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RACCONTO SAVONA 2037: “LA GRANDE CONCATENAZIONE”  
di Massimo Bianco

SECONDA PUNTATA

QUESTO RACCONTO PER L’ESTATE IN TRE PUNTATE VUOLE CRITICARE L’ONDATA SPECULATIVA MINACCIATA NEL SAVONESE E CHE RISCHIA D’ESSERE ANCHE PIÙ DEVASTANTE DI QUELLA ANNI ’50-’70, TANTO DA METTERE A RISCHIO PERFINO L’OSPEDALE SANTA CORONA DI PIETRA.

COME SI ARGUISCE DAL TITOLO, SAVONA 2037 È UN RACCONTO FANTASCIENTIFICO. PER SCRIVERLO HO UTILIZZATO LA CLASSICA TECNICA (GIÀ DA ME SEGUITA NEGLI SCORSI MESI PER TRUCIOLI IN “NOI ULTRAS COMBATTENTI”) DI PRENDERE SITUAZIONI PRESENTI NELLA REALTÀ CONTEMPORANEA E TRASPORTARLE NEL FUTURO ESASPERANDOLE PER EVIDENZIARNE I LATI NEGATIVI. SVOLGENDOSI LA STORIA TRA TRENT’ANNI, PER RENDERE L’AMBIENTAZIONE CREDIBILE MI SONO DOVUTO IMMAGINARE L’EVOLUZIONE DELLA SOCIETÀ IN QUESTI DECENNI.  HO EVITATO TUTTAVIA DI SBIZZARRIRMI TROPPO PER NON APPESANTIRE LA NARRAZIONE AGLI OCCHI DI CHI NON MASTICA ABITUALMENTE QUESTO GENERE LETTERARIO. 

 IO NON HO NULLA CONTRO L’EDILIZIA, A PATTO CHE NON DANNEGGI L’AMBIENTE, IL PAESAGGIO E IL NOSTRO PASSATO. MI PIACE, AD ESEMPIO, L’IDEA D’UN NUOVO ELEGANTE GRATTACIELO VICINO ALLA TORRE SAN MICHELE (IL MATITINO), DOVE GLI EDIFICI SONO GIÀ  TUTTI MODERNI. LA STESSA TORRE ORSERO, PUR LASCIANDOMI PIÙ PERPLESSO, LA DIGERISCO SENZA PROBLEMI, POICHÈ SORGE PUR SEMPRE ALL’INTERNO D’UNA CITTÀ. NON HANNO INVECE RAGIONE D’ESSERE NÈ IL PORTO TURISTICO DI ALBISOLA, PRIVO DI VERI RITORNI ECONOMICI E DESTINATO A RESTARE CON GLI ORMEGGI VUOTI,  PROSSIMO COM’È AL GIÀ SOTTO UTILIZZATO PORTO DI VARAZZE E A QUELLO DI SAVONA, NÈ L’IMPATTANTE TORRE FUKSAS. NON SI DEVE RIPETERE IL DISASTRO DI ZONE DEL PONENTE COME BORGHETTO SANTO SPIRITO, I CUI ORRIDI PALAZZONI IN RIVA AL MARE ANDREBBERO TUTTI DEMOLITI. ANDATE A VEDERLI SE VI CAPITA E DITEMI SE NON HO RAGIONE. PUTROPPO AL CATTIVO GUSTO NON C’È MAI FINE, BASTI PENSARE CHE A FINE ‘800, QUANDO VENNE APERTA VIA PALEOCAPA, QUALCUNO AVEVA PROPOSTO ADDIRITTURA DI ABBATTERE LA TORRETTA, PERCHÈ CON LA SUA PRESENZA PRECLUDEVA LA VISUALE DELLA DARSENA!

BUONA LETTURA A TUTTI. (N.d.A.)

