Ancora su La grande bellezza di Paolo Sorrentino

Ancora su  La grande bellezza
 di Paolo Sorrentino

Ancora su  La grande bellezza di Paolo Sorrentino

Il film di Sorrentino è entrato in una delle 5 nomination degli oscar, e il 2 Marzo del 2014 potrebbe risultare il vincitore della ambitissima statuetta: come miglior film straniero.

La grande bellezza sta suscitando in Italia  molti interventi critici, anche popolari, sia via web che sui giornali, essi brillano per gli accesi contrasti e le violente, passionali polemiche.

I giudizi negativi non vertono  sulla qualità tecnico-professionale della pellicola che è comunque  giudicata,  con una forte dose di obiettività, come un’opera vivace e  ben orchestrata sia dal punto di vista del rispetto dei canoni estetici cinematografici che del soddisfacimento del gusto sul genere, quello più facilmente sondabile.


 

La critica più aspra viene fatta  sull’ambizione che traspare qua e là tra le righe delle interviste allo staff produttivo, legata ad una supposta intenzione di  voler posizionare il film, con l’ausilio dei media culturali, su un piano di competitivo confronto con i miglior film drammatici del cinema italiano, ad esempio La dolce vita, Cinema paradiso, etc.

Secondo alcuni colti detrattori del film, a questa opera di Sorrentino per essere grande mancherebbe   l’originalità degli argomenti messi in campo, sia per quanto riguarda le loro forme espressive sia per i contenuti.

In effetti agli spettatori,  sia durante la proiezione che dopo, non può non venire in mente La Dolce vita, con tutto ciò che ne consegue in termini di ricordi  e  pensieri, a suo tempo associati o fatti  su quel  film di Fellini. Ad esempio rammentiamo che  il protagonista su cui ruotavano i coinvolgenti racconti di quel film, era un giovane giornalista mondano, romano, interpretato da Marcello Mastroianni, così come la stessa cosa accade, seppur con qualche secondaria variante, nel film La Grande bellezza.

Nel film di Sorrentino il giornalista mondano è  Jep Gambardella, più che maturo, osservatore filosofico della mondanità di Roma e critico del costume sopratutto là dove esso evoca la voluttuosità dei sensi di dantesca memoria.  

Inoltre come ne La dolce vita i personaggi, spesso raffinati, appartengono per lo più a classi borghesi o nobili molto colte, cinicamente un po’ viziose, volubili, annoiate e oziose, che interpretano tutto ciò che di negativo accade fuori di sé freddamente senza sentirsene minimamente responsabili, come se il male riflesso da un’altra fetta dello  specchio sociale non li riguardasse, mostrando quindi con le buone maniere verso i perdenti solo una gelida solidarietà.  


Ceti colti presi principalmente dal piacere di essere filosofi accidiosi, commentatori eruditi e autoironici della loro stessa decadenza morale ed esistenziale.

 Ceti di rango alto che scrutano le cose da un punto di vista osservativo privilegiato protetto dalla invasività esterna con l’automatismo della diffidenza, un punto di vista sorretto da piccoli poteri e da una rispettabilità acquisita per eredità. Aristocratici di un genere immortale che non si fanno coinvolgere da persone appartenenti ad altri classi sociali se non per farne oggetto di spettacolo o per usarne narcisisticamente  l’identificazione fascinosa che la  loro vita bella e scandalosa di aristocratici suscita.

Le somiglianze con la Dolce vita sono dunque tante e non finiscono qui. Come nella Dolce vita anche ne La Grande bellezza, tra le euforie della vita mondana più sfrenata nasce  all’improvviso un dramma,  suscitato dalla morte violenta di un giovane, dovuta ad una crisi esistenziale familiare che non dava più senso alla vita né piaceri scaccia pensieri.

Un film dunque quello de La grande bellezza che appare per qualcuno come già visto, ossia un racconto che osserva un certo costume mondano di Roma scrutato da posizioni già battute, quindi rappresentativo  di prospettive divenute già abituali suscettibili solo di un certo perfezionamento visivo e verbale alla luce del lungo tempo trascorso.

Per questi critici perciò La grande bellezza   non può essere un grande film,  secondo  loro Sorrentino si limita semplicemente, dopo 53 anni, e seppur con un’opera di lunga articolazione visiva ricca di varianti sceniche di gran gusto, ad aggiornare  i dati della vita mondana e di pensiero della gente che a Roma conta di più, forse la stessa gente che nel periodo della Dolce vita pur essendo molto giovane  già faceva in qualche modo parte, come famiglia, dei soggetti tipo del film di Fellini.

La grande bellezza per i suoi detrattori è una sorta di seconda edizione de La Dolce vita basata su un’idea di base costitutiva, non propria.


Ma, secondo altri, il film di Sorrentino è da considerarsi un vero capolavoro, sia per il ricchissimo bagaglio estetico, artistico, fotografico, che tesse tutta la struttura del film  creando una vera e propria maglia dorata punteggiata di diamanti – aspetti essenziali e assolutamente non di facile realizzazione costruiti con la grande espressività degli attori e le bellezze architettoniche di Roma  ben abbinate agli infiniti e diversi suoi  tesori –  sia per la drammaticità, assai credibile che esprimono i personaggi del film, che nasce e si manifesta nella vita stessa del loro piacere decadente, e si piega ad un certo punto verso una malinconia irrimediabile e lucida che produce pensieri filosofici, letterari, etici e moralistici sferzanti di grande autenticità.

I personaggi di questo film  possono risultare troppo fascinosi, oppure odiosi e repellenti ma sono sempre altamente comunicativi, essi mostrano al pubblico con grande chiarezza  quello che sono veramente nel più intimo denudando con l’autoironia  anche debolezze, insoddisfazioni, frustrazioni, che risultano per buona parte del film di insospettabile presenza.

Secondo i sostenitori più accaniti de La grande bellezza, Sorrentino si è mosso nella sceneggiatura e nel pensiero che essa racchiude, nella più completa autonomia, intercettando, per quanto riguarda alcuni aspetti argomentativi, il film di Fellini La dolce vita del tutto casualmente forse per una sorta di affinità artistiche misteriose che caratterizzerebbero storicamente i due registi italiani.

Biagio Giordano

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