Armi di distrazione di massa

Armi di distrazione di massa

Armi di distrazione di massa

 «Quelli che arrivano dall’Africa arrivano perché noi immettiamo nell’atmosfera quantità enormi di anidride carbonica. Provochiamo siccità, sconvolgimenti climatici e costringiamo popoli interi alla fuga». 

Parole testuali di Roberto Formigli, ascoltate il 24 mattina all’“Aria che tira”. La conduttrice aveva introdotto i due grandi temi del nostro tempo, ovviamente “epocali”: il clima e le migrazioni (ci aveva risparmiato, per il momento, il suicidio assistito). 

 


Migrazione di massa

 

Sul secondo avevo fresco nella memoria lo spettacolo umoristico del convegno di Malta, servito solo per un tour turistico di qualche decina fra politici, giornalisti e portaborse, sul primo l’immagine inquietante di quella adolescente-bambina strappata alla scuola, alle fantasie e ai giochi della sua età, che si è convinta di reggere il pianeta sulle sue fragili spalle.

Non me la prendo con Formigli, che non fa altro che far suoi pregiudizi entrati in circolo e assurti a dogmi del pensiero unico; tantomeno con la problematica ragazzina svedese, in difesa della quale non c’è un’anima bella che si mobiliti. Semmai mi piacerebbe vedere un giornalismo un po’ più critico e dei genitori meno disinvolti.

Poi però sposto lo sguardo un po’ più in alto e sento le parole del Capo della Chiesa Universale impegnato a costruire una realtà parallela, nella quale il rifugiato è l’immagine della fragilità e della sofferenza dell’Uomo  e caritas e pietas si incarnano nella figura aspra e decisa della rastata Rachete, summa dei valori dell’Occidente cristiano. La stessa realtà parallela che governi e organismi sovranazionali dipingono avvolta in una nube tossica  e in procinto di essere travolta da un’immane catastrofe creata dall’uomo.

 


Vertice di Malta

 

Non c’è miglior modo per evitare di affrontare un problema che ingigantirlo e renderlo insolubile. In questo caso si raggiungono con un colpo solo diversi obiettivi e si tutelano interessi precisi e concreti. 

In primo luogo c’è la speranza di mobilitare l’opinione pubblica, facendo leva sulla sua componente più manovrabile rappresentata dai giovani, che sono insieme entusiasti, pieni di energia, insoddisfatti e soprattutto sprovveduti. Per questo si è scelto come icona Greta invece di ricorrere a qualche pezzo grosso della comunità scientifica. Il sistema tende all’autoconservazione e teme il cambiamento, tanto più lo teme quanto più lo sbandiera. E  quando oggi nelle democrazie più avanzate, un po’ per il livellamento culturale un po’ per l’impoverimento dei ceti produttivi, gli equilibri sociali sono diventati estremamente instabili e si alza la marea della protesta che ha travolto dopo i democratici americani i laburisti inglesi e ora minaccia tutto l’establishment europeo, quel sistema deve correre ai ripari . Nella sua ultima metamorfosi esso può sopravvivere solo sottomettendo l’economia reale a quella virtuale, il capitale industriale a quello finanziario, le economie nazionali a quella globale e, inverando il buon vecchio Marx, trasformando la politica in un docile strumento delle banche d’affari e delle agenzie di rating. Non è bastato creare un quadro di valori, un’ideologia che sottomette la natura alla cultura, inventa la questione gender, esaspera il femminismo, porta al centro il sesso politicizzato, incoraggia l’uso di stupefacenti, focalizza l’attenzione sul diritto al suicidio e alla dolce morte (che nessuno ha mai seriamente contestato); ci voleva qualcosa di più forte: qualcosa capace di spaventare, non un generico catastrofismo ma la puntuale e ostentabile minaccia dei cambiamenti climatici.

 


Greta

 

E in più bisognava rompere l’alleanza all’interno dei ceti produttivi fra dipendenti e imprenditori, distruggere la persona del lavoratore riducendolo a forza lavoro deprezzata con la massiccia importazione di braccia dal terzo mondo, invocando spontanei e irrefrenabili flussi migratori determinati non solo da guerre inesistenti, da persecuzioni di fantasia ma da una catastrofe ambientale che avrebbe colpito il centro Africa. E a questo punto una bufala si salda con l’altra.

