TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni |
FOGLI MOBILI La rubrica di Gloria Bardi Dico non Dico, Canto non Canto.
L’altra sera tornavo da Genova con il regionale delle diciotto e qualcosa (mai che riesca a ricordarmi un orario!), il treno era affollato ma ero riuscita a sedermi, incastrando i libri, la borsa, la sportina di carta, il quotidiano, la giacca alla bellemeglio, col derivante momento di intensa empatia con la situazione esistenziale della sardina in scatola. In genere, in questi bagni di folla a scorrimento non abbastanza veloce (un regionale!) mi concedo l’ascolto, ammesso che ci sia qualcuno che parla invece di messaggiare o fare le parole crociate (a proposito, mi sembrano in fase di rilancio!). In quel caso un parlatore c’era ed era seduto dietro di me, per la precisione di fronte al tipo che mi stava di spalle, che in quella performance ricopriva il ruolo di “interlocutore”, anche se più che altro ascoltava o limitava i suoi interventi a mono o bisillabi più o meno significanti, tipo: bah, boh, essì, sisà sisà. A un certo punto mi sono sporta e voltata per guardare con invidia un oratore così persuasivo: uomo, vicino alla sessantina, stempiato, un po’ adiposo, colore prevalente il beige. Siccome non parlava di calcio parlava di politica. Con un residuo accento del sud, tuonava contro “quel bugiardo” di Berlusconi che pensava di farci fessi giocando a cuccusette con l’Ici. Come possono i comuni togliere l’Ici? –il tipo si rivelava uno su cui la demagogia ha zero presa- Eppoi quanto sarà mai quest’ICI, una settantina di euro all’anno che in termini di mesi farebbe intorno ai cinque euro, eh cazzo!” -Ah, ma l’altra sera in tivù Fassino gliel’ha cantate. Eccome. Gli ha detto che è un bugiardo. Eccome. Intanto di fronte a me avviene un’interessante rotazione e al posto di un signore dall’aria severa e pancia prominente, si siede una signora sottile sottile dal viso aguzzo e i capelli aguzzi. Il cambio mi favorisce e io mi desardino un po’. Intanto dietro: -Ah, ma l’altra sera, Casini gliel’ha cantate. Eccome. Non era Fassino, mi chiedo? A meno che non “gliel’abbiano cantate” entrambi e cerco di immaginare la reazione stereofonica del povero cavaliere accerchiato da persone che gliela cantano. Lo immagino tutto avvilito e col magone, sono costretta a procurarmi gli epiloghi perché il Demostene alla mie spalle non mette in cronaca il minimo cenno di risposta. A un certo punto, stanco di cantate, il tipo decide di affrontare temi eticamente sensibili: “Io Prodi lo voto. Se faceva i dico non l’avrei votato più ma ha fatto retromarcia”. -Ah, ecco –penso-, in effetti sembrava anche a me che le cose stessero così. Devo confessare che lo stesso impegno di lavoro che mi ha impedito di truciolare per ben due settimane, mi ha impedito di approfondire le notizie della cronaca politica e non. Insomma, mi ritrovavo poco informata perfino sui miei argomenti preferiti. Il tipo intanto, forse non sentendosela di affrontare in galleria discorsi abissali, torna a Berlusconi e ribadisce come in un refrain consolatorio: - L’altra sera …gliel’ha cantate. Eccome! Gli ha detto che è un bugiardo. Provo un vago senso di angoscia a non aver captato stavolta il nome del cantante, chissà, per parlare sanremese come il giornale che davanti a me sfoglia l’aguzza, a quale casa discografica appartiene? Mi sembra perfino curioso questo proliferare di canterini ovunque il cavaliere si arrischi a mettere piede. Ma sarà poi stato presente o gliel’avranno cantata in playbak? La domanda è di quelle che prendono e per questo mi accorgo solo a cose fatte che il mio vicino di posto, che per tutto il tragitto è stato intento a tracciare le effemeridi sul display del suo cellulare, non c’è più. Lui non c’è più e io continuo imperterrita il gioco di ruolo della sardina in scatola. Ovviamente mi spaparazzo: borsa, libri, sportina di carta, giacca, Repubblica tutto sul sedile vicino. Intanto alle mie spalle: -Ah io lo voto Prodi. Se faceva i dico non lo votavo. Rifletto che non c’è da stupirsi se i discorsi delle persone sono così monotoni e ritornanti, dal momento che siamo venuti su a botte di “nanna i nanna o bimbo bello a chi lo do”: questione di imprinting mentale. Ma stavolta, forse perché non siamo in galleria, il signore decide di addentrarsi in un approfondimento teorico del problema. -Eh che cazzo! Vorrebbe dire che un omosessuale è uguale a