TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

Intervista  a Francesca Ferrando

 di Roberto Grossi

 

Lo scorso sabato 24 febbraio il “Punto d’Incontro Italo Calvino” di Loano ha ospitato un evento sicuramente destinato ad essere ricordato: la presentazione del romanzo “Belle anime porche” (Mimesis/Pressutopia) di Francesca Ferrando, accompagnata nella sua performance dai Subbuglio! al cui concerto era abbinato l’evento.

Francesca Ferrando, torinese, classe 1978, è giornalista, webmaster per l’Università di Torino e collaboratrice dell’Osservatorio Letterario Comune di Torino. Vincitrice di numerosi premi letterari, organizza incontri e seminari di scrittura creativa, laboratori di scrittura rap hip hop in vari centri giovanili e nelle Biblioteche Civiche di Torino. Si esprime in molte forme artistiche, presentando le sue performance musicali e fotografiche in università, locali, radio, centri sociali.

Il suo romanzo, uscito alla fine del 2006, rappresenta un rarissimo caso di un’autoproduzione che arriva alla grande distribuzione.

All’Italo Calvino ha recitato alcuni capitoli del romanzo sulle improvvisazioni dei Subbuglio!, letteralmente incantando un attentissimo pubblico. 

 

1.                  Leggere “Belle anime porche”  è un’esperienza emotiva incredibile: si resta spiazzati, sorpresi, angosciati, commossi, divertiti, intrigati, tutto allo stesso tempo e ad un ritmo che ti inchioda alla lettura fino all’ultima pagina... Vuoi spiegare tu brevemente ai lettori la trama del tuo libro?

“Belle anime porche” è la storia di Terry Grisedu, ragazzina grassoccia e cafona, che scappa da una famiglia dove la madre le fotte il fumo per fumarselo col suo amante. Si ritrova per strada, alla ricerca della “vita spericolata” cantata da Vasco, unico eroe in questa vicenda. Qui incontra una serie di personaggi assai diversi tra loro: l’acida Libertà- punkettona a bestia di cui si innamora - una coppia di mafiosi romagnoli, un avvocato d’ufficio stracotto per lei. Stefano - gay con l’anima dark - Piero, trafficante di droga. E infine Michelle, clochard che la tratta come una figlia, facendole capire il vero significato della parola amore. Alla fine del viaggio, Terry ha assaporato più a fondo la vita. Insomma, un atipico bildungsroman.

 

2.                  Ci tieni a precisare che non è un romanzo autobiografico: da dove sono arrivati l’impulso, l’ispirazione, le motivazioni che te lo hanno fatto scrivere?

Cercavo una protagonista femminile che non esistesse ancora in letteratura italiana, che fosse tutto tranne che stereotipata. Non volevo la solita modella che parla di vestiti e che si fa scopare facendo la preziosa. Terry è grassa, si masturba, scopa chi vuole: cerca la libertà. Se ne frega dell’apparenza. Non si sa nemmeno truccare; l’unica volta che si depila, combina un macello. Terry può stare simpatica o antipatica, ma è certamente sincera: non possiede ipocrisia, banalità, educazione. Si trova, se vogliamo, allo stato brado, ma è lei che costruisce se stessa, non si lascia trasformare in quello che gli vorrebbero che lei fosse.

 

3.                  Il libro sta avendo un ottimo successo e sappiamo che ora sono arrivate proposte interessati da importanti editori. Non temi che la grande distribuzione possa “costringerti” a diventare un personaggio finalizzato a fare notizia per esigenze commerciali, saturano il tuo reale modo di essere, magari scimmiottando una nuova Melissa P. (con il quale, garantisco, non hai proprio nulla a che spartire)?

Ripeto che terry non è il mio alter ego, né nasce da esperienze autobiografiche. Però qualche punto in comune l’abbiamo. Anch’io, come lei, sono quella che voglio essere. Ripensandomi quotidianamente, al di là di quello che mi potrebbe essere comodo scimmiottare. Avrei già potuto vendere la mia immagine, non l’ho mai fatto. Non ho questo sogno di diventare famosa giusto per diventarlo. Se lo divento ok, ma a patto di poter dire quello che penso: sempre. E qui starà la sfida – non a caso è già arrivata una censura. So di avere molto da comunicare alla gente, messaggi che nessuno e nessuna al momento dà in Italia. Per questo la notorietà è utile: perché ti rivolgi ad un bacino di persone sempre più vasto. Se hai qualcosa da dire, è favoloso. Se no, è abbruttente per te e per chi ti sente parlare. Non avessi avuto nulla da comunicare su larga scala, me ne sarei rimasta a fare l’hippy in Sud America. Ti assicuro che ero davvero felice. Ma questa consapevolezza mi ha riportato in “società”. Quindi no, non ho paura. Nessuno mi può costringere a fare ciò che non voglio, e ti assicuro che so molto bene ciò che mi piace e ciò che non mi piace.

 

4.                  spiegaci il senso la scelta della licenza Creative Commons, grazie alla quale l’opera può essere liberamente riprodotta, fotocopiata e modificata non per fini commerciali.

