Alla ricerca dei Ragazzi del ‘68

Alla ricerca dei Ragazzi del ‘68 
Mentre gli ingrati del benessere francese di De André cantavano il disordine dei sogni e bruciavano Peugeot e Citroen sui Champs Elysées, per tanti loro coetanei che vivevano in provincia…

Alla ricerca dei Ragazzi del ‘68

  Mentre gli ingrati del benessere francese di De André cantavano il disordine dei sogni e bruciavano Peugeot e Citroen sui Champs Elysées, per tanti loro coetanei che vivevano in provincia, e più precisamente in questo caso, in quella di Savona, il disordine dei loro sogni veniva provocato quasi esclusivamente, specialmente d’estate, da un numero sempre più elevato di giovani donzelle straniere che cominciavano a riversarsi sulle patrie contrade. L’eco lontanissimo delle manifestazioni, anche violente, nelle città Europee lambiva a malapena le coste nostrane e si fermava, se per caso percepito da pochi, fuori dalla porta dei bar, dove dominavano gli argomenti riguardanti le donzelle appunto, nonché l’onnipresente campionato di calcio. Le tematiche toccate da questa rivoluzione culturale risultavano non pervenute. Neanche nelle aule delle scuole medie superiori, dove insegnanti sorpresi dagli eventi -a parte rarissimi casi di rivoluzionari, peraltro emarginati- ignoravano semplicemente ciò che succedeva nel resto dell’Europa e reclamavano per sé stessi qualcosa che si può definire ‘Immunità allo sviluppo culturale’.


Il Ponente Ligure stava vivendo, per così dire, il preludio al ‘grande benessere’ portato principalmente dal turismo e dall’edilizia. E dal totale disprezzo di regole o anche dalla mancanza di tali. Non c’era spazio per eventuali riflessioni su una possibile riorganizzazione dell’odine sociale, incluso il rapporto fra forza di lavoro e capitale, oppure una più liberale veduta dei rapporti umani. Compresi quelli sessuali. Processo, come sempre, fortemente osteggiato dall’unico vero potere esistente: La Chiesa Cattolica. ‘Bianco Padre che da Roma ci sei meta, luce e….rimbombava puntualmente nelle nostre capocce di ex soldatini di Azione Cattolica qualvolta si cercava di intonare Bandiera Rossa. E così la nostra rivoluzione si riduceva ai sermoni di Giustino, che al Bar Sport di Villanova sciabolava sentenze rivoluzionarie dall’alto dei suoi cinque anni di immatricolazione alla facoltà die Economia e Commercio di Pavia. Ben è stato l’unico vero amico che riuscì a sopportare le mie bizze di orientamento politico fino alla sua morte, pochi anni fa. È stato anche lui l’unico che doveva per forza vergognarsi ogni volta che veniva meno ai dogmi rivoluzionari, dopo essere inciampato in qualche favore fatto o ricevuto, senza rispettare le regole.


Lui forse uno dei pochi a rimanere principalmente fedele alla sua linea ‘rossa’ vissuta con riflessione e forse anche con un po’ di sofferenza. Scomodo per noi meno ‘ortodossi’ e sempre propensi a fare uno strappo alle regole. Fu anche per questo che Ben ed io non trovavamo mai un comun denominatore sulle tesi di Jean-Jaques Servan-Schreiber per un possibile nuovo ordine economico, basato su una evoluzione più dinamica dell’economia ed anche sulla partecipazione della forza lavorativa alla proprietà per una possibile gestione delle aziende in comunione con il capitale. Io sostenevo che ciò fosse possibile, mentre lui rimaneva rigido sullo ‘status quo’ di un rapporto di confrontazione costruttiva, ma niente di più, fra sindacati e management. La Bibbia di JJSS in merito: ‘La Sfida Americana’ la comprai alla Stazione Centrale di Milano durante il viaggio di ritorno dalla mia prima stagione invernale in un Hotel di Grindelwald. Ben ed io cercammo di coinvolgere alcuni amici nello studio della Bibbia, ma con scarso risultato, essendo questi in gran parte rampolli di ‘buona famiglia’ e cioè benestante e bigotta, che vedevano il loro interessamento alle tesi della ‘rivoluzione’ principalmente come un atteggiamento ‘bohemien’ per farsi interessanti. Insomma quei pochi giovani rivieraschi che si erano avvicinati, magari con timore, a questa rivoluzione, erano più che altro interessati a ciò che annunciava Oswalt Kolle sulla libertà nei rapporti sessuali e sulla chimera di una vita nella ‘comune’.