...LEGGI LA PRIMA PUNTATA...
...In quel momento Andrea Briano stava camminando all’ombra della “Foresta di Sequoie”. Si trattava di ben nove imponenti grattacieli gemelli alti 188 metri ciascuno. Il gruppo era stato chiamato così perché l’aspetto dei vari edifici ricordava proprio gli omonimi colossi della natura, con quel loro tronco enorme e slanciato e la cima aperta verso l’esterno come fosse una chioma arborea
       

  Le chiome erano in realtà degli azzardati quanto estrosi bovindi sporgenti a cui nella parte anteriore s’innestavano i balconi, inseriti gli uni e gli altri a partire dal primo quarto dei sessanta piani. Una rarità, questa, testimone della capacità tecnica dei progettisti, perché a quell’epoca nel mondo erano ancora assai rari i grattacieli di tale altezza a cui si installassero poggioli, peraltro utilizzabili oramai solo pochi mesi all’anno, a causa dell’eccessivo caldo estivo e del clima invernale ancora poco clemente ai piani alti.

Quattro delle Sequoie s’innalzavano intorno all’antica Via Pietro Giuria, allargata all’uopo. Andrea procedeva invece lungo Corso Cirillo, in mezzo alle altre cinque. Queste ultime erano soprannominate le Pie Torri. Erano chiamate così non certo per motivi religiosi ma più semplicemente perché sorgevano ove un tempo stava la parte di centro storico estesa ai due lati di Via Pia e a fianco del Duomo. L’elegante e alberato Corso Cirillo era stato disegnato all’incirca lungo il percorso originariamente seguito appunto dalla medioevale Via Pia. Lui se la ricordava ancora: un vicolo brutto e stretto, interrotto da traverse oscure e maleodoranti e pieno di catapecchie vecchissime e malandate, causa di spese enormi sia per la necessaria manutenzione sia per i periodici maquillage.

Andrea non riusciva proprio a capacitarsi di come facesse la gente del passato a vivere in simili tuguri. Il solo pensiero di affacciarsi alla finestra e ritrovarsi ad appena tre o quattro metri di fronte le finestre di appartamenti altrui, i cui inquilini probabilmente potevano vedere tutto quanto facevi, lo costernava. Il problema per fortuna era ormai risolto. Qualche anno prima, difatti, essendo stato demolito l’intero antiestetico quartiere, assurdamente rimpianto da suo padre, erano potute nascere le citate moderne strutture contemporanee. Necessitava però in proposito una precisazione. In verità erano solo otto le Sequoie gemelle, mentre la nona, posta di fronte al superstite palazzo Santa Chiara di Giuliano Da Sangallo, per la necessità di adattarsi al limitato spazio disponibile aveva una forma lunga e stretta, del tutto diversa dalle altre, e veniva chiamata come le altre solo perché nata insieme a loro. Come si potevano paragonare questi magnifici palazzi con quelle antiche brutture? Eppure suo padre non era l’unico a nutrire rimpianti, come i grilli parlanti testimoniavano ogni giorno.

I Grilli: gente vecchia di spirito e irrimediabilmente innamorata di un passato ormai morto e sepolto, che prendeva il nome non solo dall’omonimo personaggio di Collodi ma anche da un famoso comico e contestatore genovese di circa trent’anni prima, rimasto ucciso a Milano in un tragico attentato nel lontano 2012, mentre si recava a un comizio. Andrea non li poteva soffrire. Ricordava ancora molto bene la reazione violenta delle frange più retrograde della popolazione, sobillate dai Grilli, sia quando il progetto della Foresta Di Sequoie era stato annunciato sia al momento della realizzazione pratica. La gente si era resa protagonista di proteste selvagge di fronte al comune, con i facinorosi che assaltavano la sede della società vincitrice dell’appalto al grido di “non si può cancellare la storia” e poi c’erano state le cariche della polizia in tenuta antisommossa, l’attentato al sindaco, la bomba nascosta negli uffici tecnici e altre violenze assortite. E tutto per quei tuguri, mah!

