L’obsoleto nome di Respublica (basta con questi vetusti latinismi!) trasformata in Resprivata Italiana SpA, un ente di sola gestione della res, non più publica ma privata. Il meccanismo è simile a quello del leasing... Marco G. Pellifroni |
|
Siamo sulla buona strada: sembra che il Governo ombra abbia adottato, nella privacy di un ufficio interpartitico, un codice comportamentale per il risparmio monetario (tanto, a quello energetico, chi ci crede più? La gente, dopotutto, continua a lagnarsi delle spese della politica; e allora la politica, attenta alle voci dei suoi cittadini elettori, ha pensato bene di por mano al risparmio. E questo senza neppure bisogno di una legge, che richiede dibattiti parlamentari, contrasti da parte di un’opinione pubblica sempre meno manovrabile, articoli e interviste sui mass media. |
Niente di tutto questo: si porrà mano al programma in punta di piedi, senza promesse di sapore elettorale né dichiarazioni di intenti. Il peso del debito statale ne risulterà alleggerito (senza però alleggerire gli stipendi di deputati e senatori) e i rendiconti annuali rifletteranno questa più saggia gestione del denaro dei contribuenti. Come?
Semplice: trasformando l’obsoleto nome di Respublica (basta con questi vetusti latinismi!) in Resprivata Italiana SpA, un ente di sola gestione della res, non più publica ma privata. Il meccanismo è simile a quello del leasing. L’unica differenza è che nel leasing il contraente acquista un bene non suo, diventandone proprietario al saldo dell’ultima rata. Nel nostro caso, invece, lo Stato cede a privati la proprietà dei suoi beni e mette all’attivo le somme che ne ricava, abbattendo così l’ammontare del debito verso la banca centrale (ossia il suo primo creditore, che spesso è proprio l’ente erogatore dei “prestiti” con cui lo Stato ha acquistato o prodotto alcuni dei beni nazionali che ora cederebbe ai privati). Se i beni ceduti fornivano un servizio allo Stato, questi continuerà a fruirne, pagando un canone d’uso o di locazione, trasformandosi da proprietario in locatario. In questo modo, la gestione dei beni, anziché essere affidata alle mani bucate dello Stato, che paga e strapaga i suoi esuberanti dipendenti, passerebbe sotto il controllo di privati, molto più attenti al profitto e quindi con meno lacci e lacciuoli quando si tratta di assumere il personale e risparmiare sulla qualità dei servizi.
Dopo la folle ventata di nazionalizzazioni (onda lunga dello scriteriato ’68: un plauso a Sarkozy che si prefigge di cancellarne anche la memoria!), si passerà così, senza troppe fanfare, al virtuoso processo inverso, con la progressiva privatizzazione dell’intera penisola -ed isole, beninteso- fino al conseguimento dell’obiettivo finale: la Resprivata Italiana SpA, appunto.
Questo orientamento è già in atto, parte alla luce del sole, parte alla chetichella, per evitare troppe gazzarre giornalistiche, interrogazioni parlamentari, interviste imbarazzanti. L’importante è che l’operazione sia tanto più segreta quanto maggiore la dimensione delle transazioni. Proprio per questo il presente documento è secretato e circola soltanto al livello di segretari dei partiti più convinti della validità di questo indirizzo,che abbiamo magistralmente convertiti alla nostra causa. Qui neppure li nomino, per timore che poi li si accusi di far parte di qualche loggia massonica, con il can-can mediatico che ne seguirebbe. Le parole d’ordine devono essere: discrezione e prudenza.
Per la verità, siamo riusciti a celare alle masse la prima e più grande opera di privatizzazione mai effettuata: quelle delle banche centrali (e quindi del denaro), a cominciare dalla Banca d’Inghilterra, nel 1694. E poi della Banca d’Italia. E poi delle Federal Reserve americana. Capolavori di ingegneria monetaria e di riserbo ermetico. Ora stiamo passando alla fase successiva: dal denaro a tutto ciò che il denaro può comprare. E siccome lo Stato è il più grande ereditiero che esista (forse addirittura più della Chiesa), ha ancora tantissimo da vendere. E noi, se con una mano (quella dei nostri amici al governo) vendiamo, con l’altra compriamo: tanto i soldi, grazie alla fase 1, siamo sempre noi a farli, anche se tutti credono che siano pubblici. Una volta privatizzati i soldi, privatizzare le cose è un gioco da ragazzi: si tratta semplicemente di pagarle, ossia di contraccambiarle con quei soldi che noi fabbrichiamo scrivendo dei valori su tanti pezzi di carta colorata. Beh, è chiaro che non sempre i tentativi vanno in porto. Un paio d’anni fa, la proposta del ministro Tremonti di vendere i litorali non l’ha spuntata: ci sono ancora delle sacche di resistenza ideologica nei partiti della sinistra radicale; ma l’ascesa del loro esponente più rappresentativo alla presidenza della Camera lascia ben sperare in una loro resipiscenza: avrete certamente notato com’è diventato avaro di parole proprio lui, l’ex Parolaio Rosso.
