firma del suo Direttore Generale Mauro Meli (già Sovrintendente del Regio di Parma), immerso nello splendore dell’architettura moresca di Villa Rufolo, sotto un boccascena ricavato da un monumentale brandello d’arco a sesto acuto, immerso nella lussureggiante flora mediterranea a strapiombo sul mare e coadiuvato dall’alta professionalità e dalla squisita simpatia dell’intero staff del Festival, dimostra quanto credere in una realtà poco frequentata come quella del “Teatro da Camera” al punto da diventarne il reinventore, si riveli vincente con buona pace delle scontate mode mass mediali!      

 

Ora torniamo tutti, assieme a te, dalle suggestioni della costiera Amalfitana e facciamo il punto sul personaggio Luigi Maio. Nasci architetto -e i dettagli su Villa Rufolo lo dimostrano- come diventi Musicattore?

 

Diciamo piuttosto che nasco Musicattore rassegnandomi a finire sotto i ponti e poi divento Architetto per progettarmeli belli comodi! 

 

Ma nel tuo teatro porti con te qualcosa degli studi di architettura?

 

 

Appropriarmi degli strumenti architettonici, come di quelli musicali e attorali, mi aiuta ad avere piena consapevolezza dello spazio: ciò mi consente di snellire i tempi delle prove, arrivando in casi estremi a organizzare l’allestimento scenico in contemporanea con la prova musicale tenendo a mente i passi coreografici; le prove costano e a volte ci si ritrova a lavorare nelle poche ore a ridosso del debutto! Fra le tante cause, ciò è dovuto anche alla difficile reperibilità degli strumentisti, spesso impegnati in orchestre e città diverse, con i quali magari non hai mai lavorato prima! Muoversi con disinvoltura in queste circostanze si rivelerebbe problematico per un normale attore di prosa che -già a digiuno di musica- non abbia la consapevolezza dello spazio quale entità non passiva, statica, ma interagente con suoni e movimenti fino a determinarne risonanze e proporzioni. Con il mio ‘Teatro da Camera’ ho voluto coniugare musica e drammaturgia attraverso il concetto di spazio (la ‘Camera’ appunto).   

 

Sei anche un efficacissimo disegnatore e fumettista. Illustri gli spettacoli e tratteggi tu stesso le locandine, con cui si potrebbe allestire una bellissima mostra. Ti senti disegnatore quanto ti senti “homme de théatre”?

 

In un’era di specializzazione ho voluto specializzarmi in ‘poliedricità’!

La forza della mia cifra stilistica è garantita dall’equilibrio delle discipline che concorrono alla realizzazione di un evento teatral-cameristico quale opera totale in miniatura… L’immediatezza del messaggio disegnato, satirico o fumettistico qual si voglia, è la prima strategia per attirare lo spettatore prevenuto: se sulla locandina c’è un diavolone ghignate “à la Maio”, è probabile che l’accanito lettore dei comics non si domandi se L’Histoire stravinskijana gli sia ostica o meno… garantisce per lui la semplicità del linguaggio cartoonistico, meno complesso e più immediato di altre forme artistiche! E una volta seduto in platea, scoprirà quanto la Cultura -se alleggerita da falsi intellettualismi ed offerta al pubblico con divertito virtuosismo- possa inebriare come la più sana ed ‘economica’ (non per niente sono genovese) delle droghe!       

 

Ed eccoci al teatro: attraverso quali percorsi sei “diventato grande”?

 

Attraverso uno ‘studio matto e spensierato’, collaborando con artisti di gran calibro (i Solisti della Scala di Milano, il violoncellista Mario Brunello, il Gruppo Hyperion, etc.) e grazie anche a una buona dose di pazzia e… fortuna!

 

Tu, lo si diceva prima, rappresenti la totalità dell’universo teatrale. Sei regista, autore, attore, pianista, cantante, scenografo, compositore e altro ancora, ma la definizione in cui riassumi tutto ciò è “il Musicattore”. Vuoi ora spiegarci più in dettaglio che cos’è “il” Musicattore?