Un fiato d’aura maligna, scriveva il poeta recanatese, può spazzare via la vita dal pianeta e un capriccio nell’attività della nostra stella può incenerirlo in un istante. Questo per chi indugia in fosche previsioni; ma non c’è un anno nella storia millenaria dell’umanità che non si siano verificati eventi terribili per impercettibili aggiustamenti delle masse sulle quali poggiano i nostri mari e le nostre terre, per eccesso o per difetto di insolazione o di evaporazione, e quando accadono si rende evidente la sproporzione fra le forze della natura e il potere dell’uomo. L’antropizzazione è un fenomeno tutto sommato superficiale: basta qualche anno di abbandono e la natura riprende possesso di se stessa. Perfino le ferite più profonde che l’uomo ha inferto all’ambiente con gli esperimenti nucleari, con l’uso dissennato di materiali (relativamente) non degradabili o con l’annientamento di centinaia di specie animali si riparano in un battito d’ali. Se l’uomo riesce a tirare un sasso sulla luna o su Marte l’ordine cosmico non ne viene certo compromesso: almeno fisicamente siamo una nullità nell’universo.

 


Importazione di braccia dal terzo mondo

 

Detto questo custodire il giardino di casa rimane un compito e un dovere fondamentale, un compito che richiede attenzione alle scelte urbanistiche, al decoro e alla vivibilità dei centri urbani, all’aria che respiriamo, alla possibilità di intessere relazioni sociali significative e di condurre uno stile di vita sano. Il petrolio è una fonte di energia economica che ha fatto la fortuna di Paesi che hanno saputo trarne profitto. Sicuramente è destinata all’esaurimento ma per ancora molto tempo rimarrà quella più conveniente e a portata di mano anche se vi  sono buoni motivi politici per spingere alla ricerca di fonti di energia altrettanto economiche. Qualunque esse siano, o saranno, l’impatto sull’ambiente è inevitabile ma è anche funzione diretta dei comportamenti umani. Se intorno ad una raffineria, dove il costo dei terreni è inevitabilmente basso, la speculazione edilizia, piccola o grande, porta alla creazione di un villaggio che cresce fino a diventare città, inquinamento e problemi per la salute delle persone non possono essere imputati al petrolio ma all’avidità umana; lo stesso accade con gli aeroporti o con un mangimificio, che, come tante altre attività umane, non sono compatibili con insediamenti residenziali. Il problema dell’ambiente non si riduce poi alle polveri sottili o al tasso di anidride carbonica: c’è lo sfregio al paesaggio delle pale eoliche e del fotovoltaico – senza dire del malaffare che vi sta dietro – e quello annoso delle periferie che tanti anni fa denunciava Antonio Cederna, testimone inascoltato di uno scempio cresciuto in modo esponenziale. 

 


Antonio Cederna

 

Non riesco a scrollarmi di dosso il sospetto che quando delle idee giuste che di norma fanno fatica a farsi strada improvvisamente sono accolte da tutti, enfatizzate dai media e assurte al rango del Verbo, della Verità Rivelata anche in ciò che contengono di discutibile, ci sia qualcuno che se ne serve per abbindolare la politica – quella in buona fede – e i cittadini comuni. Il mercato dell’auto è saturo e l’industria automobilistica, che per molti Paesi, come la Germania, è quella trainante, dà chiari segni di sofferenza. La pubblicità martellante e la continua immissione di nuovi modelli non bastano più: occorre qualcosa che spinga a cambiare il parco macchine, a rottamarle tutte e sostituire i motori a benzina, diesel o a gas con vetture elettriche. Se il piano riuscisse sarebbe un colpo fantastico per i costruttori che si sono piazzati in pole position nell’affare. Qualcuno ha studiato quale sarà l’impatto sull’ambiente e sulla sicurezza non di una trascurabile percentuale di vetturette per lo più urbane ma di decine e presto centinaia di milioni o un miliardo di auto a batteria, che devono essere ricaricate e a fine vita smaltite, a giro per strade e autostrade del pianeta?