In compenso, ci sono aziende di Stato che sono pacificamente passate o in via di passaggio in mani private, come Telecom e Alitalia. Telecom l’amico Tronchetti se l’è addirittura messa in portafoglio senza spendere neppure un euro: gli abbiamo anticipato tutto noi. Idem in campo immobiliare, con un numero ormai fuori controllo di edifici ex-pubblici che stanno formando l’ossatura di uno scheletro privato che spazia dalla punta al top dello stivale. Purtroppo ci è scappata di mano, ma scopriremo come, la riservatezza di un’operazione nel cuore di Roma. L’affaire è approdato niente meno che ad Anno Zero, con una sequela di domande impertinenti al fido Scarpellini, che aveva avuto il “fiuto” di acquistare i palazzi, naturalmente tramite un nostro mutuo, giusto in tempo per affittarli alla Camera come uffici dei deputati. Operazione emblematica del trend in corso: quello di uno Stato non più possessore di beni, ma semplice usufruttuario, pagatore di canoni a società private. Dopo tutto, può incamerarsi le tasse sugli utili del locatore, e quanto paga di canone può anche scaricarlo dalle tasse. (Ops, scusate il lapsus: le tasse lo Stato le prende, mica le paga; ma rimedieremo anche a questo).
E poi basta con le pubbliche aste: i beni si cedono a trattativa privata, beninteso alle aziende della lobby (uso il singolare e senza il possessivo, perché siamo ormai una grande famiglia, ramificata a livello sovranazionale). Del resto, le gare al massimo ribasso sono un espediente di facciata, in quanto chi vince non può che rifarsi abbassando la qualità di ciò che fornisce, bene o servizio che sia. E poi, che dire delle prerogative richieste per partecipare? Tutte studiate per far vincere l’azienda X che le ha, anziché l’azienda Y (che non le ha, ma che manco sarebbero necessarie). Per non dire delle prerogative necessarie, eppure non richieste nel bando, se la ditta predestinata non le possiede. Roba sempre sul filo del codice penale, ‘ste aste pubbliche, insomma. Invece, una bella trattativa privata, come quella con la Camera, e tutto è risolto, senza intrusioni di concorrenti o magistrati. E c’è ancora in giro chi contesta che “Privato è bello”!
Un ultimo punto: perché continuare a tenere nei caveau delle banche centrali tutti quei lingotti d’oro? Un tempo stavano lì a garanzia del denaro emesso. Ma oggi, chi ce la fa fare, di tenere immobilizzate migliaia di tonnellate di un metallo, nobile sì, ma infruttifero? Meglio venderlo e acquistare beni che rendono, come gli immobili, appunto. Ormai l’oro è roba d’altri tempi: oggi gli investimenti si fanno in mattoni: basta vedere la cappa di cemento che sta ricoprendo l’Italia. Anche se, in fondo in fondo, ho il dubbio che finiranno con l’essere più inutili dell’oro stesso e molto più ingombranti. Un palazzo non puoi farlo sparire come un bel lingotto. Non voglio certo passare per ambientalista, dando contro alle colate di cemento; ma il sospetto che a colarne troppo finiscan col valere di più gli scampoli di territorio che ne son rimasti immune non riesco a scacciarlo. Detto in un orecchio, non hanno torto quelli che dicono che il valore della moneta deriva dalla fiducia della gente; beh, un lingotto d’oro, da tempo immemorabile, questa fiducia ce l’ha, mentre una casa disabitata a chi può interessare? Mmmh, devo mettere in guardia i miei amici spagnoli, che vogliono vendere altre 100 ton di lingotti, e gli svizzeri, che ne stan scaricando 276; per non dire, e questo è proprio il colmo, dello stesso Fondo Monetario Internazionale, che, a furia di aiutare i Paesi in via di sviluppo, co’ ‘sta storia dell’azzeramento del debito, vuol vendere la bellezza di 400 ton di oro fino. Qui c’è un po’ troppa democrazia, persino tra di noi, e mi son fatto sentire, come si conviene ad uno del mio rango, all’ultima riunione dei Bilderberg, in Turchia*. Ma non ho trovato troppo ascolto, purtroppo; forse perché anch’io non riesco più a distinguere cosa, alla lunga, sia bene fare e cosa no. ‘Sto mondo sta diventando troppo complicato, anche per noi. L’unica è un sano governo mondiale, una moneta unica, forze armate unitarie, un corpus di leggi valide per tutti, un Tribunale Supremo, un DUX dalle decisioni inappellabili e le masse gregarie microchippate…
