FOGLI MOBILI

La rubrica di Gloria Bardi  

Antropologia "dei miei stivali"

Ero molto incerta sull’argomento della mia settimanale truciolazione, combattuta tra due ipotesi “filosofeggianti”: il ruolo dell’invidia nelle relazioni umane in prospettiva storica e sociale; la scelta morale come  individuazione di gerarchie valoriali. Insomma, avevo deciso di buttarla sullo spesso ma si trattava di un’intenzione a livello di testa poco condivisa a livello emozionale (su due piedi non saprei come sostituire la testa, la parola “cuore” è circondata da un’aura dolciastra e la parola “pancia” non mi piace) . Non che io consideri i due esprit necessariamente configgenti ma a volte capita che divorzino.  Oggi divorziavano.

Ero tanto più incerta, data la privazione di p.c. (nel caso del mio, “povero cristo” più che “personal computer”) in cui mi ritrovo, causa ricovero coatto del coso.

A proposito, ho avuto (e ho) occasione di vivere l’assenza di internet e della posta elettronica come una sorta di neoclaustrofobia, giusto per ribadire come sia mutato il nostro rapporto con lo spazio tempo da quando un paio di semplici “occhiali olandesi” sembravano oggetti del demonio perché infrangevano i limiti naturali posti da Dio: nel caso, lo spazio.

Oggi, se ci va bene, siamo tutt’un diavolo.

Ma tranquilli, non è nemmeno di questo che vi parlerò, così come non vi parlerò d’invidia complicata né di valori gerarchizzati ma di scarpe.

Sì, cari lettori: tra  testa e cuore o pancia, scelgo i piedi.

Ma ve lo dico in cronaca: arrivata a casa ancora in bilico, qualcosa mi ha folgorato sulla via di Signorile (il nostro mastro-truciolaio) e qualcosa di filosofico, intendiamoci: il nuovo numero, fragrante di posta, di una bella rivista a cui sono abbonata: “Diogene, filosofare oggi”, dedicato alla filosofia dello shopping.

La copertina mi si è presentata piena zeppa di piedi femminili splendidamente calzati in scarpe con tacco vertigine, a spillo o a rocchetto, aperte, semiaperte, chiuse, plateau, con o senza cinghino alla caviglia, bianche o nere.

Beh, le scarpe nel fetish la fanno da padrone e il fetish, secondo la definizione dello psicologo Alfred Binet,   consiste nell’attribuire abusivamente a un oggetto fisico poteri “spirituali”. Come precisa Ugo Volli,  nel caso delle scarpe e della lingerie, non per sostituzione dell’oggetto d’amore ma per contiguità.

Oggi siamo in presenza di un massiccio ritorno a scarpe come quelle illustrate in copertina di Diogene rispetto all’essenzialità ostentata negli ultimi decenni del Novecento, essa pure del resto simbolica, che deve far pensare a una rivalutazione del magismo assegnato agli oggetti, oltre alla collegata ritualizzazione del corpo.

La camminata con scarpe come quelle è un atto poco spontaneo ma fortemente rituale.

Ma questi aspetti avrebbero bisogno anch’essi di maggiore attenzione alle evoluzioni dell’erotismo su piano storico sociale e io mi trovo a dover approfittare del picì di un’amica che tra venti minuti partirà per un concerto e in questo momento sta finendo di fare la doccia. Quando la vedrò comparire  vestita di tutto punto e pronta per uscire vorrà dire che il mio tempo di truciolazione è scaduto.

Mi impegno fin d’ora a descrivervi le scarpe con cui la mia personale clessidra si presenterà.

Sorvolo quindi sull’erotico e approdo sull’infanzia, per rilevare come già da piccolo l’uomo manifesti una singolarissima proiezione sulle scarpe, che tende a trasformare in oggetti di culto.

I bambini ne sono orgogliosissimi prima ancora di camminare.

Un po’ più grandi, quando ne acquistano un paio nuovo lo mettono accanto a sé sul comodino con tanto di scatola, per trascorrere vicini la prima notte di convivenza.

Confesso che sarei tentata di farlo anch’io.

Come mai? Me lo sono sempre chiesta e mi sono risposta che le scarpe sono coinvolte con l’atto di appoggiare i piedi a terra e poi di camminare e camminare eretto, che costituisce il tratto distintivo della specie. Esse assicurano e nello stesso tempo mediano la presa di contatto col suolo, ribadendo che l’uomo è animale naturale e culturale ad un tempo. Animale creatore di mediazioni che subito tendono a estetizzarsi e simbolizzarsi.

Le scarpe infatti non sono solo uno stratagemma da furbacchioni per evitare di consumare o ispessire le piante del piede ma sono molto di più, sono la trasfigurazione del piede, un tempo addirittura innominabile se non quel comicissimo “estremità”. Ne rappresenta la  nobilizzazione. Rappresenta la rivincita del superfluo sul necessario.

Nel leggere un mio scritto un’editrice mi fece rilevare un’unica incongruenza, dove avevo scritto che una donna (la protagonista della storia), dinanzi alla prospettiva di acquistare un paio di scarpe che il marito le voleva regalare, aveva rinunciato pensando: “ne ho già”.

L’editrice mi disse: “è irrealistico. Quale donna penserebbe mai una cosa simile davanti a un paio di scarpe?”

Beh, lo confesso: io no ed evidentemente nemmeno l’editrice.

Quanto ai maschi, ne conobbi uno, politicamente impegnatissimo nell’allora PCI, che di fonte a un paio di scarpe viste in vetrina e che gli piacevano non sapeva dire di no; a costo di mandare all’aria il materialismo storico entrava e le comprava, anche se del numero sbagliato. Altro che feticismo delle merci!

Insomma che alle varie definizioni dell’uomo, dopo “ridens”, “ludens”, “faber”, “sapiens”, narrativus, “normativo” (praescribens), occorre aggiungere “calzato” (calceatus).

Il tempo è scaduto, la mia amica è qui, vestita di tutto punto ma ancora in pantofole. Mi dice: “mentre invii e poi spegni io vado a mettermi le scarpe”.

Mi spiace ma a dispetto delle mie promesse, caro lettore di trucioli, come sono le scarpe della mia amica non lo saprai mai.

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