TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

 

UOMINI E BESTIE

8: Prospezioni dell’immaginario

Le Amazzoni

Decima parte 

 

L’antico mito ellenico si trasmise ai secoli bui di altre nazioni. Ecco quanto scrive Paolo Diacono (hist. Lang. I 15):

 

Ferunt hunc [Lamissione], dum Langobardi cum rege suo iter agentes ad quendam fluvium pervenissent et ab Amazonibus essent prohibiti ultra permeare, cum earum fortissima in fluvio natatu pugnasse eamque peremisse, sibique laudis gloriam, Langobardis quoque transitum paravisse. Hoc siquidem inter utrasque acies prius constitisse, quatenus, si Amazon eadem Lamissionem superaret, Langobardi a flumine recederent; sin vero a Lamissione, ut et factum est, ipsa vinceretur, Langobardis eadem permeandi fluenta copia praeberetur. Constat sane, quia huius assertionis series minus veritate subnixa est. Omnibus etenim quibus veteres historiae notae sunt, patet, gentem Amazonum longe antea, quam haec fieri potuerint, esse deletam; nisi forte, quia loca eadem, ubi haec gesta feruntur, non satis historiographis nota fuerunt et vix ab aliquo eorum vulgata sunt, fieri potuerit, ut usque ad id tempus huiuscemodi inibi mulierum genus haberetur. Nam et ego referri a quibusdam audivi, usque hodie in intimis Germaniae finibus gentem harum existere feminarum.

 

Si racconta che i Longobardi durante una marcia col loro re giungessero ad un fiume che le Amazzoni impedirono loro di varcare, ma Lamissione gareggiò a nuoto nel fiume con la più forte di loro e la uccise, procurando a sé lode e gloria e ai Longobardi la possibilità del passaggio. Infatti questo si era patteggiato fra i due eserciti prima della prova, che se l’Amazzone avesse superato Lamissione, i Longobardi si sarebbero ritirati dal fiume, se invece, come poi accadde, fosse stata vinta da lui, i Longobardi avrebbero avuto la possibilità di passare il corso d’acqua. Risulta però che tutte queste affermazioni abbiano uno scarso fondamento di verità. Infatti quanti conoscono la storia passata sanno bene che la stirpe delle Amazzoni fu annientata molto tempo prima che potessero accadere questi fatti; a meno che, essendo i luoghi in cui si colloca il racconto poco noti agli storiografi, i quali solo in alcuni casi vi fanno cenno a stento, non si voglia supporre che la stirpe delle donne guerriere sia sopravvissuta colà sino a quel tempo. Infatti anch’io ho sentito raccontare da alcuni che ancor oggi nelle zone più riposte della Germania esiste questa popolazione di donne.

 

Adesso le Amazzoni stavano in Germania. Ma anche in Boemia. Kosmas di Praga (1045-1125) nella sua Chronica Boemorum (edita da Bertold Bretholz nel 1923, MGH SS rer. Germ. NS II), Enea Silvio Piccolomini nel De Bohemorum origine ac gestis historia, Vaclav Hajek di Libocan, che pubblicò nel 1541 la sua Kronika ceska, ed altri, diffusero il mito della principessa Libussa (Libuše), figlia di Krok, fondatrice di Praga nel X sec., alla cui morte l’amazzone al comando della sua guardia femminile, Vlasta, si ribella al marito di lei, Přemysl, che voleva succederle al trono, e prende il potere fondando un regno matriarcale in cui gli uomini sono maltrattati e sottoposti ad ogni sorta di restrizioni, ad es. non cavalcare se non all’amazzone, come appunto si dice, ossia senza inforcare la groppa del destriero. Dopo aver governato per otto anni dalla fortezza di Dívčíhrad (il “Castello delle Vergini”) muore valorosamente in battaglia contro Přemysl. Il personaggio di Libussa fu ripreso tra gli altri da Franz Grillparzer nel Trauerspiel omonimo e da Bedřích Smetana nell’opera Libuše, il personaggio di Wlasta da Tomás Václav Tucek nell’opera Fürstin Wlasta, oder Der Amazonenkrieg, rappresentata nel 1817 a Pest e da un’impressionante serie di scrittrici del movimento ginarchista. Recentemente son stati tradotti in it. la Libussa delle Volksmärchen der Deutschen di Johann K. A. Musäus (1782-1786; Studio Tesi) e la parodia di Carl Sternheim, Libussa. Des Kaisers Leibross (1922; Libussa. La cavalla dell'imperatore, Adelphi).