Per fortuna i poteri locali avevano resistito alle pressioni e il vecchiume era stato sostituito dalle attuali splendide strutture postmoderne. Andrea alzò lo sguardo verso gli imponenti e avveniristici pinnacoli di vetro, cemento e moderna fibroplastica similacciaio. Sequoie. A suo parere mai nome avrebbe potuto essere più azzeccato e guardandole ci si sentiva orgogliosi di vivere nella città e nella provincia più evolute d’Italia. Città divenuta nel frattempo capoluogo di regione e forse anche per questo cresciuta a dismisura. Negli ultimi tre decenni ampie parti dei quartieri centrali o semicentrali di Savona erano state interamente ricostruite, mentre la periferia si era estesa fino a ingoiare i limitrofi comuni di Vado Ligure, di Quiliano e delle Albisole.

Le eccezioni alla trasfigurazione dei quartieri centrali, a parte le già citate torri medioevali, palazzo Santa Chiara e la fortezza, erano rappresentate dalle porticate e ottocentesche Via Paleocapa e piazza Mameli con circa metà della perpendicolare Corso Italia. Si conservavano inoltre alcuni scorci, lasciati intatti perché occupati tra gli altri da stabili neoclassici, come il teatro, dinanzi al quale era stata trasferita la cosiddetta “Fontana del pesce” di Renata Cuneo, la più pregevole fontana italiana del ‘900, da edifici in stile Liberty o del ventennio, luoghi dichiarati tutti patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco, più alcuni palazzi novecenteschi ritenuti di pregio come il tribunale e la stazione ferroviaria. Inoltre sopravvivevano alcune chiese, tra cui il Duomo e le ville Gavotti e Cambiaso. Infine erano ancora in piedi numerose strade e piazze dell’oltre Letimbro, ma queste ultime solo perché destinate a interventi futuri.

Si trattava d’altronde di un’evoluzione sentita necessaria da quando Savona era diventata il vero centro nevralgico dell’Italia nord occidentale, soppiantando Genova e Torino e facendo concorrenza diretta a Milano. La metropoli ponentina era ormai prossima al milione di abitanti e pareva destinata a raddoppiare ulteriormente la popolazione forse addirittura già entro la fine del decennio successivo.

La Foresta Di Sequoie, fiore all’occhiello dello sviluppo edilizio cittadino, era stata progettata nove anni prima da una coppia di geniali architetti neolaureati, Alessandro Cirillo e Irene Latino, eredi del prestigioso studio “AUDCHIM”, acronimo della misteriosa denominazione completa “Arredi Urbani Della Chiara Madama” originariamente sito proprio in Via Pia e trasferito in uno dei nuovi grattacieli il giorno stesso della loro inaugurazione. Insieme a loro avevano collaborato anche i genitori dei lei, i coniugi Latino, all’epoca ancora titolari dello studio. Una volta partito l’appalto le torri erano state completate tutte e nove in soli 18 mesi. Quando, qualche anno dopo, Alessandro Cirillo era tragicamente morto in un incidente stradale ad appena trentadue anni di età, la sua giovane collega e compagna aveva convinto il Comune a intitolargli il Corso. 

Andrea stava ancora percorrendo il viale quando vide Mattia Biale, un vecchio amico e compagno d’università, uscire dal vicino centro commerciale insieme a due donne e a due uomini. La più giovane del quartetto aveva un aspetto vagamente familiare ed era assai attraente. Evidentemente doveva averla già incontrata, eppure non gli sembrava di conoscerla. L’attenzione di Andrea ne fu magnetizzata. Sarà la nuova ragazza del suo amico, forse? Sembrava tuttavia avere qualche anno più di lui. Quanto all’altra era indubbiamente anch’ella una donna interessante ma pareva aggirarsi sui cinquanta, troppi perché potesse suscitargli un effettivo interesse.

