NOTA DELL’AUTORE, MASSIMO
BIANCO:
SI TRATTA DI UN
RACCONTO GROTTESCO, RIENTRANTE
NELL’AMBITO DEL FANTASTICO, SUDDIVISO PER COMODITÀ DI LETTURA IN TRE PARTI
PERCHÉ A MIO PARERE RACCONTI TROPPO LUNGHI SONO POCO ADATTI A ESSERE LETTI SU
INTERNET (IL RESTO DEL RACCONTO APPARIRÀ LE PROSSIME SETTIMANE).
IL RACCONTO CHE VI
APPRESTATE A LEGGERE, CHIARAMENTE PROVOCATORIO E ANCHE PER QUESTO ECCESSIVO,
SCRITTO PERALTRO PRIMA DEI NOTI INCIDENTI CATANESI, SI SVOLGE IN UN IPOTETICO
FUTURO PROSSIMO. ESSO TRATTA IL PROBLEMA DELLA VIOLENZA NEGLI STADI SEGUENDO UNA
TECNICA TIPICA DELLA FANTASCIENZA E CIOÈ QUELLA DI EVIDENZIARE E SPINGERE FINO
ALL’ECCESSO UNA DETERMINATA SITUAZIONE GIÀ PRESENTE IN NUCE AL PRESENTE (IN
QUESTO CASO APPUNTO LA VIOLENZA DI CERTI ULTRAS) ALLO SCOPO DI EVIDENZIARE I
PERICOLI CHE COMPORTA. QUESTO RACCONTO VUOLE PERÒ ANCHE PORRE UNA DOMANDA:
REPRIMERE CON LEGGI SPECIALI LA VIOLENZA NEGLI STADI FINO A SOPPRIMERLA
COMPLETAMENTE SERVIREBBE A MIGLIORARE LA NOSTRA SOCIETÀ? NON PENSATE, CIOÈ, CHE
POTREBBE SERVIRE SOLO A INCANALARE IN ALTRE DIREZIONI L’AGGRESSIVITÀ GIOVANILE
PEGGIORANDO QUINDI LA SITUAZIONE? LA VIOLENZA FA PARTE DELLA NOSTRA NATURA, È
INSITA IN TUTTI NOI ED È IMPOSSIBILE ELIMINARLA DEL TUTTO. NON PENSATE CHE
SAREBBE PEGGIO SE I RAGAZZI PER NATURA PIÙ AGGRESSIVI, IMPOSSIBILITATI A
SFOGARSI NEGLI STADI, SCATENASSERO LA LORO RABBIA IN ALTRE SEDI, AD ESEMPIO
NELLE STESSE STRADE CITTADINE? QUALE SOLUZIONE DUNQUE PER RIDURRE DRASTICAMENTE
TALI ECCESSI DALLA NOSTRA SOCIETÀ? LA SOLUZIONE QUI PROPOSTA OVVIAMENTE È
IPERBOLICA E IMPROPONIBILE, MA ALLORA? BUONA LETTURA.
RACCONTO NOI, ULTRAS COMBATTENTI 1
I ragazzi erano riuniti nella sede del
Grifone fans club da battaglia, in pieno centro storico, e stavano organizzando
attività e coreografie per la successiva domenica di campionato.
Quella settimana il Genoa avrebbe giocato in
trasferta con la Lazio e si prospettava una partita dura. A dieci giornate dalla
conclusione del campionato entrambe le formazioni annaspavano sul fondo della
classifica, rispettivamente a quota 23 e 25, impelagate nella lotta per la
salvezza. Il Genoa si trovava addirittura ad un solo punto dalla zona
retrocessione e con la più diretta inseguitrice, il Lecce, in gran rimonta,
reduce da un trend positivo di sette risultati utili consecutivi.
Per fortuna ci pensavano i boys a tenere
alto l’onore delle rispettive società. Nel campionato che li riguardava
direttamente, infatti, i fans club di Genoa e Lazio lottavano per lo scudetto
parallelo, appaiati in terza posizione, staccati di quattro lunghezze dai
guerrieri al vertice, i temibili Atalanta fauns, e di tre dagli Inter
constrictors.
Il match d’andata tra le due bande
metropolitane organizzate era stato intenso, sofferto e combattuto, con oltre un
terzo dei combattenti schierati all’inizio costretti all’abbandono prima del
termine. Alla fine era stato dichiarato il pareggio, l’unico subito dal Genoa
nel corso del girone d’andata, e adesso, dopo una lunga serie di proclami,
entrambe le formazioni attendevano con ansia il giorno della resa dei conti.
