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UOMINI E BESTIE

8: Prospezioni dell’immaginario

Gli elefanti

Sesta (e ultima) parte  

Una zoologia dell’elefante leggiamo ancora in Eliano (IV 31).

 

L’elefante ha due denti sporgenti, che alcuni chiamano zanne, altri corna [cfr. la scheda dell’11 febbraio u. s.]. Ha cinque dita per ogni piede, ben visibili nella loro crescita ma non separate, e ciò spiega perché non ha alcuna predisposizione al nuoto. Le zampe posteriori sono piú corte delle anteriori, il seno è prossimo alle ascelle. Ha un naso che gli è piú utile di una mano ed una corta lingua. Secondo alcuni la sua bile non è vicino al fegato ma presso l’intestino. Mi risulta che le femmine partoriscano due anni dopo il concepimento, ma c’è chi nega che la gravidanza duri cosí a lungo e la riduce a diciotto mesi. Il neonato ha le dimensioni di un vitello di un anno e si nutre al capezzolo. Quand’è in calore ed è furioso dal desiderio di copulare, l’animale cozza contro i muri della stalla e li abbatte e rovescia le palme urtandole colla fronte come i montoni. Preferisce bere piuttosto che l’acqua trasparente e pura quella un po’ torba e melmosa. Dorme in piedi perché gli è difficile sdraiarsi e levarsi. Raggiunge il fiore dell’età a sessant’anni, non sopporta assolutamente il freddo, può vivere sino a duecento anni.

 

Senz’alcun problema di coerenza il Nostro giustappone questo capitolo scientifico, attinto probabilmente ad un prontuario tratto anche dagli Zoica aristotelici (gen. an. 773b5: nati grandi come vitelli, hist. an. 497b24: dita, 497b35: mammelle, 498a8: capace di piegare le zampe -contro la vulgata quale si legge ad es. in alcuni testi citt. nella scheda del 4 febbraio-, 578a18: la gravidanza dura diciotto o ventiquattro mesi, 596a11: vive duecento o trecento anni, 630b25: incapace di reggere il freddo, ecc.) alle favole che già ha raccontato prima e che racconterà dopo. Quanto alle notizie della fonte: la specie africana ha di solito quattro unghie cornee sulle zampe anteriori e tre sulle posteriori, l’indiana rispettivamente cinque e quattro, le zampe posteriori sono pari alle anteriori, la bile è vicino al fegato, la gravidanza di una figlia femmina dura venti mesi e ventidue di un maschio, il piccolo pesa alla nascita circa novanta chili e succhia il latte dalle mammelle, che stanno fra le zampe anteriori della madre, colla bocca non colla proboscide, bevono acqua pura, dormono in piedi o sdraiati come gli pare, raggiungono la maturità a venticinque anni, la vita gli dura al massimo sino ad ottant’anni.

 

Ed ecco le notizie “etologiche” di Plinio.

 

Gli elefanti marciano sempre in gruppo. Guida la fila il piú anziano e la chiude quello che gli è prossimo per età. Quando debbono attraversare un fiume mandano innanzi prima i piú giovani, per evitare che il passo degli adulti comprima l’alveo e faccia in tal modo alzare il livello dell’acqua (VIII 11)[1].

 

Sempre spinti dal pudore, s’accoppiano solo in luoghi appartati [AEL. nat. an. VIII 17 -cfr. la scheda dell’11 febbraio-, e ARIST. hist. an. 540a19-20], il maschio non prima dei cinque anni, la femmina non prima dei dieci [ARIST. ibid. 546b7-9, un po’ diverso]. Montano ogni due anni per cinque giorni l’anno e non oltre, a quanto si dice; il sesto giorno si purificano in un fiume e tornano al branco solo dopo averlo fatto. Non conoscono l’adulterio [Excerpta ex TIMOTHEI GAZAEI libris de animalibus 25: cfr. scheda del 4 febbraio 2007] né i combattimenti fra maschi per il possesso delle femmine, cosí dannosi per gli altri animali [al § 27, come vedremo qui sotto, dirà l’esatto contrario] (VIII 12-13).

 

Si dice che mostrino verso gli animali piú deboli una clemenza tale che in mezzo ad un gregge di pecore scostano colla proboscide quelle che gli si parano dinnanzi, per evitare di schiacciarle per disattenzione (VIII 23).