È però decisamente azzardato arrivare ad immaginarsi -almeno a quei tempi- un gruppo promiscuo di giovani che si affitta uno spazioso appartamento ad Albenga, Finale Ligure oppure Borghetto Santo Spirito e ci va ad abitare. Tutti soli, senza l’aiuto di mamma, nonna o zia. E fu così, come se ci fossimo dati appuntamento, che un manipolo di coraggiosi, la verità sul disordine dei sogni andò a cercarla all’estero. Ben mi seguì ad Amburgo, dove rimase un anno, riuscendo a fare tutto con malumore, anche come mio testimone di matrimonio, sigillando il suo compito con la frase: ‘Con questa firma mi vendico di tutto il male che mi hai fatto’ davanti ad un allibito funzionario del Comune di Amburgo. Continuò a cercare in Corsica e in diverse parti d’Italia il bandolo della matassa liberatrice, per poi finire a Milano a snocciolare una vita niente male, ma borghese, sempre con il dubbio dell’incompiuta, sulla falsariga di: ‘Storia di un impiegato…e di una bomba’. Ne trovai altri, in giro per il mondo, di fuoriusciti rivieraschi in odore di ‘ex sessantottini’. Stranamente tutti con simili caratteristiche: Molto integrati nelle realtà dove vivevano, sia in Germania, che a Londra, in Spagna o Belgio, posti che visitavo regolarmente per lavoro. Molto aperti di vedute sociali e riservati nel privato. E poi quasi esclusivamente non in rapporti di lavoro dipendente, ma imprenditori o liberi professionisti. Una situazione completamente diversa dagli altri connazionali incontrati sul mio cammino. Altra cosa singolare: Quasi nessuno di quelli con cui ho mantenuto contatti, seppur blandi, è tornato definitivamente in Liguria dopo il ritiro dalla vita lavorativa, in barba alle nostalgie di ..ma se ghe pensu.


Il comportamento di questi Liguri all’estero, è stato molto simile tra di loro, senza essere fondamentalmente influenzato dal modo come le diverse nazionalità, con le quali avevano condiviso questa rivoluzione culturale, avevano vissuto la stessa. Prendiamo per esempio gli inglesi, con i quali ebbi molto a che fare a patire dal 72’: Parti sociali ben distinte che, se per caso, si incontrano nei Pub si danno del Tu ma nello stesso tempo una parte di loro aggiunge un ‘Yes Sir’. A me è sembrato che oltre a non averla percepita, la rivoluzione non la hanno mai considerata accettabile, perché proveniente dal ‘Continent’ e così, per niente ‘Very British’. Attributo che si guadagnava però uno sciopero di tre giorni degli addetti allo smistamento bagagli dell’aeroporto londinese di Heathrow perché i nuovi guanti dati loro in dotazione non erano esattamente quelli richiesti, anche se avevano le stesse caratteristiche. Very British era anche il fatto che il management aveva preso questa decisione semplicemente per ripicca, cioè per non apparire ricattabili. Dopo questo periodo poco brillante della storia Inglese arrivò Maggie Thatcher, che privatizzò praticamente tutto, con gli addetti allo smistamento bagagli che lavoravano anche senza guanti, e la metà del management a raccogliere timbri all’ufficio di collocamento.