Il campionato tradizionale era invece
caratterizzato da un’avvincente lotta a tre tra Milan, Juventus e Sampdoria,
appaiate in vetta e con un enorme vantaggio su tutte le altre, guidate dalla
Roma, campione in carica.
Certo, lo scarso rendimento della squadra
attirava sui ragazzi gl’inevitabili sfottò dei sampdoriani, ma grazie alle loro
prodezze personali avevano una rivalsa. Le continue umiliazioni infertegli da
quelle nullità che ogni domenica calcavano il “campo verde”, cioè il rettangolo
di gioco in erba, e infangavano i colori del Genoa, gli moltiplicavano, infatti,
energie e rabbia da scaricare sul ‘loro’ terreno di gioco, il cosiddetto “campo
grigio”, le gradinate in cemento. Lo stesso intollerabile pensiero che gli
odiati cugini genovesi del Doria potessero aggiudicarsi il terzo scudetto nel
giro di appena cinque anni rappresentava il miglior sprone possibile per tenere
almeno loro in alto i beneamati vessilli.
i Pirati, boys del Doria, invece arrancavano
come al solito a metà classifica, intorno all’ottavo o nono posto o giù di. Non
che non fossero in gamba; tutt’altro, anzi. Come avevano appena sperimentato
sulla propria pelle, i lupi di mare avevano un gran cuore e finanche un certo
fegato, questo dovevano onestamente riconoscerglielo. Certo, si trattava di
qualità atte a permettergli di lottare sempre in modo sufficientemente dignitoso
da non ritrovarsi mai in fondo alla classifica, ma non erano abbastanza cattivi
per far di meglio.
Invece quanto a cattiveria, i Grifoni,
ultras genoani, non avevano, modestamente, da imparar niente da nessuno.
Sapevano infierire sull’avversario in difficoltà in maniera così crudele da
rasentare addirittura l’arte con la A maiuscola, e domenica, pensavano, gliela
avrebbero fatta vedere a quei mediocri teppisti, neonazisti e volgarmente
razzisti, dei laziali.
Da quando erano tornati in serie A, otto
anni prima, i ragazzi stavano mostrando a tutti il loro valore. Potevano già
vantare due scudetti grigi all’attivo e contavano di continuare così a lungo, a
patto, naturalmente, che quei buoni a nulla della squadra non si (e li)
facessero per l’ennesima volta retrocedere. Ma stavolta avevano giurato a se
stessi che se una tale ignominia si fosse verificata gliela avrebbero fatta
pagare molto cara a quei coglioncelli troppo ben pagati.
Mentre i leader discutevano
sull’organizzazione della giornata successiva, il maxi schermo appeso alla
parete laterale era sintonizzato su Teleultracalcio.
Questa era l’unica emittente nazionale che
si occupasse di calcio ventiquattrore su ventiquattro, concedendo uguale spazio
ai campionati ‘verde’ e ‘grigio’, com’erano familiarmente definiti.
Il campionato verde era quello tradizionale,
giocato sul campo dalle due squadre di undici giocatori, e ovviamente era così
chiamato per via del colore dell’erba del terreno di gioco. Il campionato
grigio, invece, ideato ufficialmente quindici anni prima dal governo per
regolamentare e irreggimentare la vecchia piaga delle violenze negli stadi, era
disputato da squadre formate da ottanta ultras ciascuna. La denominazione di
grigio derivava dal colore prevalente sulle gradinate, generalmente di cemento.
I ragazzi stavano discutendo sulla tattica
migliore da utilizzare in battaglia.
“La Lazio attacca sempre sulle linee
centrali.” – disse Sergio, il capo, anzi, il papa, come veniva denominato. –
“Applicando la tattica a tenaglia li metteremo in difficoltà.”
“Basta che le ali siano capaci di reggere la
spinta.” Commentò uno del gruppo, alto e asciutto, volgendo significativamente
lo sguardo verso il tizio mingherlino al suo fianco.
“Ehi, guarda che la sconfitta di domenica,”
– si arrabbiò il piccoletto, punto sul vivo - “è imputabile a un errore tattico,
è troppo comodo scaricarmi le responsabilità, porca miseria!”
“Tranquillo Costantino. Nessuno pensa
davvero che sia colpa tua.” – Intervenne il vice capitano, con la sua
caratteristica voce bassa e roca. - “Lo sappiamo che hai combattuto bene. Semmai
la colpa è stata di Picchio Alberto, che non è stato capace di eliminare il
vessillo e gli striscioni avversari, ci ha fatto perdere quattro più tre, sette
punti e ci ha costretto a distogliere altre forze.”
L’Alberto chiamato in causa, in ascolto con
altri quattro o cinque dietro ai leader, non la prese bene.