 

Le femmine della specie sono molto piú pavide [ARIST. hist. an. 610a20-21] [...] Diventano furiosi in molte circostanze ma soprattutto durante il tempo degli amori, quando in India abbattono le stalle a colpi di zanna [ARIST. hist. an. 610a21-22 e supra]. Per questo motivo s’impedisce loro la copula e si tengono le femmine in branchi separati, trattandole in maniera non diversa dalle pecore [hist. an. 571b31 sqq.]. Una volta addomesticati partecipano alle guerre recando sul dorso torrette con militi armati ed in gran parte delle regioni orientali risultano determinanti per l’esito dei conflitti, infatti disfano le schiere nemiche e ne calpestano i soldati. Eppure si atterriscono quando sentono il piú piccolo grugnito di un maiale [cfr. AEL. nat. an. I 38], e se feriti e spaventati retrocedono sempre, causando alla loro parte danni non minori di quelli inferti gli avversari. Gli elefanti africani hanno paura di quelli indiani e non osano fissarli, perché questi ultimi sono di maggiori dimensioni[2]. Si crede di solito che la gestazione duri dieci anni [MICHAEL ATTALIATES Historia 48-9: cfr. scheda del 4 febbraio 2007], Aristotele invece sostiene che dura due anni[3] e che i parti sono sempre singolari [gen. an. 771a18, hist. an. 578a19]; inoltre che vivono duecento anni e qualche volta sino a trecento[4]. Entrano nella giovinezza a sessant’anni [hist. an. 630b24-25]. Amano soprattutto le zone fluviali e vagano lungo i corsi d’acqua, pur se non sono comunque in grado di nuotare a causa delle eccessive dimensioni corporee [ibid. 630b26-30, falso]. Non sopportano il freddo [ibid. 630b25]: questa è la loro maggior debolezza, inoltre sono afflitti da flatulenze e diarrea, a tutte le altre malattie risultando immuni [ibid. 604a11-12 e 605a27]. Trovo scritto che i dardi confitti nel loro corpo si staccano se gli si fà bere dell’olio [ibid. 605b3-4], invece aderiscono maggiormente quando sono sudati[5]. Mangiare la terra è per loro distruttivo, a meno che non la mastichino a lungo; ingoiano anche le pietre [ibid. 605a25-27] e considerano i tronchi un cibo gratissimo. Abbattono a testate le palme piú alte e dopo averle cosí atterrate ne spiccano i frutti [ibid. 610a23-24 e AEL. supra]. Masticano colla bocca, respirano, bevono [falso] e fiutano colla proboscide, che non a torto è detta la loro mano [hist. an. 492b18]. Fra tutti gli animali rifuggono soprattutto dai topi [Excerpta ex TIMOTHEI GAZAEI libris de animalibus 25] e rifiutano il cibo nella mangiatoia se s’accorgono che è venuto a contatto con uno di essi. Provano un indicibile dolore nel bere se hanno ingoiato una mignatta, quel verme che ormai, a quello che mi risulta, tutti chiamano sanguisuga: infatti se una di esse gli s’attacca alla trachea, provoca fitte insopportabili. La cute del dorso è robustissima, sul ventre invece delicata, ed è totalmente priva di peli [hist. an. 499a9-10], anche sulla coda, che altrimenti potrebbero usare come difesa per scacciare il fastidio delle mosche, infatti pur cosí grossi ne soffrono perché le attraggono coll’odore corporeo. Sono però grinzosi, onde quando uno sciame d’insetti si posa sulla loro pelle distesa, contraggono improvvisamente le grinze e li schiacciano, servendosi di questo espediente in sostituzione della coda, della criniera e del vello. Le zanne sono costosissime e da esse si trae la materia piú preziosa per la costruzione di figure scolpite di divinità [dette appunto criselefantine]. Il desiderio della stravaganza ha però aggiunto un altro motivo per cui son ricercati: il sapore squisito dell’involucro calloso della proboscide[6], per nessun altro motivo, a parer mio, se non perché chi lo mastica s’illude di masticare l’avorio stesso. Che la grandezza delle zanne sia enorme lo si capisce dalle statue dei templi, ma abbiamo pure la testimonianza di Polibio il quale, basandosi sulle affermazioni di un re del posto, Gulussa [SALL. Iug. 5], riferisce [in luogo ignoto] che nelle estreme regioni dell’Africa[7], ai confini dell’Etiopia, esse vengono usate come stipiti di case, o al posto di pali se ne fanno recinti nelle abitazioni e per gli stazzi del bestiame (VIII 27-31). 


 

[1] La cervellotica nozione delle preoccupazioni idrogeologiche degli elefanti ha vita lunga, come molte altre simili assurdità. Infatti ancora la leggiamo pari pari in un tardo cronista bizantino, solo dilatata dal gusto dell’amplificazione retorica dei bassi tempi (MICHAEL GLYCAS Annales 100-1):

 

Anche questo straordinario comportamento manifestano gli elefanti. Quando accade che varchino l’Indo, non compiono la traversata semplicemente come càpita, bensí comincia a passare il piú piccolo del branco, segue quello piú grande di lui, dopo quello piú grande d’entrambi, e cosí uno dopo l’altro, attenendosi a questo criterio, superano il fiume senza problemi. Se infatti avanzassero per primi i piú grossi, ben presto colla pressione delle zampe aprirebbero sul fondo del fiume delle buche, a causa delle quali quelli di minori dimensioni non potrebbero procedere oltre, ma anzi finirebbero soffocati nel limo.