Bancus Rottier
Ecco la lista dei partecipanti (da: http://www.alessandrobuzzi.it/WP/?p=750):
BILDERBERG MEETING, MAY 31ST TO JUNE 3RD 2007
KLASSIS HOTEL, SILIVRI, ISTANBUL, TURKEY
Ali Babacan, Ministro dell’Economia (Turchia)
Kemal Dervip, Amministratore, UNDP (Turchia)
Mustafa V. Koc, Presidente della Koc Holding (Turchia)
Fehmi Koru, Scrittore Senior, Yeni Pafak (Turchia)
George Alogoskoufis, Ministro dell’Economia e Finanza (Grecia)
Edward Balls, Segretario del Tesoro (Regno Unito)
Francisco Pinto Basemão, Presidente di Impresa, S.G.P.S. E ex Primo
Ministro (Portogallo)
Josè M. Durão Barroso, Presidente, membro della Commissione Europea
(Portogallo)
Franco Bernabè, Vice
Presidente della Rotchild Europe (Italia)
Nicolas Beytout, Capo Redattore, Le Figaro (Francia)
Carl Bildt, ex Primo Ministro (Svezia)
Hubert Burda, Editore della Hubert Burda Media Holding (Belgio)
Philippe Camus, CEO, EADS (Francia)
Henri de Castries, Presidente Management Board e CEO, AXA, (Francia)
Juan Luis Cebrian, Gruppo PRISA media group (Spagna)
Kenneth Clark, Membro del Parlamento (Regno Unito)
Timothy C. Collins, Direttore e Senior Manager della Ripplewood Holdings,
LLC (USA)
Bertrand Collomb, Presidente, Lafarge (Francia)
George A. David, Presidente,
Coca Cola H.B.C. S.A. (USA)
Anders Eldeup, Presidente DONG A/S (Danimarca)
John Elkann, Vice Presidente
FIAT SPA (Italia)
Martin S. Feldstein, Presidente Ufficio Nazionale della Ricerca
Economica
Timothy F. Geithner,
Presidente della Federal Reserve Bank di New York (USA)
Paul A. Gigot, Redattore dell’
Editorial Page nel Wall Street Journal (USA)
Dermot Gleeson, Presidente AIB Group (Irlanda)
Donald E. Graham, Presidente
del Washington Post (USA)
Victor Halberstadt, Professore di Economia, Leiden University (Paesi
Bassi)
Jean-Pierre Hansen, Rappresentante della Suez Tractebel S.A. (Belgio)
Richard N. Haass, Presidente
del CFR (Council Foreign Relationship USA )
Richard C. Holbrooke, Vice Presidente, Perseus LLC (USA
Jaap G. Hoop de Scheffer,
Segretario Generale NATO (Paesi Bassi)
Allan B. Hubbard, Assistente del Presidente per l’Economia Estera,
Direzione Nazionale dell’Economia Estera (USA)
Josef Joffe, Redattore/Editore, Die Zeit (Germania)
James A. Johnson, Vice Presidente Perseus LLC (USA)
Vernon E. Jordan, Jr., Senior Manager e Direttore della Lazard Frères &
Co. LLC (USA)
Anatole Kaletsky, Redattore
del The Times (Regno Unito)
John Kerr di Kinlochard, Presidente della Royal Dutch Shell plc (Paesi
Bassi)
Henry A. Kissinger, Presidente
della Kissinger Associates (USA)
Bernard Koucher, Ministro degli Esteri (Francia)
David Rockfeller ( USA )
Marie-Joseè Kravis, Hudson Institute Inc. ( USA )
Tommaso Padoa-Schioppa,
Ministro della Finanza (Italia)
Heather Reisman, Direttrice Indigo Books & Music Inc. ( Canada )
Matìas Rodriguez Inciarte, Vice Presidente Esecutivo del Gruppo
Santander Bank (Spagna)
Mario Monti, Presidente
Università Commerciale Luigi Bocconi (Italia)
Giulio Tremonti, Vice
Presidente della Camera de Deputati (Italia)
Jean-Claude Trichet,
Governatore Banca Centrale Europea (Francia)
Klaus Zumwinkel, Presidente dell’Ufficio Manageriale della Deutsche
Post AG (Germania)
Robert B. Zoellick, Segretario
di Stato (USA)
Adrian D. Wooldridge, Corrispondente Estero per The Economist
e molti altri partecipanti tra cui il Presidente del gigante delle
telecomunicazioni Nokia e veterani
quali Zbigniew Brzezinski
(ex membro di spicco dell’amministrazione Carter),
Bill Clinton (ex
presidente USA) e Tony Blair
(ex Primo Ministro britannico).
[Naturalmente non tutti i Big sono presenti ogni anno: mancano ad es. Romano Prodi, Mario Draghi e tanti altri, presenti in passate riunioni. Comunque, il mondo delle banche, degli affari e della politica è rappresentato ai massimi livelli. Qualcuno pensa che le “riforme”, tanto necessarie alla salute del pianeta e alle tasche dei suoi abitanti, possano discendere dai frequentatori di questi dorati consessi?
Marco Giacinto Pellifroni 17 giugno 2007