“Ehi Cosa,” – osò intervenire con voce
tremante di collera - “ma che cazzo dici, se ci allontanavamo come volevi per
levare gli striscioni vi travolgevano. Piuttosto se voialtri non vi foste fatti
distrarre da quegli striscioni insultanti e non aveste lasciato i ragazzi soli
sul passante…”
“Ehi, ehi, guarda che i punti assegnati per
la coreografia potevano risultare decisivi.”
“Comunque sulla base dell’andamento dei
precedenti quindici tornei di A e di B una sconfitta ormai era inevitabile.” –
Intervenne Costantino, che aveva una vera e propria fissa per le statistiche e
organizzava le tattiche di combattimento in base a logiche fondate su calcoli
rigorosi. – “I dati statistici dicono che nessuno ha mai vinto il campionato
senza subire almeno tre sconfitte e noi eravamo in trend positivo da troppe
giornate.”
“Fanculo te e tuoi calcoli fottuti del…”
“Adesso basta, ragazzi, OK? Acqua passata.
Ascoltiamo invece cosa dicono in tv.” Intervenne con autorevolezza il ‘Papa’
Sergio vedendo che la discussione stava diventando sterile.
Su telernet stava andando in onda un
servizio sulle squadre liguri e tutti dedicarono la loro attenzione allo
schermo, che mostrava immagini tratte dal recente derby della lanterna.
Cominciarono a seguire proprio mentre il Doriano n° 19 centrava la traversa. La
scena successiva mostrò un altro dei giocatori in tradizionale casacca
blucerchiata portarsi in velocità sul fondo e crossare al centro, dove un
compagno riceveva e calciava al volo. Poi, sulla respinta del portiere, un terzo
giocatore, quello stesso n° 19 autore della precedente traversa, raccoglieva e
infilava in diagonale nell’angolino in basso alla sinistra del portiere che,
ormai spiazzato, non poteva assolutamente arrivarci.
Un fremito di rabbia scosse le pareti del
locale. Dal vivo, impegnati in una concitata fase di lotta, si erano accorti del
gol solo dall’urlo di gioia dei ‘tribunini’, il danaroso e molle pubblico
pagante che veniva per assistere al doppio spettacolo. Ciononostante adesso i
ragazzi riconobbero immediatamente la marcatura, perché in seguito l’avevano
vista e rivista un sacco di volte. Si trattava del gol del raddoppio con cui al
13’ del secondo tempo il tosto centravanti doriano Carlini aveva ipotecato la
vittoria, prima che il risultato venisse definitivamente fissato venti minuti
dopo sul 3 a 0.
A questo punto le immagini tornarono nello
studio, dove quattro persone stavano comodamente sedute su delle poltroncine
rosse e una quinta era assisa in posizione centrale dietro a una scrivania.
Fu l’uomo al centro a prendere la parola.
“Bene, questo era il nostro servizio dal
vecchio Marassi, ancora utilizzato dal Genoa per le sue partite interne. Il
match in questi giorni è stato ben analizzato ma torniamoci un ultima volta. La
vittoria della Sampdoria capolista rientrava nei pronostici, ma domenica non
sembrava di assistere a un derby. Il Genoa è parso assai poco reattivo e se non
fosse stato per la splendida prestazione del portiere poteva risultare un
passivo ben più pesante. Come lo spieghi, Principato?
L’ospite interpellato, un giornalista dalla
pancia prominente, in giacca e cravatta, prese la parola schiarendosi la gola.
“Uhm rumf. Il divario tecnico tra
Samp e Genoa oggi è enorme. La Sampdoria ha degli schemi e almeno un paio di
grandi campioni in grado di risolvere in qualsiasi momento una partita. Come sai
in tempi non sospetti avevo indicato la Sampdoria come probabile vincitrice del
campionato e mi sento a tutt’oggi di confermare il pronostico: anche se forse
Milan e Juve sono in assoluto più forti è la Sampdoria a praticare il miglior
calcio e io sono convinto che continueranno a giocarsela tutte e tre fino
all’ultima giornata.”
“Concordo.” –
Intervenne uno degli altri ospiti, un
anziano scrittore dai lunghi e ormai assai radi capelli bianchi e un paio di
anacronistici occhiali, che non disdegnava di partecipare a programmi televisivi
popolari nonostante il premio nobel conquistato a sorpresa alcuni anni prima.
– “Personalmente penso che per quanto ha mostrato fino ad oggi, il Doria
meriterebbe lo scudetto, ma le altre hanno una rosa più ricca e poi non bisogna
dimenticare che Milan e Juventus sono abituate da sempre a lottare al vertice.”
