TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

OLOCAUSTO PAESAGGISTICO O IMPATTO AMBIENTALE?

L’altra sera ero a Finale Ligure dove si è tenuto un incontro pubblico tra persone, più o meno note, per dibattere o fare il punto, sull’espansione edilizia in generale, ma in modo particolare nella nostra Provincia con le problematiche che grosso modo sono conosciute.

Premetto che non ero a Finale solo per assistere al dibattito, Finale Ligure è la mia città, un pezzo d’Italia che come altre parti del nostro paese sta per affrontare, volente o nolente, una trasformazione che inciderà notevolmente sul territorio.

La questione finalese in verità non è semplice da risolvere come potrebbe sembrare perchè non si tratta solo dello stabilimento Piaggio da delocalizzare utilizzando i profitti provenienti dalle aree dismesse, ma altri iter sono già in stato di programmazione avanzata e vanno generando un quadro complessivo intricato, dove dovranno essere risolti tutti i problemi connessi come la viabilità, i servizi, la sostenibilità ambientale e altro, probabilmente il rivederli totalmente azzerando tutto quanto come da alcune parti si propone è una strada non percorribile almeno allo stato attuale.

Rimbalzarsi le responsabilità tra le parti che si sono succedute alla guida di Finale Ligure negli ultimi 10 – 15 anni non credo che porti nulla di buono, anzi lascerebbe aperti spazi conflittuali che se si radicassero a fondo nelle coscienze porterebbero solo a scontri inutili e deleteri per il governo della città, che vorrei ricordare non si occupa solo di edilizia ma anche anche della problematica sociale, del turismo, dei servizi ai cittadini, ecc.

La propensione personale, che avversa il catastrofismo generalizzato, aiuta a credere che comunque andrà a finire il tutto non sarà devastante come viene prospettato, non si tratta in fondo di olocausto paesaggistico, ma è innegabile che non potrà passare inosservato l’enorme impatto che inevitabilmente nascerà.

Quindi la gestione oculata sposata con le necessità industriali praticamente obbligate dovrebbe divenire predominante.

Ciò che preme sottolineare è l’opinione generale che si respira in quasi tutti i dibattiti di questo tipo, purtroppo non frequenti,  che tende però a trasmettere il carattere meramente speculativo che sarebbe alla base di quasi tutte le trasformazione edilizie.

Francamente è un messaggio che penso possa essere riconsiderato, perchè se effettivamente così fosse significherebbe essere circondati solo da avventurieri del mattone che scavalcando impunemente tutte le Amministrazioni Pubbliche divengono padroni assoluti dei territori instaurando una sorta di cementocrazia, e chi scrive non ha elementi per accondiscendere a quest’ultima opinione.

Si cercherà quindi di astenersi su questo passaggio provando a dare un’opinione personale assolutamente irrelativistica.

L’assunto di partenza è che una città grande o piccola che possa essere, debba poter avere la possibilità di crescere, allargarsi, non precludendogli a priori le possibilità perseguibili di espansione, con il ripopolamento di nuovi quartieri dotati di servizi adeguati, dove l’ambiente circostante non venga malmenato e dove la vita delle persone possa essere sostenibile, aiutando anche la coesione sociale tra gli individui. 

Precludere questo a una comunità non è giustificabile con la dicitura”….non c’è posto…” come si è sentito all’inizio del dibattito finalese, perché i posti invece ci sono, si possono trovare se la gestione delle trasformazioni è oculata.

Cavalcare il fondamentalismo ecologico-ambientale, instaurare una dottrina del diniego assoluto invocando la saturazione territoriale potrà portare qualche consenso subitaneo alla causa perseguita, ma non risolverà strutturalmente il problema, tanto è vero che anche la maggior formazione politica Italiana e Europea che più di chiunque altra ha fatto della protezione ambientale la propria ideologia, ha da tempo abbandonato queste elaborazioni, diventando a pieno titolo forza di governo cercando di instaurare nel profondo il concetto della sostenibilità, che non significa avversione ad ogni progetto.

Il punto principale quindi non può essere la saturazione come è stato indicato ma un altro, e cioè che l’espansione edilizia deve essere ragionevole e sostenibile, non si ottengono grandi risultati con il radicalismo alternativo in generale e neppure se la contrapposizione tra i favorevoli e i contrari assume toni esasperati, cercando proseliti da entrambe le parti da far salire su una giostra manicheistica che resterà improduttiva per la soluzione concreta dei problemi.