Penso che le idee, il sapere, così come la felicità, non possano essere sottoposte a restrizioni. Più gente ne è a conoscenza, più il mondo andrà verso ciò a cui spero approdi: uno stato di consapevolezza e rispetto reciproco. Il fatto di permettere che la mia opera possa essere letta anche da chi non ha voglia di comprarsi il libro, mi sembra d’obbligo, dato che io sono la prima frequentatrice di biblioteche. Nella scelta della licenza, ho optato per la libera diffusione non a fini commerciali perché su “Belle anime porche” ci ho speso 8 anni, e l’idea che qualche grande casa editrice se lo pubblichi e ci guadagni aggratis non mi sembra leale. Altri progetti che ho elaborato in meno tempo, li ho fatti girare col copyleft: chiunque avrebbe potuto sfruttarli, anche per fini commerciali. Il creative commons, che si differenzia dal copyleft per le clausole che puoi allegare alla libera diffusione dell’opera, mi sembra una fantastica prospettiva non solo per l’utenza, ma anche per le case editrici. Un libro che piace crea il passaparola. Esistono molti casi di opere rilasciate con il creative commons che hanno venduto migliaia di copie proprio grazie al fatto di essere potute circolare liberamente: sono piaciute, e quindi, in un secondo tempo, acquistate.

 

5.                  hai già avuto problemi con la censura?

Fortunatamente nel 2006 non esiste la possibilità legale di censurare un testo. Anche la bestemmia e, dopo il caso Ciprì-Maresco, il vilipendio non sono più processabili. Il roman-zoo non è stato censurato per il suo contenuto ma, cosa ancor più allarmante, per il suo titolo. Ai tempi – marzo 2006 – il libro lo vendevo in forma autoprodotta e nessuno dei censori l’aveva letto. Sono stati sconvolti dal titolo e dal fatto che avrei parlato di “scrittura erotica”. Insomma, un allarmante connubio d’abuso di potere e processo alle intenzioni. Sul mio sito www.pressutopia.org trovi molta informazione al riguardo. Ma io li ho ringraziati, sul serio. Essere censurata nel 2006 diventa, se non altro, un fiore all’occhiello e una garanzia di qualità. Ciò che i censori, non avendo letto il libro, non potevano sapere, è che il roman-zoo rappresenta proprio il disprezzo di terry, ragazzina ignorante e cafona, nei confronti della velenosa ipocrisia del perbenismo. La sua rivincita attraverso la strada. Le sue voglie dirette e genitali alla anti-melissa-p. La linguaccia che tirerebbe fuori, a sapere d’essere stata censurata. Ma lei non lo saprà mai. E forse, è meglio così…

 

6.                  Sappiamo che hai delle tue radici in Riviera... Come hai vissuto la serata al Calvino?

È stata davvero favolosa. Coccolatissima da tutti voi, mi sono sentita a casa. D’altronde in Riviera venivo spesso, fino a quando mia nonna è mancata – pochi anni fa. I miei genitori sono uno di Vado, l’altra di Savona. Ritengo la Liguria una delle regioni italiane più belle. Nonostante sia cresciuta a Torino, percepisco il mare e la vegetazione mediterranea ben più affini alla mia anima che la nebbia delle campagne piemontesi - che pur trovo affascinante.

 

7.                  La domanda di rito: i tuoi progetti per il futuro.

Innanzitutto il film tratto dal romanzo  “Belle Anime Porche”, che verrà girato in autunno con una seria produttrice indipendente italiana. Mi è stato chiesto non solo di scriverne la sceneggiatura, ma anche di farne la regia. Sono entusiasta all’idea. Mentre lavoravo al libro, le immagini mi correvano davanti alle pupille. Scrivevo vedendo il film. Certo, sarà un duro lavoro. Significa riprendere tutto in mano, studiare, per poter arrivare sul set con le idee molto precise. Voglio realizzare un’opera che sia arte, che rimanga immortalata negli occhi di chi la vedrà come alcuni film per me esemplari, tipo “Paura e Delirio a Las Vegas” di Gilliam, o “L’Odio” di Kassovitz. Voglio dei visi altamente espressivi alla Pasolini: cercherò molti dei/lle attori/trici per strada e non negli studi professionali. Desidero dipingere attraverso le immagini una realtà all’eccesso, con forti chiaroscuri, che si avvicina alla caratterizzazione del fumetto.  “Kill Bill 1” di Tarantino sarà un riferimento.

E poi c’è la traduzione in inglese. Contiamo di fare approdare il romanzo negli USA entro il prossimo anno. Roby mio marito - che è d’origine statunitense - sta raffinando e donando la magia necessaria alla traduzione, che è già stata completata da un collega irlandese. Dobbiamo ripulire lo slang, renderlo più adatto al pubblico americano, a cui ci rivolgiamo. D’altronde lo spirito con cui il libro sta percorrendo le strade dell’editoria deve molto alla mentalità americana di un certo tipo: quella folle, aperta e sognatrice.