Il coetaneo si accorse della sua presenza e gli rivolse un saluto. Con l’attenzione rivolta alla giovane donna il ragazzo salutò a sua volta l’amico architetto.

“Ehi, ciao Mattia. È un pezzo che non ci vedevamo.”

“Hai ragione Andrea, mi devi scusare. Ho avuto un casino da fare, ultimamente.”

“E come ti va?”

“Bene grazie. Non so se lo hai saputo, ma due mesi fa sono stato assunto allo studio AUDCHIM.”

“Oh, davvero? Non lo sapevo, no. Complimenti.”

In effetti Andrea era molto colpito e ammirato dalla notizia. Negli ultimi anni lo studio di architettura AUDCHIM si era conquistato un enorme prestigio internazionale. Certo, Mattia si era laureato a pieni voti, ma non lo immaginava talmente valido da poter ambire a un posto di lavoro tanto prestigioso.

“E quindi non mi posso davvero lamentare.” – Continuò Mattia. – “Ma permettimi di presentarti il mio capo, l’architetto Irene Latino. Irene, ti presento Andrea, mio compagno d’università.”

Andrea rimase abbagliato. Ecco perché costei le aveva suscitato questa sensazione di familiarità. Era la famosa Irene Latino in persona, il più grande architetto italiano e forse europeo vivente. L’aveva vista varie volte sui video giornali. Ed era una loro concittadina!

“Oh, tanto piacere.”

“Eh così sei architetto pure tu? …Hai fatto una buona scelta. Oggi la nostra professione offre mille opportunità.”

Andrea le strinse la mano con energia, davvero felice di avere finalmente avuto l’opportunità di conoscere la donna che dava tanto lustro alla sua città.

“La signora invece è sua madre Chiara.” Aggiunse Mattia.

Andrea la osservò sorpreso. Doveva rivedere la propria impressione originaria. Gli risultava che Irene Latino fosse sui trentatre anni. Se costei era la madre doveva avere molto più di cinquant’anni, doveva aver passato addirittura i sessanta. Non lo avrebbe mai detto.

Mattia a questo punto gli presentò anche gli altri due. Uno era il padre di Irene e l’altro, in apparenza più giovane del primo ma forse in realtà coetaneo, era un vecchio conoscente della famiglia incrociato alcuni minuti prima, un personaggio a sua volta piuttosto noto, opinionista e autore di alcuni libri ed e-book di successo, anni prima. Ad Andrea risultava che conoscesse di persona Guidoponte e avesse addirittura aderito alla sua causa. Era dunque assai sorpreso di vederlo in compagnia della potente Irene Latino, che agli occhi dei grilli rappresentava il nemico.

Peraltro andando loro incontro Andrea doveva avere interrotto una discussione, lo si capiva dalle espressioni ancora tirate e imbarazzate dei protagonisti. In effetti suscitavano tutti l’impressione di avere affrontato in passato già mille volte gli argomenti trattati, senza per questo mai arrivare a un punto di rottura.

“Siete voi,” – chiese Andrea, - “che avete vinto l’appalto per riorganizzare l’entroterra, vero?”

“Sì.” – rispose Irene, con gli occhi che le brillavano. – “Abbiamo tracciato un grande, avveniristico progetto in più fasi, che richiederà anni e impegno costante per la sua piena realizzazione.”

Mattia, pensò Andrea, è un ragazzo fortunato, sta proprio al centro di dove succedono le cose.

Poco dopo si accomiatò, ma prima di allontanarsi lo sentì riprendere la discussione interrotta dalla sua apparizione. Parlava a voce assai alta, chiaramente infervorato. Egli poté udirne un lungo stralcio perché la madre di Irene Latino, fermandosi davanti a una vicina vetrina aveva bloccato per qualche istante tutto il gruppo prima di fargli riprendere il percorso.

