A proposito di Montanelli…

Note a fondo pagina
Faccetta nera, bell’abissina …
(A proposito di Montanelli)

Note a fondo pagina
Faccetta nera, bell’abissina …
(A proposito di Montanelli)

 Interrompo il discorso a puntate sulla post-verità per confrontarmi, dietro invito di amici, col caso Montanelli. Il tema verità/BUGIA è comunque sempre presente, per cui in realtà non mi allontano poi del tutto. L’articolo ė un po’ lungo e me ne scuso.

Il dubbio su Montanelli mi nacque 4 o 5 anni fa, quando per motivi che qui poco interessano, mi imbattei nel diario di una maestra, che, con la motivazione di trasferire testimonianza di memoria ai suoi figli, aveva fatto un resoconto della vita quotidiana che, nel periodo che va dagli anni trenta alla fine della seconda guerra mondiale, si sviluppava all’ombra delle ben note vicende politiche. In particolare, nella previsione che la storia potesse portare un’amnistia generale, la previdente sentinella aveva ritagliato vari articoli di giornale e li aveva allegati al suo manoscritto. Fu allora che spalancai gli occhi per lo stupore, dinanzi all’esaltazione di Hitler, e non solo di Mussolini, parte di colui che ero abituata a sentir definire “il padre del giornalismo” italiano, che sapevo divulgatore di storia, e che avevo ammirato per la sua professione di laicismo, in un periodo di bigotti. L’autrice del diario aveva idee chiarissime e affatto benevole verso il futuro “grande vecchio”.


Ora, nel mio immaginario morale, un giornalista che abbia inneggiato a Hitler, esattamente come uno che abbia inneggiato a Pinochet, constatate ex post cosucce come le leggi di Norimberga, la deportazione e l’Olocausto, dovrebbe passare il resto della sua vita a pentirsene, anziché scrivere nel 1996 a Priebke, condannato allora a 15 anni, per il ruolo avuto nell’eccidio delle Ardeatine (l’ergastolo e la concessione dei domiciliari sarebbero venuti dopo): “signor Capitano, da cittadino italiano non posso certo compiacermi per una sentenza insensata”. Montanelli fece suo lo stesso criterio difensivo utilizzato da molti boia nazisti: obbedienza agli ordini, senza nemmeno considerare i particolari per cui quella rappresaglia andò oltre la legge di guerra. Dal 45 al 96, molta riflessione etica aveva segnalato che, per dirla con don Milani, l’obbedienza non era più una virtù, si era celebrato il processo Eichmann e Hannah Arendt aveva scritto la banalità del male (1963) ma Montanelli era ancora ancorato all’obbedienza militare. I suoi estimatori vedono in questa lettera a Priebke l’ atto di coraggio di chi dice sempre ciò che pensa, anche controcorrente, anche a discapito di due amici torturati e uccisi in quella circostanza. Ma, dico invece io, con tutte le persone a cui manifestare solidarietà per sentenze ingiuste, proprio a Priebke? Prima ho citato Pinochet, che, a detta del nostro, nel 1978  per quanto infernale, sarebbe stato meglio che un governo col PCI, cui Moro sembrava propenso. Vero che la piena rivelazione dell’ operato di Pinochet inizierà a livello giudiziario nel 1988, anche se la prima manifestazione delle Madres  era avvenuta nel 1977, ma certo il nostro opinionista, e storico, sembrerebbe scommettere sempre sul peggio cavallo.  Ma sarà poi vero che Montanelli è quel grande che pensiamo?


Dico la verità, dopo aver letto quel diario, lasciai questa domanda inevasa. In fondo, mi dissi, anche Dario Fo aveva un passato repubblichino, e, senza soffermarmi troppo su pentimenti e mica pentimenti, passai oltre. Questo, fino al momento in cui, circa un anno fa, quindi prima che la vernice rosa sulla statua me la richiamasse, sono venuta a conoscenza della vicenda della sposa bambina, Destà, oggi al centro dell’attenzione generale. Non so come, mi sono imbattuta nell’articolo scritto dallo stesso Montanelli sul Corriere nel 2000, e sono inorridita, perché, parliamoci chiaro, la cosa ma più ancora il modo in cui Montanelli ne parla, a distanza di oltre sessant’ anni, non può che indignare e bisogna essere ben innamorati di lui per non riconoscerlo. Ho letto e ascoltato parecchie perorazioni in difesa del grande vecchio, da parte di suoi discepoli, che pure stimo, come ad esempio Marco Travaglio, o da parte di persone su fb.


