Si arrivò ad una crociata vera e propria per non pubblicarle neppure e credo che, per Moro, sentirsi mettere la sordina o dare dello sconsiderato un poco vile e remissivo sia stata un’offesa grave quasi come il sequestro.
E il prossimo anno sarà il trentesimo…
                                                 di
Sergio Giuliani     versione stampabile

...anniversario dell’esecuzione di Aldo Moro, all’epoca Presidente della Democrazia Cristiana, ininterrottamente, fino ad allora, partito di maggioranza relativa sulla scena politica italiana e sempre al governo, sia pur con variate alleanza, dalla nascita della Repubblica. Ero in classe a far lezione quando,sulla porta per l’intervallo, un collega mi disse che era stato rapito Moro ed uccisi gli uomini della sua scorta.

 Non fui più lo stesso, perché era il giorno in cui Andreotti presentava alle camere un governo con una “astensione” dei comunisti, secondo partito per numero di suffragi. Da subito non credetti ad un’operazione tutta Brigate Rosse, ma ebbi davvero paura, e tanta, per la democrazia di questo paese, perché qualcuno, troppo ben organizzato e sagace per essere soltanto BR, si opponeva in modo tanto brutale a quello che era, in fondo, un normale passo d’intesa politica, sempre e comunque revocabile perché assai leggero. Più che alle BR pensai ad interventi, soltanto nell’intenzione; certo, senza carri armati, di tipo russo in Ungheria ed in Cecoslovacchia: ma di chi?

Era un 16 marzo soleggiato e ventoso, tanto che scuotevano forte e fischiavano le persiane a scuola ed a casa, dove trovai mia madre, comunista da sempre, in lacrime e credo che mi abbia così aiutato a capire quanto grande e grave fosse la ferita fatta alla democrazia italiana, giovane, allora, di ventitre anni, e neppure.

Si manifestò alle sedici in Piazza Sisto e le prime bandiere ad arrivare furono quelle del Pci: le democristiane arrivarono dopo, ad orlo di piazza. Ricordo l’impressione profonda che mi fece questo particolare, forse del tutto casuale.

Cominciarono i giorni delle notizie attese con spasimo. Passò la Milano-Sanremo e parve meno festosa del solito: quella sera, la foto di un Moro attristato e riflessivo sotto uno stendardo BR. Foto polaroid, e qualche bello spirito propose di cercare nelle pattumiere romane (ma solo romane?) l’involucro che vi sarebbe stato gettato!

 Dichiarazioni di politici impauriti più dalle conseguenze dell’evento che dall’evento stesso, lettere di Moro dal “carcere”, un Papa come Paolo VI sconfitto, prono sul pavimento di San Pietro come schiacciato da un male immenso (e lo era!), folli persecuzioni di indizi (via tutti al paese di Gradoli, a sfondar ghiaccio d’un lago, ma nessuno ad una via Gradoli, ben chiara sulla mappa di Roma!), teorie e teorismi, BR sopravvalutate per “geometria di fuoco”, ovvero uccidere tutte le guardie del corpo senza nemmeno ferire l’ostaggio e via così, nel nulla chiacchierato per cinquantaquattro giorni.

Tutti “duri”, forse il Pci più ancora della Dc, si disse perché più netto avesse il senso dello stato. Tutti Maramaldi, tutti sulla linea del Piave, eccetto Craxi, più possibilista nel rispondere ai deliranti comunicati BR e disponibile almeno ad un certo tipo di trattativa.

Pareva che tutti trattassero: Br pentiti dalla galera, amici impresentabili, ma allora cercati, di politici di sinistra, uno strano comitato governativo in cui c’era di tutto, dalla P2 alla banda della Magliana e, peggio, gli intellettuali della politica a discutere, a rimbeccare il Papa perché si era rivolto ai sequestratori chiamandoli “uomini  delle BR” e a strologare sulle lettere di Moro, sulla “sindrome di Stoccolma”, giungendo a definirle irricevibili perché scritte da un uomo distrutto ed arreso, sotto dettatura con pistola alla tempia (copertina de “L’espresso”!), mentre, ad avere il coraggio di leggerle davvero, erano un documento sconvolgente di come un uomo d’apparato come Moro lottasse lucidamente, con le risorse che aveva, d’esperienza e di cultura, contro l’annientamento della sua persona. Si arrivò ad una crociata vera e propria per non pubblicarle neppure e credo che, per Moro, sentirsi mettere la sordina o dare dello sconsiderato un poco vile e remissivo sia stata un’offesa grave quasi come il sequestro.

 Queste chiacchiere (ma ben altre ne cominceranno) finirono il 9 maggio. Ero anche allora a scuola per rientro pomeridiano ed il bidello Michele bussa e comunica che è stato ritrovato il cadavere di Moro. Calò sul grande e formicante Itis un silenzio di gelo. A me venne un mal di stomaco come mai. La Preside autorizzò subito un’assemblea nell’enorme aula magna incaricandomi di moderarla. Parlai a ragazzi ed a colleghi sconvolti con le mani a stringere lo stomaco che mi era impazzito. Fu il parlare più drammatico e faticoso che abbia affrontato, perché ero disperato. Sentivo,oltre al dolore per la morte dell’uomo politico che era stato un fattivo partecipe della Costituente, che la democrazia era stata colpita a morte e che i parametri dell’agire politico erano sconvolti come binari bombardati.

 Avevo rabbia perché sentivo, alla Kafka, un gran potere, concreto ed invisibile (non certo quello di quattro assassini materiali,sicari di chissà chi,magari illusi, loro, di “rivoluzione”) padrone del campo sociale e sentivo che, con la canea successiva al dramma, nulla di verità si sarebbe saputo e tanto meno perseguito e che l’unico ad esser condannato per un fatto così mostruoso e così perfettamente incastonato nella “normalità” (l’auto con il cadavere parcheggiata secondo regola invia Caetani, una strada nell’ombelico di Roma!) sarebbe stata…la mitraglietta!

 Ci fu gran silenzio, quel giorno, nell’aula magna dell’ dell’Itis; lo stesso di tutta l’Italia. La salma fu voluta dalla famiglia e senza cerimonia inumata a Torrita Tiberina. Ricordo soltanto, per il “dopo” di canea, che una “provvidenziale” infiltrazione d’acqua fece risalire ad un appartamento in via Gradoli dov’erano –guarda caso! – documenti del sequestro e che, molti molti anni dopo, durante lavori di restauro, rimosso un cartongesso, spuntarono…..diari di Moro!

Allora c’era un Pci che “dava la linea” e tutti gli amici comunisti mi diedero sulla voce e mi canzonarono perché loro dicevano che lo stato è forte se non cede; io obiettavo che è forte soltanto se salva la vita di un suo importante uomo politico e, subito dopo, arresta e giudica i colpevoli del reato! Anche quando ai “brigatisti” pareva che stesse più a cuore liberare Moro, quasi senza contropartita (chiedevano soltanto in libertà una Paola Besuschio accusata di reati non sanguinari!) che ai suoi compagni di cammino politico ed ai suoi oppositori.

 Ci fu accordo, nel piangere a dirotto. Come Moro (ma non era impazzito?) aveva predetto, i partiti storici si sfasciarono e con loro la voglia di verità. Illazioni, inchieste, films sull”L’affaire Moro”, tanti, ma non la verità. Eppure, lo sappia chi deve, senza verità non si fonda democrazia sicura.

 Sergio Giuliani