“Circa quanto dicevamo prima, anch’io penso che lui esageri, signora Latino. Per lo meno a breve e medio termine. Dovremmo però valutare meglio le conseguenze a lungo termine, perché una volta esaurito il ritorno economico previsto rischiamo di ritrovarci col sedere per terra, senza più risorse disponibili.”

“Ma stiamo parlando di trent’anni da oggi. A quell’epoca di sicuro la tecnologia si sarà ulteriormente sviluppata e ci permetterà di trovare una nuova soluzione. Io sono…”

Andrea a questo punto non riuscì più a udire quanto stava dicendo la Latino. Sarebbe stato assai curioso di sapere di cosa stessero parlando esattamente. Sembrava trattarsi di qualche problema inerente allo studio di architettura. Un problema che evidentemente preoccupava parecchio sia Mattia sia l’opinionista. Riguardava forse proprio il progetto inerente i boschi dell’entroterra?

Guardò l’amico allontanarsi. Nonostante apparisse piuttosto teso e chiaramente poco convinto, poteva parlare in piena libertà, gesticolando ampiamente. Dal suo modo di fare s’intuiva come i suoi rapporti con la datrice di lavoro dovessero già essere abbastanza amichevoli, anche se si davano ancora del lei.

 

Genova, quarantacinque chilometri da Savona circa. Un gruppo di volontari stava montando il palco per un comizio in programma quella sera. Lavoravano alacremente da un paio d’ore e il palco era ormai praticamente pronto. Del resto grazie alle tecnologie moderne i lavori erano in buona parte automatizzati e non richiedevano eccessivi sforzi.

Si trovavano su un lato del grande piazzale, ai piedi del palazzo della provincia di Genova progettato vent’anni prima da Zaha Adid, un curioso e imponente edificio di dodici piani a forma di pigna dopo che ha liberato i suoi semi. Intorno non c’era ancora nessuno, ma i volontari sapevano che in capo a un paio d’ore si sarebbero lì riunite decine di migliaia di persone.

Il loro capo carismatico, Raffaele Guidoponte, aveva ormai raggiunto una fama internazionale e otteneva un seguito sempre maggiore. Come ben sapevano i suoi più intimi collaboratori, quella sera avrebbe annunciato la propria candidatura al parlamento europeo e grazie alla sua enorme popolarità sarebbe stato sicuramente eletto. E una volta ottenuto il seggio avrebbe finalmente avuto voce in capitolo per arrestare la speculazione. Già nel pomeriggio aveva fatto qualche velato accenno, stando però bene attento a non scoprirsi troppo. Essendo Savona il cuore dell’attacco alla natura non aveva voluto distrarre gli spettatori con le sue questioni personali. Il momento da lui tanto atteso sarebbe invece giunto quella sera. In proposito Guidoponte era assai curioso di vedere come avrebbero reagito i genovesi alla notizia. Perché, naturalmente, i suoi comizi avrebbe potuto comodamente tenerli da casa propria, come faceva ormai la maggior parte degli uomini politici, ma a lui piaceva il contatto diretto con la gente.

I volontari impegnati a montare il palco avevano seguito attraverso il minischermo il discorso da lui effettuato nel pomeriggio e trasmesso in diretta internetvisiva. Era stato grande, come sempre. Gliela aveva cantata bene agli speculatori.

Stavano mettendo a punto gli ultimo particolari quando lo videro giungere. Era un uomo ancora giovane, lungo il corso della quarantina. Era alto, magro e muscoloso, col volto scavato e ascetico. Il punto di forza di Raffaele Guidoponte erano i suoi occhi blu intenso. Essi gli donavano uno sguardo magnetico. I suoi occhi sembravano guardarti fin nel profondo, sembravano poterti letteralmente mettere a nudo l’anima. In quel momento il boss appariva un poco stanco ma rilassato.

“Bene arrivato dottor Guidoponte.”

Guidoponte aveva una laurea in ingegneria elettronica.

“Salve ragazzi, è tutto pronto?”

“Questione di minuti, siamo agli ultimi ritocchi.”