me. Quasi quasi lo abbraccio. Finalmente uno che dice le cose esattamente come stanno senza sovrastrutture e infingimenti. La cosa è esattamente come l’ha detta l’onesto pendolare dell’analisi politica: una questione di uguaglianza. Magari i politici parlassero con tanta chiarezza invece di canticchiare e zufolare a destra e a manca. Canzoni stonate parole sempre un po’ sbagliate. L’aguzza chiude di botto il suo giornale sanremese e schizza fuori dalla geometria della nostra scatoletta di latta. Distendo le ginocchia. Chissà perché si dice “sgranchire” quando i granchi non c’entrano ma le sardine sì? Mi rendo conto di aver perso lo slancio e non aver consegnato al personaggio il telegatto della sincerità. Avete invece presenti tutte le cazzate stratosferiche di cui ci delizia Casini, quando parla di “giuovani spuosi”, evocandoci, in un potpurry della tenerezza, un renzo e una lucia con la valigia legata con lo spago che sembrano usciti da uno degli spot miliardari con cui la Chiesa cerca di convincerci a mandare l’ottopermille a don Bruno, povera anima perpetuamente coi piedi a bagno? E cercano casa, i poveri tapini legittimamente vogliosi di riproduzione non assistita se non dalla CEI, perseguitati da orde di omosessuali in veste di bravacci ghignanti che fanno il gesto dell’ombrello e, come Alberto Sordi, aggravano la situazione con “famigliola?” e giù la classica pernacchia, giusto per non farsi mancare niente del campionario nazionale dello sfottò? Compresi ovviamente tutti i parlamentari che loro invece possono. E Casini, proprio lui, fa tenerezza mentre si arrampica sugli specchi morali e logici per giustificare le sue incoerenze. Costoro hanno la sindrome di Adolf: l’unico nero in un mondo selezionato di biondi. Almeno l’Austriaco non cercava di essere politically correct. E che dire della CEI, una corporazione di porporati tutti maschi e tutti celibi, che alla famiglia sacra naturale tradizionale riproduttiva hanno pensato bene di dire NO NO NO e vivono in conclamata ribellione ai dettami naturali e non pensano ad altro che a dire che cosa è e come va fatto ciò cui loro si sono sottratti? Sempre e costantemente con gli occhi puntati sui nostri genitali. E, mi chiedo, la convivenza conventuale che tipo di convivenza è? Da quali norme di mutua solidarietà è regolata? E’ una questione di egalité e liberté. Siamo in presenza della restaurazione dell’Ancien Régime, con un Primo Stato costituito come allora dal clero e un Secondo dalle Aristocrazie che ora però, in era postdemocratica, sono quelle politiche, al riparo di privilegi negati al Terzo Stato costituito da individui coatti e incapaci di autodeterminazione, cui spetta mangiare, bere, obbedire e votare. Ed è una questione di fraternité, dal momento che sui rapporti orizzontali si erigono nuovi e vecchi paternalismi con l’indice alzato e la licenza di assolvere o dannare. Civilmente intendo. Paternalismo allo sfascio sul piano etico, che per questo punta tutto sul piano normativo. Perché Ratzinger non scomunica ad esempio coloro che hanno rapporti prematrimoniali? Perché non tuona dal balcone contro costoro? Sul piano dottrinale la cosa ci sta tutta ma è la possibilità di proibire a livello normativo che gli manca. Ineffabile Pierferdinando di Borbone: famiglie di fatto, pubblici peccatori, omosessuali: per carità nessuno nega i diritti di nessuno, ci mancherebbe ma… Ma? Il signore del treno le cose lui sì che gliele canta agli omosessuali: “non penserete mica di essere come me?”. E gliele canta ai vari Prodi e ai vari Casini e ai vari Berlusconi. In galleria o fuori. Su base mobile o su base stabile. Il signore del treno è l’unico vero filosofo della ghenga. Mentre elaboro tutto questo il tempo passa e il treno ci scorre sopra. Faccio il punto della situazione e mi rendo conto che il filosofo non filosofa più. Mi volto e il suo posto è vuoto. Anzi lo sono quasi tutti. Mi rendo conto che il treno è fermo. Mi è capitato di nuovo: ho dimenticato di scendere a Savona e ora sono sul binario morto, chiusa ermeticamente. Io e le mie elucubrazioni, DICO compresi. Spero vivamente di essere liberata anche stasera dall’omino delle porte. Intanto ho perso la coincidenza e non ho abbracciato il signore né chiesto il suo cell per fargli un’intervista da pubblicare su Trucioli. La vita, esattamente come la politica, è fatta di occasioni perdute
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