“Certo.” – disse il presentatore. – “Tornando
alla partita di domenica, ha invece destato clamore l’inattesa e pesante
sconfitta dei forti e lanciatissimi ultras del Genoa per 14 a 6. Cosa ne pensate
di questo crollo? Il Genoa ha un pacchetto di spinta di potenza impressionante e
veniva da uno score positivo di otto vittorie consecutive, di cui ben cinque da
tre punti, e pareva ormai lanciato verso la vetta della classifica. Il crollo
verticale della formazione ha colto un po’ tutti alla sprovvista.”
“Beh, sai benissimo anche tu che i derby
fanno sempre storia a sé e se questo è valido per le partite verdi tanto più lo
è per le grigie”. Rispose il
giornalista panciuto.
Mentre i due parlavano andarono in onda
altre immagini della domenica precedente, questa volta incentrate principalmente
sugli scontri tra le tifoserie.
I ragazzi seguivano in mesto silenzio,
sporadicamente interrotto da qualche mugolio misto di rabbia e di vergogna.
Riconobbero immediatamente le riprese
trasmesse. Si trattava della rotta del 97’. Gl’incontri-scontri sugli spalti
cominciavano ufficialmente un quarto d’ora prima del fischio d’inizio della
partita verde. Essendo molto dispendiosi ogni 40 minuti venivano fissati due
intervalli per rifiatare, durante gli ultimi venti minuti di ciascun tempo più
recupero, periodo durante il quale le posizioni venivano rigorosamente
mantenute, pena pesanti squalifiche. I combattimenti che riprendevano alla fine
di ciascun tempo, terminavano rigorosamente 25 minuti dopo il triplice fischio
finale, quando una sirena ordinava l’immediata sospensione delle ostilità.
Dunque il match grigio durava un’ora e tre quarti.
Al 97’ gli ultras della Sampdoria, in un
impeto di rabbia furibonda, avevano travolto l’ala destra Genoana lasciando sul
campo ben dodici avversari. Questo era stato l’inizio del crollo.
I ragazzi ora rividero distintamente alcuni
nemici, tra cui il vice capitano sampdoriano chiamato Olonese, un colosso con
gli occhi spiritati, spingere indietro una mezza dozzina di ragazzi, travolgerli
e calpestarli mentre procedevano accanitamente in avanti.
Subito dopo il piccolo karateca Costantino,
detto Res bellica, che era stato al comando dell’ala destra, riconobbe sé stesso
mentre, insieme a due compagni, si lanciava nella calca armato di randello
gommato e aggrediva e abbatteva un gruppetto di energumeni avversari.
Gli occhi gli brillarono mentre rivedeva se
stesso schizzare in avanti a piedi uniti e spianare un bestione che pareva forte
come un toro, per poi rimettersi immediatamente in guardia e, intanto che quello
cercava ancora faticosamente di rialzarsi in piedi, stenderlo a mano nuda con un
preciso colpo di taglio alla base del collo. Quindi si era rivolto, rapido come
un furetto, verso l’antagonista successivo e lo aveva accoppato con una secca
randellata sulla tempia, mentre questi si trovava avvinghiato a uno degli altri
due compagni.
Il tutto si verificava sotto lo sguardo
compiaciuto d’una mezza dozzina di poliziotti in attrezzatura antisommossa.
Questi ultimi si limitavano ad assicurarsi che i combattenti rispettassero le
regole e non cercassero di scavalcare le transenne per andare a disturbare il
pubblico pagante, evento peraltro rarissimo. Erano poi liberi di fare il tifo
per l’una o l’altra parte e commentavano ad alta voce e con tono professionale
le fasi salienti degli scontri.
Poco dopo era giunto il momento in cui il
gruppetto di Costantino era stato travolto dal grosso della pressione
sampdoriana. Le immagini mostrarono con chiarezza un Pirata colpire Costantino
in fronte con un pugno, permettendo così, un istante dopo, a Morgan uno degli
aiuto vice capitano blucerchiati, considerato il lottatore emergente come nuova
grande stella del firmamento ultras italiano, di percuoterlo violentemente su di
un fianco con la spranga imbottita, fortunatamente senza centrarlo in pieno,
giacché nonostante l’imbottitura l’arma può arrecare seri danni, ma causandogli
un dolore sufficiente a fargli sfuggire un gemito e a costringerlo a
indietreggiare precipitosamente.