“Posso già salire, allora? Voglio vedere che effetto fa.”

“Prego signore, venga.”

Il grillo parlante capo si arrampicò sul palco e poi si mise in posizione. Annuì, soddisfatto. Avevano scelto il luogo ideale, da lì si godeva un’ottima prospettiva.

Guidoponte stava ancora osservando la piazza quando udì un rumore provenire da sopra di lui. Alzò gli occhi, sorpreso, imitato dai volontari al lavoro sul palco e intorno a esso. Uno dei grandi bracci di Palazzo Adid, che fungevano da balconi del palazzo della Provincia, stava crollando sulle loro teste. Fu questione di un attimo: anziché scostarsi Guidoponte istintivamente alzò le braccia per ripararsi e un istante dopo venne schiacciato dall’enorme massa insieme a uno dei giovani volontari, vanamente lanciatosi addosso a lui nel tentativo di salvarlo.

 

Una volta lasciato il gruppo di architetti, Andrea sbucò dove sorgevano la Campanassa e le altre torri medioevali, minuscole sotto la mole dei grattacieli. Di fronte a lui, di fianco alla fortezza cinquecentesca del Priamar, si ergevano le Guglie Zaffiro, spettacolari edifici in cristallo blu riflettente, il cui ben più modesto progetto originario era stato rivoluzionato in corsa nell’ormai lontano 2008. Sulla sinistra invece il fronte mare era dominato dalle Sentinelle, le due piccole torri poste ai lati dell’ingresso al porto. Le guardò. Quella esterna, la cosiddetta Torre Orsero, nota anche come Torre Bofill, per quanto fosse assai bassa e insignificante, tutto sommato faceva ancora la sua figura con quel suo aspetto slanciato e le belle vetrate verdi azzurre. Non si poteva invece dire altrettanto dell’orrore alle spalle della Torretta chiamato semplicemente il Grattacielo nonostante vantasse solo una quindicina di piani, perché per molti decenni era stato l’edificio più alto della città. Il palazzo, risalente addirittura a un centinaio di anni prima, era di concezione arcaica e il piano regolatore ne prevedeva l’abbattimento insieme ad alcuni edifici retrostanti.

Al loro posto sarebbe stato realizzato un nuovo brillante progetto della geniale Irene Latino, il maestoso grattacielo Babele Latino, che con i suoi 720 metri di altezza sarebbe stato il più alto del mondo e massimo orgoglio dell’Italia intera. In cima alla guglia, come imperituro nuovo simbolo della grandezza di Savona, sarebbe entrato in funzione un gigantesco faro, autentica ottava meraviglia del mondo, la cui luce sarebbe stata visibile in tutto il centro e nord d’Italia fino all’arco alpino, in parte della Francia, in Corsica, in Sardegna e nell’intero Mediterraneo occidentale. Dai suoi piani più elevati ci si sarebbe potuti alzare la mattina e a sud contemplare l’isola d’Elba e a nord ammirare la corona di nubi che circonda le vette evanescenti del Monte Rosa.

Genova, arroccata nell’insensata difesa della propria storia insieme a  tutte le sue patetiche cittadine rivierasche, stava ormai venendo surclassata dalla futuristica provincia di Savona, detta ormai la Shanghai d’Europa e che orgogliosamente ambiva a riunire tutte le sue località in un unico colossale agglomerato urbano. D’altronde Genova era superata da ogni punto di vista. La città contava ormai meno di 300.000 mila abitanti e quando, com’era previsto, un’ampia fetta di costoro si sarebbe trasferita nella nuova Torre Babele, la sorte della Superba sarebbe stata segnata per sempre. L’antica repubblica marinara, da città viva e attiva sarebbe diventata un museo a cielo aperto, frequentato solo dai turisti, mentre le sue attività politiche ed economiche si sarebbero svolte per intero a Savona.