Per contro però non si può non condividere l’opera di sensibilizzazione nei confronti dei cittadini, molto spesso, volutamente o inconsciamente, soggetti ad una informazione parziale o di parte, ma troppo spesso sono gli stessi cittadini che sono disinteressati al problema, come è stato anche giustamente ricordato nel dibattito.

E proprio questo è il dramma e l’oggetto che prima o poi bisognerà affrontare, ed è sempre lo stesso da molti anni a questa parte : il disinteresse delle persone che contraddittoriamente pur vivendo i problemi della propria città fondamentalmente si disinteressano dei problemi Amministrativi che hanno nella gestione del territorio la loro funzione principale.

Non è questo un concetto accusatorio riservato ma generalizzato, si tende quasi sempre ad evidenziare e denunciare il disagio  che si ritiene importante o lesivo dei propri interessi immediati che si ritengono importanti, e spesso innegabilmente lo sono, ma manca la consapevolezza del problema più grande, complessivo, che si sente invece lontano e dilazionato nel tempo, quindi di non immediato interesse.

Questo superficialità proviene sia da scarsa conoscenza che da carenza d’informazione specifica, oppure al contrario da una inflazione mediatica confusa, che sfociando nella mancanza di una visione complessiva generale, non riesce a far maturare la consapevolezza di ognuno e  si arriva alla rinuncia espressiva della propria opinione.

Ci si astiene quindi da esprimere un giudizio, elettorale, etico, amministrativo.

Il nodo da sciogliere è questo, e cioè come far crescere la consapevolezza delle responsabilità, come portare i cittadini a scegliere del loro destino, senza che debbano demandare ad altri in senso assoluto ciò che sarà il futuro del loro paese, del loro territorio, delle loro città.

Questo non significa affatto negare l’autorevolezza degli Amministratori Pubblici democraticamente eletti spodestandoli dagli incarichi ricevuti, ne tanto meno svalutarne le capacità, o sminuire il valore della delega ricevuta ad esercitare una gestione pubblica, al contrario la spinta dovrebbe essere volta verso un affinamento e un rafforzamento di quello che dovrebbe essere un legame indelebile tra politica e società, un cordone ombelicale in grado costantemente di fare proposte giungendo a decisioni condivise.

Chi scrive queste righe, che spero vengano apprezzate per l’impegno, è convinto che i buoni amministratori non manchino e rifiuta il concetto della lobby dilagante e di collusioni epidemiche collettive, anche se certamente è innegabile che talune operazioni realizzate o in corso di realizzazione non possano che suscitare dubbi e perplessità, ma non si condivide la visione apocalittica spesso oggetto principe delle tavole rotonde a tema edificatorio.

Tenere alta la guardia è certo doveroso ma bisognerebbe ogni tanto provare a lanciare qualche messaggio di speranza che vada non allo scontro ma alla ricerca di un dialogo.

Il punto è quindi la scelta collettiva e condivisa sulle scelte amministrative delle grandi trasformazioni del territorio e non solo, confronti che dovrebbero andare anche oltre il passaggio elettorale di rappresentanza, mantenendo una via preferenziale decisionale, coinvolgente, attualmente non percepibile.

Qui sta la catena che si è spezzata tra la politica e la società, una rottura che va risaldata, una possibilità che necessita di un  tentativo, non semplice ma che si pensa perseguibile.

E’ questo il punto di sintesi di un progetto democratico e ambizioso del quale comunque non si vuole qui anticipare nulla.

Per rinsaldare il legame un tentativo va fatto e potrebbe diventare concreto, male che vada nulla cambierà e si potrà continuare a “mugugnare” come al solito, continuando ad accumulare risentimento dovuto alla palese presa d’atto dell’impotenza.

Nei mesi scorsi, invitato ad un Congresso di partito, c’è stata la possibilità di esprimere in un breve intervento il punto di vista personale su ciò che sta modificando nel profondo il panorama politico italiano, e vorrei terminare queste righe ribadendo qui la chiusura di quell’intervento:

“….in politica non è sufficiente essere convinti di avere ragione, bisogna avere ragione a tempo debito, e soprattutto poter contare sui numeri che realizzino questa ragione….”

Questo è il messaggio di speranza dove nulla è precluso e tutto può cambiare, basta volerlo. 

 

Maglio Domenico