Apple, il museo nascosto

 
Apple, il museo nascosto

 
Apple, il museo nascosto 

 Ieri sono stata a visitare il museo Apple, molto incuriosita a dire il vero, dato che ho sempre bazzicato il mondo informatico, per lavoro e per diletto, fin dai primordi, anche se da semplice profana e brutale utilizzatrice. Ricordo i grandi cervelloni a schede perforate dove si caricavano programmini in basic, ai tempi dell’università, i mega computer che occupavano stanze intere, i terminali, le stampanti a modulo continuo.  Il commodore 64 con i giochini e i primi esempi di video scrittura, poi i portatili, e il sistema operativo windows, le cassette grandi le cassette piccole  i floppy disk i dischetti  i minidischetti i cd, i mouse, e poi la posta elettronica, e poi Internet dei primordi…


Insomma, un bel viaggetto più che trentennale con cambiamenti epocali e vertiginosi, di funzionalità, dimensioni, hardware e software, velocità e programmi. 

In tutto questo Apple ha avuto la sua grossa parte: molti settori dei laboratori di ricerca dove lavoravo utilizzavano i mac, e anche quando fu imposto windows, da loro sprezzantemente ritenuto una imitazione, continuarono a usarli, così anch’io ci pasticciai qualcosa.

Trovandomi in darsena, e da lì dovendo poi rientrare in città, sono andata a curiosare, mettendomi nei panni di un crocerista.

Informazione e promozione non delle migliori. Solo un’insegna come si deve col logo della mela ben in vista, appiccicata al palo di un  cartello stradale abbastanza defilato, puntava nella direzione giusta, le altre indicazioni erano fogli A4 stampati bianco e nero, museo Apple  più la freccia, appiccicati con lo scotch come nelle cacce al tesoro dei compleanni dei bambini.

Indicazioni poco visibili anche sulle vetrine del museo, ci si arriva per intuizione, scartando un centro estetico sulla sinistra della piazzetta rialzata.


Il cartello sulla porta mostra gli orari e precisa che il museo è aperto solo nei giorni in cui ci sono le navi da crociera. C’è da chiedersi: per scelta? Per scarsità di fondi o dubbi che gli indigeni o i turisti non croceristi possano avere interesse?

Almeno, ci si chiede, sarà adeguatamente pubblicizzato sulle navi o al terminal crociere, visto che non lo è altrove?

Il museo è gestito dalla onlus “all about Apple”.

Il biglietto senza riduzioni costa 7 euro, non economicissimo. La locazione è piacevole, con vista sul porto e ampie vetrate.

Allestimenti semplici ma efficaci, cartelli di spiegazioni e un po’ di storia. Parecchio materiale, forse meriterebbe di essere sviluppato su spazi più ampi. 

In bella vista dei nomi, ad alcuni sono anche dedicati dei computer, si tratterà di chi, con donazioni in denaro o in pezzi, avrà contribuito al museo.  Anche nomi di ditte che hanno sponsorizzato, fra cui ovviamente anche Costa.

Il viaggio è suggestivo, sia per  la curiosità di alcuni pezzi esposti, come l’insegna originale Apple degli anni ’70,  sia per i molti pc accesi e gli apparecchi con i quali è possibile interagire, dialogando, giocando, provando la tastiera.


Molto gentile e simpatico il responsabile dell’allestimento e presumo ideatore del museo stesso.

In definitiva, è una bella cosa aver spostato questo museo particolare, dicono unico nel suo genere, da Quiliano alla Darsena, dove può avere maggiore visibilità. A patto che poi qualcuno si sforzi di migliorare le indicazioni e la pubblicità.

Giusto abbinarlo all’offerta per i croceristi. Ma non in esclusiva! Non dovrebbe essere visto come una sorta di piccolo gadget, una curiosità minimale, è  uno sminuirlo in partenza. Benché quando ci siamo entrati noi si fosse in pieno sbarco, il museo era vuoto, e il biglietto staccato il primo della giornata. Del resto nessuno, nel tragitto dalla nave in città, passa su quella terrazzetta, a meno che non vi sia indirizzato in modo esplicito. Non è punto di transito, e bisogna tenerne conto.

Allora? Allora, come al solito, permettetemi il consueto mugugno.  Molto è affidato all’impegno, all’iniziativa, alla buona volontà dei singoli,  e anche quando miracolosamente se ne prende atto e si dà seguito, è sempre difficile portare sino in fondo l’impegno, raccoglierne i massimi frutti possibili, studiare come valorizzare al meglio. Sembra che una volta messi i locali e dati i contributi, tutto finisca lì. E ancor grazie che perlomeno si faccia qualcosa.

Non sarebbe poi improbo né particolarmente costoso: basterebbe un po’ di buona volontà e il guardarsi attorno, studiando come hanno fatto altre realtà di successo, culturali, turistiche o altro, a ottenere i migliori risultati dalle grandi come dalle piccole cose.

Il sospetto malizioso (sicuramente infondato) che viene in questi casi è che si faccia tanto per fare, senza avere piena coscienza delle potenzialità e piena volontà di andare fino in fondo.


Sarà un museo di nicchia, ma originale e particolare, qualcosa di cui essere comunque fieri, al passo con i tempi, e non va sottovalutato  Può essere il punto di partenza per studiare ampliamenti, diversificazioni, nuovi allestimenti, iniziative collegate e sinergiche, magari con l’università o altro.

Può diventare un gioiellino per Savona.  Può essere qualcosa su cui riflettere e puntare. Apple è marchio famoso, Steve Jobs è entrato nel mito,  e se tutto quello che è marchiato i-qualchecosa produce lunghe code fuori dai negozi,  manda in delirio gli acquirenti,  non ci viene il dubbio che forse potremmo ottenere maggiore risonanza, anche fuori Savona?

O forse il dubbio è:  ne abbiamo la capacità, l’immaginazione, l’intenzione?

Siamo sicuri che alla fine quella collocazione nella darsena sempre semi vuota e  a volte spettrale, fra vetrine spente e attività abbandonate o dal rapido ricambio o mai decollate, animate solo dal breve percorso di croceristi distratti, anzi leggermente fuori mano persino da questo percorso, non sarà alla lunga una scorciatoia per il dimenticatoio, a meno che non ci inventiamo qualcosa per renderla vincente?

Intanto, continuando il percorso croceristi, all’altezza del ponte veniamo accolti da venditori improvvisati  di ombrelli (con sole pieno similestivo) e cucitrici. Chissà perché, cucitrici. Mah…


Unica idea furba due promoter che distribuivano piantine col nome di una farmacia. Almeno quella i suoi affari li sa fare.

Imboccando via Paleocapa. sul lato sinistro dando le spalle alla Torretta, il primo impatto sono alcuni orrendi negozi di cianfrusaglie e souvenir fabbricati chissà dove.

Ma non sono gli unici elementi a dare un senso, come dire, di suk senza neanche il folclore collegato.

Benvenuti a Savona, città dove le idee ci sarebbero, sì, e promettenti anche, e le prospettive pure, ma piuttosto confuse.

O confusi coloro che le dovrebbero realizzare. 

  Milena Debenedetti 

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