I miei nuovi concittadini, i Tedeschi, invece hanno vissuto questa esperienza forse nella maniera più intensa di tutti gli Europei. Con la coerenza e la testardaggine che li distingue sono riusciti a vivere la rivoluzione culturale nel modo più diverso ed estremo senza andare alla deriva civile ed economica: Con la Baader Mainhof, che scrisse le pagine più sanguinose del dopoguerra, che faceva a gara con le meraviglie del ‘Witschaftswunder’ per occupare le prime pagine. Con i radicali moderati (ai quali appartenni per un po’ anch’io) che sì, fecero il bagno sotto gli idranti della Polizia nelle piazze, ma nello stesso tempo apportarono un rinnovamento di idee nella società, all’interno delle aziende, delle università e anche dei sindacati. Una delle ragioni per cui la Nazione sì è sviluppata rapidamente ed in armonia, cavalcando i risultati economici brillanti con la partecipazione di tutti i ceti sociali, grazie al carisma dell’idealista Willy Brandt, del pragmatico Helmut Schmidt e forse anche alla testardaggine di Helmut Kohl. I sindacati avevano colto la palla al balzo scendendo a compromessi su certe clausole dei contratti, ottenendo in cambio un posto al tavolo di comando delle aziende. Questo sviluppo in verità così armonioso ha lasciato poco spazio per gli ostinati ortodossi della rivoluzione. Spazio usato principalmente con ostentazioni ribelli: Capelli lunghi, aspetto volutamente dimesso e sfruttamento ossessivo del benessere di origine statale, come ad esempio sussidi e facilitazioni di ogni tipo, da molti considerati placebo, somministrati per tenerli a bada nel cammino ‘Neuliberal’ intrapreso dai governi comandati dai Cristianodemocratici fino ai giorni nostri. Sussidi che hanno però evitato l’impoverimento di una parte della popolazione, che se lasciata in balia di sé stessa avrebbe causato scompensi molto più gravi che il mero impegno economico dei sussidi elargiti.


Per non tradire definitivamente le vecchie idee innovatrici basate sulle tesi di JJSS, provai anch’io, non appena diventato imprenditore alla fine degli anni ’70, di impostare l’azienda su un binario dinamico di gerarchie e partecipazione dei dipendenti. Il risultato fu più che deludente, che si può racchiudere nella reazione della mia migliore collaboratrice, per di più dichiaratamente di sinistra: ‘Capo, le sue belle idee mi interessano poco. Per il mio lavoro altamente qualificato chiedo un salario altrettanto alto, e sicuro. I suoi giochetti di partecipazione parziale a successi e insuccessi le lascio volentieri a lei’. Una reazione che mi aiutò a consolarmi del fatto che dovevo rassegnarmi ad abbandonare un progetto, quello di una cultura economica con più componenti sociali come partner attivi. Progetto, che almeno in generale non ‘voleva’ funzionare.

E quelli che erano rimasti?… in Riviera voglio dire.  Quelli che la rivoluzione l’avevano solo spiata, oppure capita ma a priori ripudiata? Non ne ho ritrovato molti. Alcuni, di questi pochi, si sono intestarditi alla caccia delle chimere radicali, rifiutandosi di accettare la realtà, come Giustino, morto di noia al Bar Sport quando la povera eredità della madre era finita, ed i debiti del fratello minacciavano di sommergere anche lui. Oppure i rappresentanti dei ‘Ribelli a pagamento’ che approfittavano del boom economico, inveendo a priori contro i maledetti Capitalisti. Gli altri sono invecchiati a braccetto con la loro borghesia, magari in qualche caso, con espressioni ostentatamente progressiste e se possibile con la classica spruzzatina di cultura. Politicamente autoemarginati, nascosti dietro un qualsiasi simbolo di comodo, possibilmente a Km 0. Spina dorsale di una società amorfa e pericolosamente approssimativa, concentrata sul proprio ombelico, cercando di approfittare di un’economia sempre a rischio di ‘commissariamento’ basata sui risparmi del periodo miracolato, sulla frode camuffata e sull’inefficienza delle istituzioni.

Paolo Bianco

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