Nella rielaborazione anglosassone di Orosio patrocinata da Aelfred d’Inghilterra (r. 871-899) s’immagina un paese da qualche parte dell’Europa settentrionale, chiamato Maegdaland e popolato solo da donne (DAHLMANN, Forschungen auf dem Gebiete der Geschichte, 1823, I, 420), altrimenti detto Quänland, ossia “terra delle femmine”, che dovrebbe essere secondo Friedrich Rühs (Finland und seine Bewohner 1809, p. 357) la regione dei Kainulaiset sulle coste orientali del golfo di Botnia.

Ibrahim Ibn Yacub, il mercante arabo cordovano d’origine ebraica che nel 965/6 partí dalla Spagna per il Sacro Romano Impero e la nazione slava, scrisse che sempre da qualche parte nel nord Ottone il Grande gli aveva detto trovarsi una città di sole donne (Ibrahim ibn Yacub at-Turtushi: Christianity, Islam and Judaism Meet in East-Central Europe, s. 800-1300 A. D., Praga, 1996). Ed ecco la testimonianza di Adamo di Brema nelle Gesta Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum:

 

Circa haec littora Baltici maris ferunt esse Amazonas, quod nunc terra feminarum dicitur. Eas aquae gustu dicunt aliqui concipere. Sunt etiam qui referant eas fieri praegnantes ab hiis qui praetereunt negociatoribus, vel ab hiis quos inter se habent captivos, sive ab aliis monstris, quae ibi non rara habentur. Et hoc credimus etiam fide dignius. Cumque pervenerint ad partum, si quid masculini generis est, fiunt cynocephali; si quid feminini, speciosissimae mulieres nascuntur. Hae simul viventes, spernunt consortia virorum; quos etiam, si advenerint, a se repellunt viriliter.

(MGH, SS rer. Germ. VII JOAN, 19, 228).

 

Si dice che lungo la costa del Mar Baltico abitino le Amazzoni, nella regione ora detta “terra delle femmine”. Alcuni sostengono che concepiscono bevendo dell’acqua. Altri invece che restano incinte dei mercanti di passaggio, o dei prigionieri che tengono presso di loro, o di altre creature straordinarie, che si ritiene non siano rare in quelle zone. A nostro parere, ciò sembra più degno di fede. Quando partoriscono, se il neonato è maschio, si tratta di un cinocefalo, se femmina, di una donna d’aspetto bellissimo. Le Amazzoni vivono sole e sdegnano la compagnia degli uomini, respingendoli vigorosamente si gli si accostano.

 

Dunque ora erano finite in Finlandia. Naturalmente, non potevano mancare neppure in partibus infidelium. Nella Mort Aymeri de Narbonne, una chanson de geste del Ciclo di Guglielmo d’Orange, un tempo attribuita a Bertrand de Bar-sur-Aube, composta fra il 1170 e il 1180 secondo il primo editore, Couraye du Parc, si menziona un esercito di trentamila amazzoni mussulmane provenienti dal paese meridionale di Femenia, che mettono sotto assedio Narbona. Invece per gli Arabi stavano com’è ovvio in Occidente, a quanto registra Abou Yahya Zakariyya ibn Mohammad al-Qazwini (1203-1283), il geografo iraniano autore delle ‘Athar al-bilad wa akhbar al-‘ibad (Vestigia dei paesi e informazioni sugli uomini).