Le scene continuavano a scorrere sullo
schermo ma l’abbacchiato Costantino distolse lo sguardo, mentre istintivamente
si portava la mano sul fianco infortunato. Si sentiva molto stupido a essersi
fatto fregare. Gli altri avevano un bel ripetere di stare tranquillo, che aveva
fatto tutto il possibile e non aveva responsabilità nella sconfitta, tanto un
lieve senso di colpa si era insidiato saldamente nel suo animo e non ne voleva
più uscire. Per fortuna sarebbe riuscito a recuperare in tempo per domenica,
anche se forse sarebbe stato costretto a indossare un tutore limitante nei
movimenti.
Naturalmente mentre scorrevano le immagini
la voce fuoricampo dell’ospite continuava a farsi udire:
“Perdere un derby grigio è considerato da
ogni ultras ignominioso, invece una vittoria basta a rivalutare un campionato.
Spesso proprio le formazioni più deboli riescono a quadruplicare le energie
quando si trovano a combattere contro gli odiati cugini ed è proprio quanto è
successo domenica. E poi gli ultras del Doria potenzialmente sono all’altezza
del Genoa. Io quest’anno ho seguito sovente i Pirati e posso assicurare che
quanto a preparazione atletica, coraggio e capacità strategiche non sono secondi
a nessuno. Quanto a mio parere gli manca è la necessaria furia agonistica e quel
pizzico di cattiveria che può permettere di ribaltare un incontro. Cattiveria e
furia agonistica che riescono sempre a trovare nei derby. Per me se i Pirati
riuscissero a mantenere…”
A questo punto l’urlo di rabbia dei Grifoni
sommerse le parole del commentatore.
Poco dopo fu trasmessa l’intervista al
presidente del club del Genoa, Russo. L’uomo era forbito come al solito:
“L’odierna sconfitta ha rappresentato un
mera battuta d’arresto.” -
Sentirono commentare dal loro presidente. – “dettata finanche dal gioco
scorretto praticato dagli avversari, ma ci rifaremo immantinente…”
Stavolta fu l’entusiasmo dei boys rosso-blu
a coprire per qualche momento la voce del presidente, quindi tornarono a udirla.
“…Tanto più che l’Inter non ha saputo andare
al di là del duplice pareggio con il Lecce. Una buona ventura per noi,
considerandola scarsa consuetudine del risultato di parità nel campionato
grigio. Per giunta domenica loro fronteggeranno il derby della madonnina privi
di alcune pedine fondamentali. Il prossimo turno per noi riveste un’importanza
decisiva. Affronteremo lo scontro diretto con la Lazio. Sarebbe indispensabile
vincere per scavalcarla, agganciare l’Inter e riprendere l’inseguimento alla
nuova capolista Atalanta e io sono certo che il meritato trionfo non sfuggirà
ai nostri magnifici ragazzi…”
Il video si restrinse e oscurò. Sergio aveva
spento la trivu.
“O. K. abbiamo visto abbastanza, dobbiamo
lavorare, adesso. Non abbiamo ancora terminato il piano strategico e dobbiamo
anche studiare le vie di fuga dall’Olimpico.”
In sede, quella sera, erano presenti tutti i
capi grifone.
Sergio Papa, vice presidente e comandante in
capo dei guerrieri da ben nove anni, un’eternità nell’ambiente, era alto e
atletico, biondo e con gli occhi di un azzurro così intenso da confondersi con
il cielo. Sarebbe stato un gran bel ragazzo se il naso, rotto già due volte, non
fosse rimasto un po’ storto, guastandone in parte l’aspetto, alle fanciulle però
piaceva ugualmente. Come lottatore era così in gamba da essere l’unico a potersi
permettere di non rasare i capelli a zero o quasi, come facevano tutti gli altri
per non concedere appigli agli avversari, secondo il saggio insegnamento
derivato dalle legioni dell’antica Roma. Era talmente abile nella pugna e
carismatico da non avere, unico anche in questo, neppure bisogno del vecchio
nome di battaglia, Gipeto, ormai concesso a un altro: per tutti, amici e nemici,
era Sergio e basta. Anzi, ancora di più, il suo prestigio era tale che, come
pochi sapevano, il titolo di Papa recentemente impostosi, specialmente tra i
club dell’Italia nord occidentale, per definire il comandante in capo dei club
da battaglia, non derivava in realtà dalla massima carica ecclesiastica, ma dal
suo cognome. In suo onore d’altronde lo stesso termine Papa aveva sostituito
quello vecchio di Gran Grifone nell’indicare il capo banda genoano.
Il suo luogotenente era Jack Allemani, detto
La Cosa, con riferimento al roccioso personaggio dei Fantastici Quattro a cui,
massiccio, possente, muscoloso e privo di collo com’era, assomigliava in maniera
impressionante. E anche il suo carattere suscettibile, irascibile e scorbutico e
la voce bassa e roca ben si accordavano al nomignolo. In onore del mitico
Benjamin Grimm di Marveliana memoria, aveva preso il vezzo di indossare sempre
in battaglia una calzamaglia color mattone a riquadri simil roccia e un
costumino blu. Il carismatico e astuto guerriero, ancora assai giovane, era
estremamente ambizioso e ben deciso a raggiungere la vetta in tempi brevi.
