Quando dico che fare scuola davvero (e si può; eccome ! Perchè non anche oggi?) è essere ricordati, vorrei sentire chi mi dà torto
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Mademoiselle Occella (rigorosamente “Oxelà”) entrava in classe preceduta dal fil di fumo che usciva da un lunghissimo bocchino alla Marlène Dietrich e seguita da “mon sécretaire”, il nostro compagno Viceconte, con libri e strumenti del caso: molto spesso un “grammophone” che veniva sistemato sulla cattedra, con supporto d’un disco tossicoloso. |
Innamorata del mestiere e della lingua francese, ne era l’indiscussa sacerdotessa. E come ce l’ha fatto imparare, a tutti o quasi, senza isterie, senza minacce di voti punitivi, affascinandoci perché le piaceva insegnare e non ci ha mai lasciati senza far nulla o carichi di compiti assurdi per il giorno dopo. Usciti noi dalle mani di Maria Lea “terrorista” alle medie, fummo accolti da uno squillante:”Dis-le en francais!” e l’italiano era riservato soltanto all’ingresso dei bidelli. Doveva essere stata davvero antifascista per gettarsi a corpo morto nella letteratura francese, con spirito addirittura sciovinista e per definire di continuo i tedeschi come “les Boches” (i suini). Mi raccontarono che, in tempo di guerra, col suo “grammophone” faceva ascoltare, a finestre aperte, a pianterreno sulla via Giuria, la Marsigliese e che puntualmente qualche zelatore fascista si presentava al Ginnasio e le faceva avere delle noie. A forza di grammophone, che noi accoglievamo volentieri perché significava non spiegazione da cattedra e un poco di baccano, ci insegnò non solo la Marsigliese, ma anche la Brabanconne belga: probabilmente la sorte del Belgio invaso e come cancellato da Hitler stava più a cuore a lei che alla nuora del re d’Italia, futura regina (sia pur sol per un mese!) belga di nascita e di cultura che accettava di intrattenere Hitler ospite a Roma. E come si impegnava a spiegarci le parole difficili perché retoriche degli inni! Ricordo che ci fece trascrivere una poesia che diceva:”Je jure de garder dans mon coeur cette haine – jusqu’a son dernier battiment – que son venin sacré se mele dans ma veine – a chaque goutte de mon sang » e così via e mi meravigliai moltissimo del suo insistere su questo «odio» che a me sembrava cosa cocciuta e tetra, ma che ho capito meglio dopo, all’aprirsi della mente alle informazioni ed alle riflessioni. E non è che mancassero anche le frivolezze: si leggeva anche Labiche, per ridere.Si recitava, persino, e “Dominique”, con le brache che oggi diremmo alla Pinocchio, era un improbabile Horace di Corneille che declamava, pestando col piede in terra. “Ma soeur, voici le bras qui venge nos deux freres – le bras qui romp le cours de nos destins contraires… «Quando si rispondeva bene dal posto, il premio era: “Viens ici: je te donne un bombon!». Da un borsellino credo di stoffa tirava fuori un bonbon grosso come una castagna che noi infilavamo veloci in bocca. E se subito dopo si finiva interrogati,la scusa era pronta: ”Mademoiselle; je ne peux pas parler. Voyez donc: votre bonbon…” “Polisson mal élevé!» era la risposta scherzosa e si passava ad interrogare un altro. Spesso scherzava con noi che l’ascoltavamo e le volevamo bene e provava,sempre in francese, a farci ridere con motti di spirito che sapevano di stantio e di vecchie riviste didattiche: “Quando Napoleone fu festeggiato per una vittoria, venti ragazze gli andarono incontro esibendo un grosso cuore dipinto: “Vainqueur” se legge proprio come vincitore. Ma il grande Corso chiese:”Come avreste fatto se avessi perduto?” e la majorette del caso ordinò “Tournez vous”: le ragazze obbedirono e s’inchinarono mostrando venti cu.., che in francese si leggono come “vaincu”, vinto. Lei rideva, come imbarazzata dall’ardire; noi anche per rispetto; e poi, i giochini di parole ci piacevano. Ma forse non era il caso di ripeterli a certi genitori d’allora! Cara mademoiselle! Per merito suo leggo con estrema facilità ancora adesso, e sono passati più di cinquant’anni, giornali e libri in francese: eppure non sono stato in Francia se non per brevi viaggi turistici. L’ultimo giorno di scuola per noi scrisse sulla lavagna questi versi di Paul Morand : “Gloire à la France,au ciel joieux si doux au cœur,si bel aux jeux sol béni de la Providence Gloire à la France !» Quando dico che fare scuola davvero (e si può ; eccome! Perchè non anche oggi?) è essere ricordati, vorrei sentire chi mi dà torto. Lo stesso quando dico che aver avuto scuola ha combinato in tutti noi percorsi che il prosieguo degli anni, ora che sono di più coloro che ricordiamo di quelli che conosciamo,ci fa ritrovare per compagnia, piacevoli ed appena appena commoventi, come un primo percepire d’autunno. Sergio Giuliani |