Quello della mobilità privata è un paradosso rivelatore dell’ipocrisia dei media e dei politici. Da un lato, parlo per l’Italia, il 90% della popolazione vive in agglomerati urbani che comportano distanze non percorribili a piedi per le necessità della vita quotidiana – lavoro, studio, divertimento –  e non ha a disposizione mezzi pubblici adeguati; le piste ciclabili sono una risorsa finché in bicicletta non ci va quasi nessuno, incoraggiare il ricorso allo scooter, pericoloso e inquinante più delle auto, sarebbe demenziale, quindi l’auto resta una soluzione obbligata. Con tutto ciò si pretende di colpevolizzare il povero cittadino che dovrebbe lasciare l’auto sotto casa o in garage. E contemporaneamente dagli stessi media e dagli stessi politici escono alti lai per la crisi dell’industria automobilistica tedesca, che si ripercuote sulle aziende italiane ad essa legate. Insomma il messaggio che si ricava è:  l’industria automobilistica va rilanciata se non vogliamo che la Germania, seguita a ruota dall’Italia, vada in recessione; ergo, comprate auto, ma non le usate, comprate benzina e gettatela via (senza inquinare). Se ne scoraggia l’uso ma se ne incoraggia l’acquisto perché se ci fosse per davvero un abbattimento brusco della circolazione automobilistica e una drastica diminuzione nel consumo di carburanti sarebbero guai per le finanze dello Stato, per l’occupazione e l’economia tutta.

 


Il Ministro Fioramonti

 

In Italia non si è stati capaci di realizzare un piano razionale per la sistemazione delle acque interne che restituisca la navigabilità ai grandi fiumi, li renda fruibili per la balneazione e la pesca senza rischi per la salute, alleggerendo così anche la pressione turistica sulle coste marine; in Italia ci si è impantanati nello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, si è lasciato che i parchi  cittadini diventassero rifugi per tossici, dormitori per clandestini e nella migliore ipotesi sgambatoi (latrine) per cani. Poi parlano di sensibilità ambientale. Abito in una città ininterrottamente amministrata dalla sinistra (vi includo la parentesi grillina) dove già all’indomani della cosiddetta liberazione i compagni misero gli occhi sul maggiore parco cittadino, se ne impadronirono e lo trasformarono in area edificabile e proseguirono dimezzando la piazza d’armi intitolata al primo re d’Italia piazzandoci in mezzo un enorme, pretenzioso e inutile edificio,  distruggendo l’altra simbolo della città, quella che fu teatro della sollevazione antiaustriaca del 1849, e dopo un’altra serie di sfregi al patrimonio urbanistico procedettero  alla sistematica devastazione delle colline riempite di villette per portuali arricchiti. Sono gli stessi che spargono fiumi di retorica sulla salute del pianeta, sui cambiamenti climatici, sui “fenomeni estremi”. 

Sviare l’attenzione dai problemi reali: l’invasione, che ci costringere a mantenere di tutto punto centinaia di migliaia di nullafacenti e cedere quartieri interi delle nostre città a spacciatori e prostitute, la sicurezza, la pressione fiscale che schiaccia gli stipendi e le pensioni di quella che una volta era la piccola borghesia, la scuola, alla quale Renzi ha inferto un colpo mortale. A questo proposito avevo duramente stigmatizzato la scelta di uno sconosciuto, Bussetti, per il ministero della pubblica istruzione. Avevo previsto, era una profezia facile, che nel miglior dei casi non avrebbe fatto nulla, e così è stato. Ora i giallorossi ci hanno messo Fioramonti (chi?) che si è fatto vivo prima con la barzelletta della tassa sulle merendine per pagare gli insegnanti poi aggregandosi al gretinismo e uscir fuori con l’idiozia di giustificare le assenze per partecipazione a manifestazioni per l’ambiente e infine col colpaccio di togliere il crocifisso dalle aule.

Questa banda di politicanti, dal centro alle periferie, sragiona sui massimi sistemi e non sa cavare un ragno dal buco perché non ha idee, non ha ideali, è incapace di elaborare un progetto serio, nasconde dietro proclami roboanti la propria incapacità e la strenua difesa dei propri privilegi.

 

Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione

 

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