Il primo degli aiuto vice capitano era
Pietro Corigliano, nome di battaglia Mani di pietra, ex pugile dilettante pesi
medio massimi, vincitore di dodici incontri, di cui metà prima del limite, e con
tre sconfitte al passivo. Col suo fisico solido e asciutto era stato considerato
una promessa del pugilato fino a quando non aveva scoperto quanto fosse più
divertente e soddisfacente menar le mani senza regole allo stadio.
L’altro aiuto vice capitano si chiamava
Costantino Remaggi, detto alla latina Res Bellica, per la furia devastante con
cui si lanciava in combattimento. I suoi cortissimi capelli erano fitti e neri,
il volto magro e scavato, il fisico asciutto e scattante. Era mingherlino e
piccolo di statura, meno di un metro e settanta, ma in grado di sopperire ai
limiti fisici con l’intelligenza e il raziocinio. Inoltre in passato aveva
praticato Karatè, diventando cintura nera, ed era esperto di Kung Fu, due
specialità che lo mettevano in grado di stendere facilmente avversari di stazza
anche doppia rispetto alla sua. I suoi limiti erano la mancanza di ambizione e
un eccessiva introversione che gli avevano impedito di scalare ulteriormente i
vertici del comando: aveva raggiunto la posizione attuale grazie all’età e
all’esperienza, ma oltre non sarebbe più andato.
Il segretario era Francesco Franzini, vita
stretta e spalle larghe, detto L’Incredibile Franz, l’unico della gang con un
passato da calciatore di buon livello, in ruoli difensivi, nelle giovanili del
Genoa. Il nome di battaglia, infatti, derivava dai tempi in cui ancora giocava,
alternando match sopraffini a troppo frequenti espulsioni. Purtroppo otto anni
prima, quando aveva diciassette anni ed era alla prima stagione da juniores, un
grave infortunio ne aveva compromesso la carriera. Sergio, riconosciutene le
potenzialità da guerriero, lo aveva convinto a entrare nel Grifone e in cambio
Franz gli era fedelmente devoto e ne era il principale alleato e sostenitore.
Adesso era diventato il massimo specialista del gruppo nell’uso della spranga
imbottita, con la quale era praticamente imbattibile.
Era presente poi Eriberto Novaro, il capo
del sistema logistico e organizzativo, detto Monaco, inteso come Avvoltoio
Monaco. Era dotato di una parlantina inesauribile e di una mente pratica e
ingegnosa, che gli permetteva di inventare sempre nuovi sistemi por fregare gli
avversari. Di media statura e un tempo snello e veloce per quanto glielo
permetteva la spessa struttura ossea, con gli anni si era appesantito fino a
superare i cento chili ma conservava un’agilità insospettabile per uno della sua
stazza. A menar le mani era ancora una forza della natura e sapeva usare assai
bene il maglio elettrico.
C’era quindi Ivan il terribile, alias Ivano
Tortello, un ispido, gigantesco e rozzo bestione dal vocione tonante e
dall’appetito insaziabile, guerriero indomabile che rivestiva il doppio ruolo di
vice segretario e di aiuto capo logistico. Siccome a parte gli obbligatori
copricapo e stemma coi colori del club, vestiva sempre in calzamaglia nera,
alleati e avversari lo conoscevano anche come Macchia nera.
L’elenco dei partecipanti alla riunione era
concluso dal presidente del club del Grifone, Marco Russo, un tempo noto come
Condor, ma non più partecipante al campionato. Il regolamento prevedeva,
infatti, che chi veniva eletto alla presidenza dovesse rinunciare all’attività
agonistica e, di conseguenza, anche al soprannome che mal si adattava ai compiti
di rappresentanza. A essere eletto presidente era generalmente qualche anziano
combattente, troppo vecchio ormai per proseguire la carriera ma gonfio di
gloria. E, difatti, il quarantatreenne Russo era stato, tredici anni prima, il
capo gang di nuova nomina con cui il Genoa, senza alcun favore del pronostico,
aveva vinto il suo primo scudetto grigio di serie b, sbaragliando la ben più
agguerrita concorrenza.