 

Così poi séguita il testo:

 

Quanto al fatto che gli elefanti, secondo dicono gli esperti, non si accoppiano se prima non abbiano mangiato la mandragora (non sorge infatti in loro desiderio della copula finché la femmina non coglie la mandragora, se ne ciba e la dà a mangiare al maschio, ed in tal modo poi si uniscono), chiaramente richiama i nostri progenitori: anch’essi infatti prima di gustare il frutto proibito vivevano come angeli, solo dopo averlo mangiato commettendo il peccato della disubbidienza Adamo conobbe Eva, sua moglie, ed ebbe Caino [gen. 4, 1].

 

“La Mandragora (Atropa Mandragora L.), Mandragora, (Ital. Spagn.), Main de gloire, Mandeglorie (Francese), Alraunwurzel (Ted.), Mandrake (Inglese), Jabora, Yabrohach (Arab.) è una pianta della famiglia delle Solanacee contenente principi acri e tossici che la fanno classificare fra le velenose. Nota fino da tempi antichissimi, su di essa, piú che su di ogni altro vegetale, si è sbizzarrita la fantasia popolare [...] La superstizione attribuiva alle radici una vita animale! Si credeva che nascessero dalle urine di ladri impiccati [...] (fortunati quelli che la potevano raccogliere sotto i patiboli!) e quindi fosse assai pericoloso scavarle a meno di non turarsi bene le orecchie, per non sentire le loro lamentevoli grida e il loro pianto che poteva far divenire mutoli o matti! Né ciò era bastante, poiché chi strappava la pianta senza le prudenti precauzioni ed i forti scongiuri, doveva in breve inesorabilmente morire [...] Alle donnette si faceva credere che esse potessero vincere la sterilità, procurare a volontà figli maschi o femmine e favorire parti felici. Le radici, grosse e carnose, venivano a tale scopo modellate e abilmente intagliate con coltelli, foggiandole in modo da rappresentare un tronco con due gambe, portante gli organi generativi esterni dei due sessi, fornendolo anche di peli e barbe. Ciò si otteneva impiantando nelle radici fresche granelli di miglio o orzo nei punti convenienti. Dopo una ventina di giorni comparivano germogli o radicette, che simulavano i peli”: A. VACCARI, Fitoterapia, vol. XXVI, 1955, p. 553 sqq. Il termine, in it. anche mandragola per dissimilazione, viene dal lat., a sua volta dal gr., a sua volta da una lingua ignota orientale o dal sostrato mediterraneo. Delle moderne fantasie artistiche, ricordo solo la commedia di Machiavelli, l’Isabella von Ägypten. Kaiser Karl des Fünften erste Jugendliebe di Achim von Arnim e il film del 1927/8 per la regia di Henrik Galeen, Alraune, dal romanzo di Hanns Heinz Ewers. 

[2] La tabella pubblicata nel numero del 4 febbraio mostra che le dimensioni medie della Loxodonta africana superano quelle dell’Elephas maximus, onde si potrebbe pensare che Plinio abbia torto, ma non bisogna scordare che l’elefante “africano” non indicava per lui ciò che indica per noi, ossia la specie subsahariana, che gli era ignota, bensí quella estinta dell’Africa mediterranea, e non c’è motivo di non credere che questa fosse effettivamente piú piccola dell’indiana. 

[3] Gen. an. 777b15 e hist. an. 546b11, ma oltre (578a19) scrive che la gravidanza dura “secondo alcuni un anno e sei mesi, secondo altri tre anni”. 

[4] Hist. an. 596a11-12, ma altrove (630b22-24): “alcuni dicono che l’elefante viva duecento anni, altri centoventi”. 

[5] Gli elefanti non hanno ghiandole sudorifere, perciò non possono sudare: il compito della termoregolazione è affidato alle orecchie che, continuamente in movimento, ventilano e raffreddano il sangue che passa per i vasi auricolari. Ciò spiega anche perché la Loxodonta, vivendo in un clima piú torrido, abbia orecchie piú grandi dell’Elephas maximus. Ma gli Antichi anche su ciò fabbricarono una fola, come documentata il testo di Michele Attaliate già cit. nella scheda del 4 febbraio: 

È una bestia gigantesca, le zampe sono simili a colonne colossali, le orecchie non inferiori ad uno scudo da combattimento ed agitate continuamente da un movimento incessante, che non è senza motivo perché teme le zanzare. Infatti pur vincendo in forza e possanza tutte le fiere piú grandi, confessa col suo comportamento di lasciarsi sopraffare soltanto dalla zanzara e le oppone come una corazza il movimento delle orecchie, tentando di tenerne lontano l’assalto perché se una di esse gli entrasse inavvertitamente nel padiglione gli causerebbe un grave danno e persino la morte. 

[6] AEL. nat. an. X 12: “le sue carni non sono commestibili, a parte la proboscide, le labbra della bocca e il midollo delle zanne [?]”. 

[7] Intende l’Africa nel senso romano dopo Cesare, ossia la fascia da ca. 21° W sino alla Tunisia compresa, confinante a sudest sotto l’Egitto coll’Aethiopia antica.

MISERRIMUS