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FERRUCCIO SANSA
Alla fine, in Italia, l'impressione è che gli scandali
abbiano sempre lo stesso oggetto: tutto e, quindi, niente. È
la migliore tecnica di difesa: alzare un polverone in cui
siamo tutti un po' colpevoli. E quindi nessuno può essere
condannato.
Succede anche oggi con "Vallettopoli". Chi sarebbe ormai in
grado di individuare il nocciolo della questione? Le
estorsioni e la corruzione di una parte del mondo dello
spettacolo, le intercettazioni o ancora - perché a metterli
in mezzo non si sbaglia mai - i magistrati troppo invadenti?
La risposta esatta, se si potesse mettere una croce come nei
quiz, dovrebbe essere: Vallettopoli punta una lente di
ingrandimento sulla degenerazione di quel sottobosco dove
potere, denaro, sesso e magari droga finiscono per
incrociarsi.
Intendiamoci, non c'è niente di sorprendente: ogni epoca ha
i suoi parassiti che si adattano all'organismo cui devono
succhiare il sangue. Figure come alcune di quelle coinvolte
nell'inchiesta di Potenza proliferano insieme con una nuova
razza padrona - stile "furbetti del quartierino, tanto per
intenderci - che due anni fa è arrivata a un soffio dalla
sala di controllo della finanza italiana.
Insomma, l'emergere di personaggi come Fabrizio Corona e i
suoi soci dovrebbe indurre a pensare. Invece, qual è
diventato l'oggetto del dibattito? Le intercettazioni e la
loro divulgazione sui giornali. Ecco, su questo sono
d'accordo tutti: le aveva criticate il cardinale Camillo
Ruini un anno fa, quando la voce interessata era quella del
cattolico Antonio Fazio. Le ha sempre stigmatizzate il
centrodestra, i cui rappresentanti - da Berlusconi al
senatore Luigi Grillo - sono stati indirettamente
intercettati dai magistrati. E qui bisognerebbe aprire una
parentesi: se un politico viene intercettato, è colpa del
magistrato che ha messo sotto controllo il telefono
dell'imputato con cui il parlamentare dialoga o, piuttosto,
del deputato che ha frequentazioni discutibili?
Comunque sia, sulle intercettazioni Berlusconi ha trovato un
alleato sicuro nel centrosinistra. E non c'è da stupirsi,
visto che Fassino e D'Alema (il quale non si è mai degnato
di chiarire il contenuto dei suoi colloqui) per primi erano
stati intercettati con il numero uno di Unipol, Giovanni
Consorte, all'epoca della scalata a Bnl finita nel mirino
della magistratura.
Qualcuno, però, si chiede davvero che cosa ne sarebbe stato
del nostro Paese se i magistrati non avessero utilizzato
questo strumento di indagine e se i giornali non avessero
pubblicato i colloqui? Lasciamo perdere le discussioni
accademiche. Facciamo esempi concreti. Prendiamo le
inchieste Antonveneta e Bnl e la sorte dei "furbetti del
quartierino". Nell'agosto 2005, da cronista giudiziario, ho
partecipato alla caccia forsennata alle intercettazioni di
Fiorani, Consorte, Fazio e soci. Poi all'improvviso il
materiale arrivò nelle mani dei giornalisti (inutile dire
che a consegnarcelo non furono i magistrati, come qualcuno
oggi vuole far credere): migliaia di pagine che riempirono
per settimane i quotidiani. Che cosa sarebbe successo se
quelle carte non fossero state pubblicate èâ??presto detto.
Forse Fiorani avrebbe conquistato uno dei maggiori gruppi
bancari italiani, mentre Bnl sarebbe finita a Unipol.
Probabilmente Fazio sarebbe rimasto in sella alla Banca
d'Italia. E quasi sicuramente il Corriere della Sera sarebbe
finito nelle mani di Stefano Ricucci. In quella circostanza,
ricorda anche Paolo Biondani, storico cronista di
giudiziaria del "Corriere", «l'opinione pubblica fu
informata su questioni di interesse nazionale. Furono
ignorate le tonnellate di pettegolezzi sulla vita
sentimentale dei "furbetti" che erano contenute nelle
intercettazioni». Insomma, non era gossip, era cronaca.
E tuttavia si vogliono limitare drasticamente le
intercettazioni. Garantendo quindi alla classe politica
un'immunità anche dai giudizi morali (oltre che da quelli
penali). Un progetto di legge vieta di pubblicare, anche
«soltanto parzialmente, per riassunto o contenuto» ogni atto
processuale o comunicazione telefonica, informatica o
telematica «fino alla conclusione delle indagini
preliminari». Con una simile legge i "furbetti del
quartierino" e i loro amici politici avrebbero conquistato
l'Italia. Punto.
Ma non basta. Ci si mette anche il garante della Privacy che
vieta, con effetto immediato, la pubblicazione di notizie
che «si riferiscano a fatti e condotte private che non hanno
interesse pubblico», che «contengano dettagli e circostanze
eccedenti rispetto all'essenzialità dell'informazione».
Pena: da due mesi a tre anni di reclusione. Facciamo allora
un'ipotesi, come fa il noto avvocato Carlo Federico Grosso
sulla Stampa: se un politico che si occupa di lotta alla
droga, risultasse consumatore di cocaina, questo
rientrerebbe nelle condotte private indicate dal Garante?
Ecco perché una materia tanto delicata non può essere
liquidata sommariamente.
Certo, c'è chi va addirittura oltre. Chi propone di limitare
l'uso delle intercettazioni da parte dei magistrati. La
criminalità organizzata, gli spacciatori di droga sono
pronti a ringraziare. Oltre, ovviamente, ai finanzieri
d'assalto, quelli che vengono intercettati al telefono con
l'amico onorevole.
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