Oltre a costoro, come d’abitudine anche
alcuni dei ‘soldati’ più in gamba e maggiormente distintisi sul campo erano
stati invitati in sede e assistevano, mogi e silenziosi, alle discussioni dei
loro leader. Il ricordo della recente sconfitta non faceva bene allo spirito di
squadra. Perfino Sergio, solito tenere sempre il morale di tutti alle stelle,
pareva demoralizzato: per la prima volta da quando guidava i grifoni aveva perso
entrambi i derby in maniera rovinosa.
La Cosa intuì l’umore nero generale e capì
di dover intervenire. Balzò in piedi e, con un salto degno del vecchio spot
pubblicitario dell’olio cuore, montò sul tavolo vicino. Quindi compì un
rimbalzo, ricadendo rumorosamente sui piedi e facendo tremare violentemente il
tavolo, che per un istante sembrò sul punto di spezzarsi.
“Ma che fai, sei ubriaco?” Brontolò Sergio.
“Ehi!” – Gridò Jack, senza far caso al
commento, non appena vide l’attenzione di tutti concentrata su di lui. – merda
ragazzi, cosa sono questi musi lunghi? Abbiamo perso una partita, e che sarà
mai. Ragazzi. RAGAZZI! Vinceremo il campionato, per dio, e a fine
maggio guarderemo tutti dall’alto in basso. Vero?…” - Si guardò intorno. I
compagni parevano più che altro smarriti. Insistette. – “E’ vero?
Sembrate degli zombie, per la madonna, e solo perché abbiamo preso un po’
sottogamba quei bastardi. Ma noi siamo superiori a ogni altro avversario. E’
vero o no, accidenti?”
“Certo che è vero.” - Gli diede corda, in
mezzo al brusio generale, Eriberto, il primo a riaversi. – Ha ragione lui, non
si reagisce così a una sconfitta. Gliela faremo vedere noi a quei doriani di
merda.”
E intanto che lo diceva si figurava di
prendere il capo pirata in persona e rompergli tutte le ossa a calci. In quel
momento il suo odio e la sua rabbia verso i nemici erano al parossismo.
La Cosa sentì che adesso li teneva tutti in
pugno. Prima di perdere il momento favorevole doveva approfittarne per inventare
qualcosa che li conquistasse definitivamente.
“Distruggeremo ogni avversario, così!”
Tuonò allora, facendo raggiungere alla sua voce roca un tono sorprendentemente
elevato. Quindi l’atletico giovane si piegò sulle gambe e compì uno
straordinario salto mortale verso l’alto e, sulla spinta, si scaraventò a piedi
uniti, con una vera e propria tecnica da arti marziali giapponesi, contro
l’armadio di fronte, sfondandone l’anta e scomparendovi all’interno.
Gli altri sette osservarono la scena a bocca
aperta. Qualche attimo dopo il vice comandante uscì dal guardaroba, ammaccato e
leggermente claudicante ma con aria trionfante.
“Ecco,” – esclamò. – “la Lazio domenica ci
opporrà la stessa resistenza di questo mobile.”
Un grido di trionfo uscì dalle gole di tutti
gli altri, capi o soldati che fossero. Il momento di crisi era superato.
Sergio poco dopo andò a stringergli la mano.
“Bravo Jack.” – Gli disse. – Teatralmente
sopra le righe, ma ci voleva.”
“L’armadio lo ripariamo a tue spese però.”
Aggiunse il presidente Russo a epitaffio della bravata.
Gli organizzatori si rimisero al lavoro
alacremente, decisi a cancellare al più presto l’onta subita, e, in capo a un
paio d’ore tutto fu pronto in vista del match successivo.
“Stasera dobbiamo mostrarci al popolo,
andremo a far casino in giro.” Decise allora La Cosa.
“Ok!” risposero all’unisono l’Incredibile
Franz e Mani di pietra.
“Vieni con noi Res?”
“Guardo un po’” Rispose quest’ultimo,
serafico.
Era il suo modo di dire no. Non amava
mettersi in mostra. Come gli altri era però orgoglioso di essere a capo del club
Grifone da battaglia, l’unico formato non da semplici tifosi ma con il diritto
di partecipare direttamente ai trionfi del Genoa. Unico anzi a offrire trionfi
al Genoa, società in crisi nera da anni.
Nella sua preistoria la società ligure aveva
vinto ben 9 scudetti, arrivando dunque a un passo dalla storica stelletta, ma i
suoi ultras non si sentivano poi tanto convinti quando si vantavano di trofei
risalenti a epoche precedenti addirittura alla nascita dei loro nonni, per
quanto un palmares sia pur sempre un palmares. Certo era irritante dover
continuare a campare sulle glorie passate, quando gli odiati i cugini il
sunnominato palmares se lo stavano ancora costruendo attivamente.