Andrea consultò l’ora. Era tempo di dirigersi verso la casa di Riccardo Rosso, di cui era ospite a cena e dove, dopo il pasto, si sarebbe tenuta una riunione a cui lui non voleva mancare. Con i suoi trentatre anni il suo anfitrione era di gran lunga il più anziano tra i suoi amici. Si erano conosciuti perché sette anni prima il tranquillo e simpatico Riccardo si era per breve tempo fidanzato con la sorella maggiore di Andrea. Il rapporto sentimentale in effetti non aveva funzionato, invece i due ragazzi si erano piaciuti ed erano rimasti amici.

Naturalmente per raggiungere il levante del capoluogo dove costui viveva, Andrea avrebbe potuto prendere la magnetovia, arrivando a destinazione in neanche cinque minuti, ma contrariamente alla maggioranza dei suoi coetanei, che spesso neppure più uscivano di casa, amava camminare e sopportava il caldo torrido senza fiatare. In vita sua era la prima volta che si recava a cena in casa di amici. Tra la sua generazione non si usava più, perché tutti i contatti si tenevano a distanza, attraverso i canali privati della finestra videonet. Non a caso i pochi ristoranti ancora in funzione avevano clientele formate quasi per intero da ultracinquantenni. Tuttavia Riccardo era da sempre un tipo retrò e si dilettava a organizzare eventi nello stile di quello da lui definito il bel tempo andato.

In proposito Andrea non lo capiva. Perché mai una persona ancora giovane deve ragionare come i suoi genitori o addirittura i suoi nonni? D’altra parte questi suoi modi di fare stavano tornando di moda. Nell’ultimo anno numerosi suoi conoscenti assolutamente insospettabili avevano cominciato a considerare “in” tenere comportamenti tipici del ventesimo secolo, come ad esempio sedersi tutti insieme di fronte a una tavola apparecchiata. Anche per questo motivo Andrea stavolta aveva accettato l’invito, pur essendo convinto che il trend in voga fosse destinato a tramontare presto, sepolto dalla noia, come accade con tutte le mode.

Proseguendo lungo la darsena giunse alla Torretta e si soffermò a guardarla. L’anacronistico eppure incomprensibilmente ancora amato simbolo della città finora era sopravvissuto ad almeno tre tentativi di eliminazione, il primo risalente addirittura al medioevo, il secondo a fine ottocento e il terzo a otto anni prima. Da lì lo sguardo di Andrea si aprì oltre le Sentinelle, direttamente sulla ormai mitica “Concatenazione Est”, una serie avveniristica di grattacieli innalzati direttamente sul mare e che si perdeva lungo l’orizzonte per chilometri e chilometri. Quanto gli piaceva! Nessuno al mondo aveva niente di simile alla Grande Concatenazione. La sua sola esistenza giustificava appieno, a suo parere, la scelta di trascorrere lì l’intera esistenza, perché grazie ad essa Andrea si sentiva all’avanguardia e al centro del mondo.

 

Suonarono al citofono. Attraverso i canali privati della finestra videonet Riccardo riconobbe Andrea in attesa all’ingresso e lo fece salire. Quindi lo abbracciò e lo fece accomodare in salotto, dove oltre alla sua compagna c’erano già gli altri cinque ospiti della prima parte della serata, tra cui il giovanile padre di Riccardo.

Andrea con sua sorpresa riconobbe anche l’anziano scrittore e opinionista incontrato poco prima in centro insieme a Irene Latino. Non immaginava che il suo amico lo conoscesse, tuttavia uno degli altri ospiti, da lui già incontrato un paio di volte in casa Rosso pretrasloco, un allegro ragazzo di uno o due anni più giovane di lui, risultò addirittura essere figlio dello scrittore. Il giovane peraltro quella sera non era di grande compagnia. Si era portato dietro il “glasnet”, occhiali speciali che permettevano il collegamento diretto alle realtà simulate e al sistema informatico delle “finestre” e si era completamente estraniato dalla conversazione.

