Ma le intercettazioni di regola non sono gossip IL SECOLOXIX
 
FERRUCCIO SANSA
Alla fine, in Italia, l'impressione è che gli scandali abbiano sempre lo stesso oggetto: tutto e, quindi, niente. È la migliore tecnica di difesa: alzare un polverone in cui siamo tutti un po' colpevoli. E quindi nessuno può essere condannato.
Succede anche oggi con "Vallettopoli". Chi sarebbe ormai in grado di individuare il nocciolo della questione? Le estorsioni e la corruzione di una parte del mondo dello spettacolo, le intercettazioni o ancora - perché a metterli in mezzo non si sbaglia mai - i magistrati troppo invadenti? La risposta esatta, se si potesse mettere una croce come nei quiz, dovrebbe essere: Vallettopoli punta una lente di ingrandimento sulla degenerazione di quel sottobosco dove potere, denaro, sesso e magari droga finiscono per incrociarsi.
Intendiamoci, non c'è niente di sorprendente: ogni epoca ha i suoi parassiti che si adattano all'organismo cui devono succhiare il sangue. Figure come alcune di quelle coinvolte nell'inchiesta di Potenza proliferano insieme con una nuova razza padrona - stile "furbetti del quartierino, tanto per intenderci - che due anni fa è arrivata a un soffio dalla sala di controllo della finanza italiana.
Insomma, l'emergere di personaggi come Fabrizio Corona e i suoi soci dovrebbe indurre a pensare. Invece, qual è diventato l'oggetto del dibattito? Le intercettazioni e la loro divulgazione sui giornali. Ecco, su questo sono d'accordo tutti: le aveva criticate il cardinale Camillo Ruini un anno fa, quando la voce interessata era quella del cattolico Antonio Fazio. Le ha sempre stigmatizzate il centrodestra, i cui rappresentanti - da Berlusconi al senatore Luigi Grillo - sono stati indirettamente intercettati dai magistrati. E qui bisognerebbe aprire una parentesi: se un politico viene intercettato, è colpa del magistrato che ha messo sotto controllo il telefono dell'imputato con cui il parlamentare dialoga o, piuttosto, del deputato che ha frequentazioni discutibili?
Comunque sia, sulle intercettazioni Berlusconi ha trovato un alleato sicuro nel centrosinistra. E non c'è da stupirsi, visto che Fassino e D'Alema (il quale non si è mai degnato di chiarire il contenuto dei suoi colloqui) per primi erano stati intercettati con il numero uno di Unipol, Giovanni Consorte, all'epoca della scalata a Bnl finita nel mirino della magistratura.
Qualcuno, però, si chiede davvero che cosa ne sarebbe stato del nostro Paese se i magistrati non avessero utilizzato questo strumento di indagine e se i giornali non avessero pubblicato i colloqui? Lasciamo perdere le discussioni accademiche. Facciamo esempi concreti. Prendiamo le inchieste Antonveneta e Bnl e la sorte dei "furbetti del quartierino". Nell'agosto 2005, da cronista giudiziario, ho partecipato alla caccia forsennata alle intercettazioni di Fiorani, Consorte, Fazio e soci. Poi all'improvviso il materiale arrivò nelle mani dei giornalisti (inutile dire che a consegnarcelo non furono i magistrati, come qualcuno oggi vuole far credere): migliaia di pagine che riempirono per settimane i quotidiani. Che cosa sarebbe successo se quelle carte non fossero state pubblicate èâ??presto detto. Forse Fiorani avrebbe conquistato uno dei maggiori gruppi bancari italiani, mentre Bnl sarebbe finita a Unipol. Probabilmente Fazio sarebbe rimasto in sella alla Banca d'Italia. E quasi sicuramente il Corriere della Sera sarebbe finito nelle mani di Stefano Ricucci. In quella circostanza, ricorda anche Paolo Biondani, storico cronista di giudiziaria del "Corriere", «l'opinione pubblica fu informata su questioni di interesse nazionale. Furono ignorate le tonnellate di pettegolezzi sulla vita sentimentale dei "furbetti" che erano contenute nelle intercettazioni». Insomma, non era gossip, era cronaca.
E tuttavia si vogliono limitare drasticamente le intercettazioni. Garantendo quindi alla classe politica un'immunità anche dai giudizi morali (oltre che da quelli penali). Un progetto di legge vieta di pubblicare, anche «soltanto parzialmente, per riassunto o contenuto» ogni atto processuale o comunicazione telefonica, informatica o telematica «fino alla conclusione delle indagini preliminari». Con una simile legge i "furbetti del quartierino" e i loro amici politici avrebbero conquistato l'Italia. Punto.
Ma non basta. Ci si mette anche il garante della Privacy che vieta, con effetto immediato, la pubblicazione di notizie che «si riferiscano a fatti e condotte private che non hanno interesse pubblico», che «contengano dettagli e circostanze eccedenti rispetto all'essenzialità dell'informazione». Pena: da due mesi a tre anni di reclusione. Facciamo allora un'ipotesi, come fa il noto avvocato Carlo Federico Grosso sulla Stampa: se un politico che si occupa di lotta alla droga, risultasse consumatore di cocaina, questo rientrerebbe nelle condotte private indicate dal Garante? Ecco perché una materia tanto delicata non può essere liquidata sommariamente.
Certo, c'è chi va addirittura oltre. Chi propone di limitare l'uso delle intercettazioni da parte dei magistrati. La criminalità organizzata, gli spacciatori di droga sono pronti a ringraziare. Oltre, ovviamente, ai finanzieri d'assalto, quelli che vengono intercettati al telefono con l'amico onorevole.