Ecco le linee difensive più ricorrenti:

         1)   Bisogna contestualizzare, il madamato in Abissinia era un cosa normale e Montanelli era un uomo dei suoi tempi.

         2)   La ragazzina aveva 14 anni e anche in Italia ci si poteva sposare a quell’età. 

         3)   Montanelli benedì le successive nozze di Destà, che, riconoscente, diede al primo figlio il nome Indro.

         4)   Ma allora Pasolini?

       5)   Molti grandi artisti furono piccoli uomini, eppure li osanniamo lo stesso. Insomma, vizi privati e pubbliche virtù.

 

Dunque, io starei molto ma molto attenta a usare l’ argomento della CONTESTUALIZZAZIONE, perché è esattamente lo stesso che usano i turisti pedofili (italiani ai primissimi posti) per autogiustificarsi: in certi paesi, dicono, ci sono usi, costumi e bambini diversi dai nostri. Lo accettiamo?  Montanelli avrebbe, a suo dire,  beneficato Destà, che nulla ha mai potuto dire in proposito, e la sua famiglia,  comprandola secondo l’uso e fornendole una dote. Ma anche i turisti pedofili intervistati nelle inchieste dicono di aiutare economicamente bambini e famiglie. Lo accettiamo?  Qualcuno dice che il turista pedofilo è condannato dall’opinione pubblica, mentre a quei tempi le cose stavano diversamente e quanto commesso dal nostro colonialista non risultava così riprovevole. Io posso anche ammettere che allora il femminismo era di là da venire e anche che il colonialismo venisse visto in maniera acritica dall’italiano medio ma farei torto alla generazione dei miei nonni se li ritenessi incapaci di indignazione profonda dinanzi all’idea di un trentenne che compra e stupra una bambina di 12 anni, anche nel caso in cui fosse stato detto loro che in quei posti è normale. E se qualcuno, a questo punto, insistesse nel dire che non si è trattato di stupro perchè le usanze ecc., legga quanto ne scrive lui stesso, sul Corriere, convinto che la grammatica del discorso fosse universalmente condivisa: “faticai molto…a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulsta: il che, oltre a opporre ai miei desideri una barriera pressochè insormontabile (ci volle, per demolire, un brutale intervento della madre) la rendeva del tutto insensibile.”


I discepoli di Montanelli ci tengono a ribadire che il loro mentore non era uno stupratore, né un pedofilo. Lui disse di non essere un Girolimoni ( osservo per inciso che la fama di questo innocente, Gino Girolimoni, condannato ingiustamente per pedofilia durante il fascismo andrebbe invece riabilitata da un giornalista come io l’intendo).  Forse uno che compie ripetutamente un atto di pedofilia solo in un periodo di tempo limitato e per tutta la sua vita non ripete la cosa non possiamo definirlo pedofilo, esattamente come non definiamo bugiardo uno che nella sua vita ha detto un’unica bugia e poi è vissuto di sincerità. A parte il fatto che personalmente non gli affiderei una figlia dodicenne per accompagnarla a scuola, teniamo conto che la cosa potrebbe valere anche per il nostro lercio turista. Potrebbe dire: ho avuto una sola esperienza e poi mai più. Lo accettiamo? Credo a un’unica condizione: il pentimento, che il nostro non ha MAI espresso. Era uomo del suo tempo? E sia, ma i tempi sono cambiati, per fortuna, e Indro si ė espresso solo in modo autoassolutorio, essendo così il primo a smentire il principio di contestualizzazione storica, con cui lo si vuol difendere. Nel botta e risposta con Elvira Barotti, diffuso in questi giorni sui social, il nostro testimone del presente sembra scoprire con stupore che i tempi sono cambiati e predispone l’autodifesa, insistendo sulle sue quanto meno superate grammatiche. Se noi passiamo sopra alle colpe di Indro Montanelli, una volta che sono di pubblico dominio, anche il nostro pedofilo d’accatto si sentirà un po’ meno riprovevole. 