Infine, erano già passate le 23, Sergio
ordinò il rompete le righe e il gruppo poté tornarsene a casa, dopo aver
trascorso in sede più di sette ore filate.
Il presidente abitava a due passi della
sede, con moglie e tre figli. La famiglia lo aspettava e per giunta il mattino
si doveva recare in ufficio, dunque rientrò direttamente. Anche Eriberto non si
poteva permettere di fare tardi; per il suo lavoro di panettiere, che lo
costringeva ad alzarsi ogni mattina prima delle quattro, quell’ora era già notte
fonda. Per fortuna stava mettendo un po’ di soldi da parte, e chissà che presto
non sarebbe riuscito a dimettersi. Quanto a Ivan Tortello, al di là dei suoi
impegni abitava fuori Genoa e per tornare a casa gli sarebbe occorsa un’oretta.
La Cosa, Mani di Pietra e l’incredibile
Franz invece il mattino dopo non avevano nulla da fare e così trascorsero
qualche ora insieme in una birreria di via Luccoli, a far casino, metter
qualcosa sotto i denti e ubriacarsi.
Il locale era caldo e affollato. I tre,
appena entrati, si erano accomodati davanti al bancone ordinando qualche
superalcolico e iniziando subito a tracannare e chiacchierare.
“Sei stato grande oggi, Cosa.” – Disse Mani
di pietra. – “Ci hai ridato l’entusiasmo. Io già non vedo l’ora di tornare
nell’arena. Che potenza c’hai, cazzo. Sei unico.”
“Sciocchezze,” – commentò con modestia
l’interpellato. - “Ho solo cercato di trasmettervi un po’ della mia
convinzione.”
“No, no. È vero, invece, sei forte.” –
Confermò L’incredibile Franz. – “E domenica li demoliamo, quei bastardi di
laziali.”
“Buono questo scotch. Un altro giro,
ragazzi?”
“Sai Cosa, - aggiunse Mano di pietra, in
vena di confidenze, dopo aver trangugiato il terzo whisky – “Io non ho mai
saputo cosa volevo davvero dalla vita. Credo proprio che sono un buono a nulla,
fondamentalmente. Sai, da bambino sognavo di andare all’università e di
diventare medico. Invece non sono nemmeno riuscito a finire le superiori, non
riesco a terminare nessuna delle attività che comincio. Quando ho smesso a
diciannove anni avevo già accumulato tre bocciature ed ero odiato da tutti i
professori.”
“Che ti frega, Pietro. Adesso ai medici il
lavoro glielo procuri, sei nel campo ugualmente, no?” Rispose La Cosa,
ridacchiando.
Mani di pietra aveva gli occhi lucidi e
pareva confuso.
“No, non scherzare Jack. Hai ragione, non mi
posso lamentare, sono stato fortunato, in fondo, e poi te l’ho detto, già non
vedo l’ora di tornare a menar le mani. Volevo solo dire che… ecco, senti, io non
ho mai ottenuto successi nella vita, da nessuna parte. Nemmeno come pugile ero
un granché…”
“Ma se hai vinto dodici incontri.”
“Ma l’ultimo anno ho perso tre dei cinque
disputati e il mio ultimo incontro l’ho vinto solo perché combattevo in casa, ma
ne ho prese un sacco e dopo il verdetto sono uscito tra i fischi. Troppi
sacrifici, vita troppo dura, non avevo sufficiente forza di volontà. Avevo il
pugno pesante, lo sai anche tu, e volendo avrei potuto essere un numero uno, ma
non avevo le palle per fare carriera. Non ci credevo più e ormai erano più le
botte che prendevo che quelle che davo. Il mio destino sarebbe stato quello del
pugile suonato, come in quel vecchio film a episodi, sai, quello con Ugo
Tognazzi e Vittorio Gassman. La mia è sempre stata una vita di merda. Ecco,
volevo dirti che sono felice di avere trovato qui gente con le palle quadrate,
come te, Franz e Sergio, ecco, che sapete farmi sentire vivo. È grazie a voi se
mi sento bene e ho finalmente trovato la mia strada, grazie.”
“Ha ragione Jack, anch’io devo ringraziare
te e il Papa.” – Interloquì l’incredibile Franz. – “Quando giocavo ero pieno di
illusioni e quando mi sono rotto il ginocchio io, beh…”
Per nascondere il rossore Jack si mise a
ridere, sgangheratamente, interrompendolo.
“Ehi, ma mi volete proprio mettere in
imbarazzo stasera voi due?” – Commentò poi. – “Stasera siamo qui per far
bisboccia. Forza, il prossimo giro lo offro io! Baristaa.” MASSIMO BIANCO.
Continua la prossima settimana