 

Quando si aperse agli Europei la conoscenza del Nuovo Mondo, con loro migrò in quelle terre lontane anche la leggenda. Colombo venne a sapere che stavano in Matinino (la Martinica)

 

che è la prima isola che si trova veleggiando di Spagna alle Indie, nella quale non v’è uomo alcuno. Esse non sono dedite a lavori femminili, ma usano archi e frecce di canna [...] e si armano e si fanno scudo di lamine di rame che posseggono in abbondanza.

(Lettera a Luis de Santangel del 15 febbraio 1493, nella trad. di P. L. Crovetto).

 

Prima di lui Marco Polo le aveva già collocate in un’isola vicina a Socotra, e in un’altra i maschi, con una separazione dei sessi che è anch’essa l’onirica proiezione del desiderio di risolvere i guai che vengono dalla continua convivenza, a meno che non sia il riflesso di antichi riti di genere, e piacerà comunque ancora a Mandeville:

 

L’isola che·ssi chiama Malle [l’isola “dei maschi” nel volgarizzamento toscano dal fr. del Divisament] è nell’alto mare [...] e dicovi che in questa isola non stae veruna femina, ma istanno in un’altra isola che si chiama Femele, che v’è di lungi .xxx. miglia. E li uomini vanno a questa isola ove stanno queste femine, e istanno co loro .iij. mesi dell’anno, ed in capo di .iij. mesi tornano a l’isola loro, e quivi si fanno loro uttulità .viiij. mesi.

(Il Milione 184).

 

Il luogotenente del fratello di Pizarro, Francesco de Orellana, le incontrò nel 1542 lungo le rive di un grande fiume che da loro sarà chiamato Rio delle Amazzoni:

 

In una certa parte ebbero una battaglia molto aspra e contenziosa: i capitani erano donne arciere che stavano quivi per governatrici [...] vivono senza uomini e signoreggiano molte provincie e genti, e in certo tempo dell’anno fanno venire uomini alle lor terre, co’ quali si congiungono, e poiché sono gravide gli cacciano via: e se partoriscono maschio l’ammazzano o lo mandano al padre, e se è femine l’allevano per accrescimento della lor republica [...] danno obedienza ad una regina ricchissima [...] secondo che si sa per udita e relazione d’Indiani.

(La navigazione del grandissimo fiume Maragnon, lettera di Consalvo Fernando d’Oviedo al reverendissimo cardinal Bembo il 20 gennaio 1543, nella cinquecentesca trad. it. di Ramusio).

 

Si noti quanta prestigiosa tenacia abbia ancora la tradizione classica, almeno per i chierici che raccolgono e trascrivono le memorie degli esploratori, infatti che mai avranno potuto comunicare gli Spagnoli di Orellana con tribú di cui sino ad allora nessuno sapeva neppur l’esistenza? in realtà il modello antico gli serve da bussola per orientarsi di fronte all’ignoto assoluto che si trovano dinanzi.

Del resto, a riprova della natura archetipica della favola, gli stessi Indios Tukano dell’Amazzonia nordoccidentale raccontano che, dopo l’omicidio del figlio del sole, Yurupari, si fabbricarono con le ossa di lui dei flauti che solo i maschi potevano suonare. Ma le donne se ne impadronirono coll’inganno e costrinsero in tal modo i mariti a lavorare e a soffrire le mestruazioni, mentre loro comandavano. Yurupari, tornato in vita, le puní e mise le cose al loro posto, come stanno ancor oggi (GERARDO REICHEL-DOLMATOFF, Studies of an Amazonian Foundation Myth, 1996). È tra l’altro uscito nel 1999 presso Feltrinelli il bel libro di Danilo Manera, Yurupari. I flauti dell’anaconda celeste, in cui l’A. ripercorre nel Vaupés colombiano sino alle cascate di Yuruparí il viaggio e le scoperte del conte Ermanno Stradelli (1852-1926), che “trascrisse in italiano e pubblicò nel 1890 la versione della leggenda fornitagli in nheêngatú (lingua franca tupí di cui Stradelli preparò il vocabolario) dal saggio sciamano indigeno Maximiano José Roberto”.

MISERRIMUS