2) Montanelli, la prima volta che parlò del fatto, nel 1969 all’Ora della verità di Gianni Bisiach, dove appunto subì le critiche della Barotti, disse di aver comprato una moglie di 12 anni. Solo dopo le cambiò l’età, in modo a lui peraltro conveniente, vista appunto la liceità del matrimonio a 14 anni. Se poi qualcuno ritiene che 12 o 14  anni siano quasi la stessa cosa, vorrei invitarlo a mettersi dinanzi agli occhi una ragazzina di 12 e una di 14 anni. Qualcuno ha visto la foto di Montanelli e la bambina? La piccola è piatta, ha forme infantili e viso spaventato. Siamo perfettamente d’accordo che fino a 18 anni un giovane sia per la legge minorenne, ma da qui a dire che tra 12 e 18 non vi sia differenza ne corre e, dal punto di vista etico, più si abbassa l’età più l’abuso è grave.

3) Quanto alla versione romantica, del “vissero tutti felici e contenti”, col bambino di nome Indro, ė chiaro che, come del resto per ogni informazione su questa vicenda, esiste una fonte unica: Indro Montanelli, la stessa persona che prima ha parlato di 12 e poi di 14 anni, ha chiamato la bimba con nomi diversi e ne ha mutato la descrizione. Possiamo anche decidere di credergli ma è un puro atto di fede. 

4) Pasolini, per aver compiuto atti osceni con dei ragazzi tra 15 e 16 anni e corruzione di minore, subì un processo, venne allontanato dalla cattedra ed estromesso dal Partito Comunista. Diede, questo sì, una giustificazione letteraria al suo gesto e la famiglia si adoperò a far ritirare la denuncia in cambio di denaro: una gran brutta cosa, ė vero. Ma con le 120 giornate di Sodoma ci ha lasciato il manifesto più inquietante e sconvolgente dell’abiezione cui può condurre l’abuso sessuale. Pasolini aveva personalità complessa e colma di fragilità e ombre interiori, che Montanelli non ha mai mostrato di avere, con la sua abituale e incontrovertibile perentorietà. 

5) È pur vero che ci sono autori , da noi considerati maestri, che presentarono grosse contraddizioni. Grandi come autori, non lo furono come uomini.  Uno tra tutti: Rousseau, che mentre scriveva la più grande opera sull’educazione, abbandonò i suoi figl a un futuro di sfruttamento e orfanotrofio. Eppure, l’Emile resta un’opera di grande insegnamento. E ve ne sono molti altri ma sono, appunto, personaggi contraddittori, mentre quello che colpisce nel padre del giornalismo, rispetto a questa vicenda, è invece una lucida e luciferina coerenza, tanto da dichiararlo senza rossori. 


Ma, non tenendo conto dell’ultimo argomento e facendo come se lui  avesse preso le distanze da quel suo passato, potremmo dire che anche per Montanelli, nonostante le ombre umane, vale la distinzione tra uomo di vita e uomo di lettere, che cioè la vicenda poco edificante, non impedisce di apprezzare le sue doti giornalistiche (i suoi innamorati non ammettono nemmeno questo e si prodigano a giustificarlo). Ma qual è secondo noi la dote più alta di un giornalista? Se rispondiamo: saper scrivere bene, in maniera tagliente e semplice, allora Montanelli fu un grande giornalista, ma se riteniamo che sia invece capacità di testimonianza il vero, allora dobbiamo tener conto che il nostro fu smascherato almeno 2 volte: una sull’uso delle armi chimiche proprio nella guerra d’Etiopia, che lui negò fino a quando non si trovò dinanzi i documenti. L’altra riguardò invece l’anarchico Pinelli in relazione alla strage di piazza Fontana, su cui il nostro mentì e dovette riconoscerlo in sede di processo. Mentì cioè scientemente, millantando informazioni per una difesa di bandiera dell’ operato della polizia, a scapito di un innocente. Come a uno che abbia compiuto un solo atto di pedofilia non affiderei mia figlia bambina, a uno che abbia detto anche una sola BUGIA, ritirerei i la mia fiducia incondizionata.