Per contrastare il caldo torrido esterno il condizionatore lavorava a pieno regime, e si respirava un’aria piacevolmente fresca. Inoltre l’appartamento era perfettamente isolato acusticamente e nessun suono esterno poteva giungere fino a lì.

In quell’appartamento si stava preparando qualcosa di importante. Guardandosi attorno Andrea se ne accorse subito. I presenti erano in fibrillazione e lui intuì all’improvviso di non essere stato invitato per semplici motivi di amicizia. Riccardo meditava qualcosa e probabilmente questo qualcosa non gli sarebbe piaciuto.

Intanto gli ospiti stavano discutendo del progetto Latino, di cui l’opinionista era perfettamente informato. Andrea venne così a sapere che si intendeva provocare l’incendio controllato delle foreste di Liguria e basso Piemonte per incenerire e trasformare, grazie a un nuovo innovativo macchinario, gli alberi in energia termica da convogliare in riviera per alimentare tutte le attività future della Grande Concatenazione, rendendola finalmente autosufficiente per almeno un intero trentennio. La luce, i condizionatori, gli elettrodomestici e tutto il resto avrebbero funzionato al cento per cento per trent’anni grazie all’energia ricavata sia così sia con i metodi tradizionali, da soli insufficienti. Andrea restò a bocca aperta.

Ilaria intanto si era sintonizzava su Rete Concatenazione Liguria Sky, che trasmetteva informazione locale ventiquattrore su ventiquattro. Stava per azzerare il volume per non disturbare la conversazione quando lo speaker preannunciò una drammatica edizione straordinaria.

Gentili amici e amiche, ci è appena giunta la notizia che pochi minuti fa il noto affabulatore capo dei Grilli Parlanti Raffaele Guidoponte è caduto vittima di una tragico incidente. Guidoponte era appena salito sul palco dove tra circa un’ora avrebbe dovuto tenere uno dei suoi popolari comizi pubblici quando, per cause ancora ignote, uno dei balconi sovrastanti si è staccato dall’ edificio della Provincia ai cui piedi si preparava il comizio stesso ed è caduto sul palco proprio nel momento in cui vi era salito Guidoponte. Nonostante gli immediati soccorsi le sue condizioni apparivano subito molto gravi. Pochi istanti fa, come potete vedere nelle immagini alle mie spalle, un’ambulanza lo ha prelevato e lo sta trasportando d’urgenza senza che ancora abbia ripreso conoscenza. I familiari sono stati immediatamente avvisati della dolorosa fatalità e… scusate un momento… ci arriva adesso un aggiornamento. Dobbiamo purtroppo annunciare che il popolare comunicatore Raffaele Guidoponte è spirato proprio durante il trasporto in ospedale. Oltre a lui è morta anche un’altra persona, uno dei volontari…

Riccardo e tutti i suoi ospiti ascoltarono il notiziario straordinario a bocca aperta, sconvolti.

“Un tragico incidente, ma sentili. Io non ci crederei neppure se venisse a garantirmelo il suo fantasma in persona. Con i suoi discorsi dava fastidio e ora guarda caso è morto in modo assurdo, vi pare possibile una simile coincidenza?” Esclamò uno degli ospiti, Tommaso Valdora, ingegnere ambientale e migliore amico di Riccardo, un tipo massiccio e privo di collo.

“In effetti così come lo hanno appena descritto mi pare quanto meno improbabile che si possa trattare di un incidente.” – Confermò l’opinionista. – “Quello è un palazzo moderno e ben costruito, considerato da Irene Latino in persona una delle più notevoli e solide strutture contemporanee. Che uno dei suoi balconi fosse difettoso già di per sé mi pare improbabile ma che poi, per incredibile coincidenza, sia andato a cadere proprio in quel momento… No, no, Guidoponte è stato assassinato, potete scommetterci”.

La storia si concluderà la prossima settimana.

Massimo Bianco