 

È una ‘parola baule’, capace cioè di contenerne altre al suo interno, un po’ alla maniera di quelle inventate da Lewis Carroll, l’autore di Alice: pensa che dal Musicattore continuo ad estrarre un sacco di definizioni, e non solo quelle di musicista, attore, autore, disegnatore: sembra contenere più cose della borsa di Mary Poppins! È preceduta da “il” non solo perché l’ho inventata, quasi per scherzo, ma anche per sottolineare quell’unicità della mia professione così tanto sostenuta dalla critica: ho dovuto perfino depositare questo termine come marchio registrato.

 

Come è nata la riscoperta del teatro da Camera?

 

A sette anni avevo sentito la sola suite de L’Histoire incisa su LP: pensavo di acquistare un disco di fiabe, ingannato dalla coloratissima copertina del disco, disneyana al punto giusto, e invece ascoltandolo mi ritrovai catapultato nell’altrettanto coloratissimo mondo della musica stravinskijana… mi appassionai tanto da dare la caccia alle allora poche rappresentazioni del capolavoro amato: gli allestimenti che vidi furono deludenti, non c’era continuità tra le note eseguite in scena e ciò che accadeva sul palco, la poca confidenza che gli attori a digiuno di musica avevano con lo spartito comprometteva la concertazione tra suoni e parole… mi resi conto che L’Histoire du Soldat richiedeva un allestimento di ridotte proporzioni, e sognai di realizzarne una versione tutta mia: studiai così musica, recitazione, scenografia e perfino francese per tradurre in futuro il libretto del grande poeta svizzero Ramuz…

 

…che oggi, grazie a te, è divenuto un testo UNICEF! Poi parleremo anche di questo, ma ora raccontaci: come ti è venuta l’idea del teatro Sinfonico?

 

Semplice: ho pensato che se L’Histoire -o Il Piccolo Flauto Magico- è “Teatro da Camera” per le ridotte dimensioni dell’Ensemble, creando il “Teatro Sinfonico” avrei potuto coinvolgere un’intera orchestra sul palco… Quando interpreto “In Viaggio con Rossini” -la storia di un uomo chiuso in manicomio perchè crede di essere il celebre compositore pesarese- faccio indossare a quaranta professori d’orchestra il camice da infermieri! Il numero si riduce a soli tre camici per la versione per Trio e Musicattore della stessa opera: di ogni lavoro Teatral Sinfonico ho elaborato la versione cameristica e viceversa: il mio teatro è davvero per tutti i palcoscenici (e per tutte le tasche!)

 

 

La musica nelle tue opere non è solo “colonna sonora” o sfondo ma l’ossatura portante che diviene vera e propria azione scenica. Come interagisci quindi con i musicisti?

 

Come un regista con i suoi attori: nel mio teatro copione e partitura, regista e compositore, attore e concertista coincidono… e ci divertiamo un mondo!

 

E veniamo all’ UNICEF, di cui sei ambasciatore. Come svolgi questo tuo impegno di tutela delle nuove generazioni?

 

Semplicemente trattando i bambini come il  pubblico più esperto: se per godere il teatro l’adulto deve tornare fanciullo, l’età anagrafica dei piccini che da sempre mi seguono fa di loro dei bimbi professionisti!

 

E veniamo all’ UNICEF, di cui sei ambasciatore. Come svolgi questo tuo impegno di tutela delle nuove generazioni?

 

Semplicemente trattando i bambini come il  pubblico più esperto: se per godere il teatro l’adulto deve tornare fanciullo, l’età anagrafica dei piccini che da sempre mi seguono fa di loro dei bimbi professionisti!

 

Ma il tuo può essere definito semplicemente un teatro d’elite o sa arrivare anche oltre?

 

Non penso a una elite in ristretti termini numerici: il pubblico che oggi mi segue è sempre più trasversale, vasto ed esigente! Basti pensare che delle trentamila copie del cd de L’Histoire che incisi con Nordio e La Scala per Amadeus, un terzo è stato acquistato da bambini al di sotto dei dieci anni!

Il mio sogno sarebbe quello di arrivare in futuro a una ‘elite estesa’ capace di vanificare il bullismo mediatico subito da una massa sempre più esigua…   

 

Tutto il teatro ha lamentato negli ultimi anni pesanti tagli di bilancio. C’è qualche schiarita all’orizzonte?

 

L’Histoire du Soldat nacque come spettacolo di ridotte dimensioni e di ridottissimi costi: col mio Teatro da Camera consento ai direttori artistici di rinvigorire i cartelloni coi grandi titoli di operine a basso budget… poca spesa d’allestimento -facendo il factotum limito i costi al mio cachet e a quello dei musici- e massima affluenza di spettatori! Mi sento un po’ come un’auto elettrica (truccata!) in periodo d’austerity! 