Inoltre, la vicenda con la bambina Destà non può essere relegata nella sfera privata  e clandestina dell’uomo Montanelli, dal momento che faceva parte di una grossa vicenda politica cui il nostro partecipò volontario, la guerra coloniale, e ne sintetizza le violenze e le bassezze.  Montanelli dice di essere stato sollecitato a sposarsi dal suo comandante di Battaglione. Perché? Per un discorso di sfogo sessuale o per una strategia di sottomissione? Lo storico Pascal Blanchard scrive nel libro “Sex, race ed colonies”,  in cui sono raccolte 1200 immagini pornografiche sulla prepotenza sessuale dei colonizzatori: “Quelli che pensano che la sessualità sia stata un’avventura periferica al sistema coloniale  si sbagliano. Laggiù non ci sono proibizioni, tutti i dettami morali saltano: abuso, stupro, pedofilia.” Sembrano proprio le pasoliniane 120 giornate di Sodoma, dove giovani inermi sono ridotti, senza limiti, a strumenti del piacere di chi politicamente li domina. Del colonialismo nel suo insieme il grande giornalista e  da uno storico, che aveva sentenziato sulla superiorità dell’uomo bianco, si limita a dire, a distanza di anni: è stata un’esperienza stupidissima”. STUPIDISSIMA? Dice anche, deluso, che ci sono stati pochi combattimenti. Ma ė la stessa esperienza di cui Del Boca racconta le efferatezze in “Italiani brava gente”. Certo, ci sono italiani e italiani, storici e storici, giornalisti e giornalisti.


Un murales a Palermo contro Montanelli

Elvira Barotti, nel 1969, ribattė a Montanelli, mandandolo in confusione e dicendo di aver vissuto in Africa e che le cose non stavano nel modo come lui le stava raccontando. Anche un libro del 1916, Principi di diritto consuetudinario dell’Eritrea, dell’orientalista Carlo Conti Rossini, spiega come il matrimonio temporaneo esistesse sì ma a condizioni di salvaguardia della donna, che escludono il madamato raccontato da Montanelli. Un grande giornalista, per di più storico, può anche essere partito volontario per un’impresa coloniale ma poi ce la deve raccontare nella sua verità. Credergli continua a essere sempre più un atto di fede.

Verrebbe da chiedersi dove fosse Montanelli, vedetta critica di professione, mentre il colonialismo perpetrata bassezze, asservimento e usava armi chimiche, dal momento che sembra non essersene accorto, così come sembra non essersi mai accorto del cambiamento della cultura etica nei confronti della donna e dei pregiudizi razziali, che continua a riproporre imperterrito. Eppure non ha mai smesso di fustigare e pontificare ex cathedra. 

 Da quella esaltazione di Hitler che mi scosse dal mio sonno dogmatico, i nei scoperti di questo personaggio sono stati tanti, al punto che veramente mi chiedo se non sia stato sopravvalutato. Effettivamente, come esistono macchine del fango, esistono anche macchine dell’incenso, forse meno pesanti, ma non meno menzognere. Quell’incenso, di cui statua e giardini fanno parte, come pure l’ormai luogo comune del grande giornalista.

Anche la sinistra, che un tempo gli dava del fascista, ha finito per applaudire a questo presunto grande vecchio. Forse il fatto che fu esecrabilmente gambizzato creò un fondo d’imbarazzo, che indusse a parlarne solo bene, ma fu soprattutto il suo strappo senile con Berlusconi, suo editore, a renderlo un eroe della libertà e dell’indipendenza. Nobile gesto, certo, ma l’insieme mi ricorda un po’ il canto V del Purgatorio e la scena in cui il diavolo, giunto per prendersi l’anima del defunto Bonconte da Montefeltro, gran peccatore, se la vede strappare dall’angelo, per via di un’invocazione alla Madonna fatta in punto di morte. Hai vinto, così il diavolo si lamenta con l’angelo, “Per una lacrimuccia ch’el mi toglie”. 

Basta una lacrimuccia, ovvero un gesto di indipendenza a fine carriera, a riscattare un profilo così controverso? 

  GLORIA BARDI

 

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