 

Quando leggi o vai al cinema, cosa prediligi?

 

Ciò che sa emozionarmi, ovvero tutto quello che prima o poi spero finisca nel mio repertorio… l’elenco sarebbe troppo lungo!

Mi affascina la capacità di certa letteratura di permeare al contempo la dimensione adulta e quella dell’infanzia: le opere di Carroll, Stevenson, Wilde, Lewis, Tolkien per esempio, essendo tra le più ‘saccheggiate’ dagli sceneggiatori hollywoodiani, forniscono ghiotte occasioni per un approccio cinematografico alla buona letteratura… questo, al giorno d’oggi, credo sia molto ‘trasgressivo’!

Del resto ci sono autori contemporanei il cui successo mediatico offusca il loro pregio principale, quello di aver steso un ponte tra i lettori ‘occasionali’ e i grandi classici…

 

Quando parli di loro includi anche colei che rappresenta il maggior fenomeno editoriale dei nostri tempi, ovvero J.K. Rowling?

 

Certamente: ricordo che, al momento di allestire il mio Peer Gynt per il  pubblico scolastico, molti bambini -a partire dagli adorabili figli del grande Mario Brunello che ne dirigeva la versione per archi- erano già a conoscenza dei Trolls descritti da Ibsen grazie ai rimandi letterari indicati, per volere della Rowling, nei saggi sulla saga di Harry Potter! Le vicende del maghetto sono disseminate d’indizi e riferimenti perfino al Faust e allo Sturm goethiano, ed è anche grazie al supporto di autori come J.K. Rowling se oggi si comincia a parlare coi giovani dell’aspetto ludico di certi classici! Non credo che l’autrice abbia mai avuto la pretesa di  fare del ciclo di Hogwarts la moderna Saga dei Nibelunghi.

Tanto più che ognuno è libero di diffidare del valore letterario di Harry Potter… peccato che la maggior parte di noi diffidi anche di Dante o di Marlowe! La Rowling però li ha letti: ricordiamoci che è un’insegnante… e il suo libro è uno di quei solidi ponte per il mondo della lettura!

 

Infatti Harry Potter riscuote un successo di massa: allora non tutto è perduto?

 

Il paradosso è che il magico mondo di Potter è allegoricamente il mondo della Cultura, una parola ormai ‘occulta’ perché occultata ai più nel tentativo di tramutare il popolo in massa, ovvero -per usare un termine della Rowling- gli esseri umani in poveri ‘babbani’ schiavi dei ‘Voldemort’ mediatici! Quando la scrittrice britannica concepì la saga, scriveva per sé, per evadere anche solo un istante dalla triste povertà in cui si trovava, ignorando il radioso futuro  editoriale del suo maghetto  (J.K. non poteva ancora permettersi una sfera magica!)… Harry Potter non è stato scritto ‘a tavolino’ ma è nato da un impulso sincero, la cui forza trae alimento dall’eclettica cultura simbolica dell’autrice… Sicuramente J.K. ha spinto la massa a non voler essere ‘babbana’!

Se oggi tutti i lettori di Potter hanno fatto conoscenza con Nicolas Flamel -il  grande alchimista noto fino a ieri ad una ristretta cerchia di studiosi e ora tra i protagonisti del primo libro della saga- non è forse possibile che la ‘pietra filosofale’ della Rowling stia contribuendo alla lenta trasformazione di una grande massa acritica in una nutritissima schiera di sognatori, come accadeva per il piombo mutato in oro?

 

Quindi torniamo al tuo concetto di ‘elite estesa’?

 

Come ho detto prima, la qualità non riposa necessariamente nelle piccole quantità: altrimenti la “Quinta Sinfonia” di Beethoven, per il solo numero degli interpreti, sarebbe meno pregiata della “Sonata al Chiaro di Luna”… 

D’altra parte, parafrasando Karl Kraus, non sempre tutto quello che il grande pubblico apprezza dev’essere spazzatura: qualche volta “si sbaglia” anche la massa! 

 

Per finire, ti chiedo un disegno “à la Maio” dedicato a Trucioli e ai suoi lettori. 

Eccolo!