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Tempo di cambiare

di Milena Debenedetti


Milena De Benedetti

Riparto dai dubbi e dalle domande dell’altra volta, immaginando che lo sterminato esercito dei tafazzi qual siamo si soffermi un istante a riflettere in modo obiettivo, sui fatti concreti e le possibili conseguenze ed evoluzioni.

Probabilmente saremo costretti a farlo, prima o poi, volenti o nolenti, per via della crisi. Con buona pace dei politici locali e dei fautori di vari progetti che continuano imperterriti a ragionare esattamente come qualche mese fa, come un anno fa, quasi non fosse cambiato assolutamente niente nello scenario economico e politico generale.

 Persino gli organi di informazione, nonostante i diktat che impongono obbligato ottimismo da parte del nuovo duce arcoriano, qualcosa si lasciano sfuggire. Anche se vige una sorta di sub-censura, non solo sulle notizie estere, (chi ha sentito parlare del fallimento dell’Islanda e  dei cortei davanti al parlamento? Di proteste in Svizzera addirittura?) ma anche sulle tante notizie di chiusure e casse integrazioni nostrane.

Siamo al grottesco che persino sulle stragi di Gaza a lungo si è glissato, soffermandosi piuttosto sul maltempo, mai così auspicato come di questi tempi, per riempire tiggì.

Ma qui da noi, nel savonese, è ancora peggio: si producono discorsi che hanno ampiezza e vastità di vedute pari al cortile di un condominio popolare, dove si discuta di spostare un tombino. Perdere tempo mentre la crisi incombe è già grave, continuare su strade sbagliate è ancora peggio, perché si pagherà un prezzo altissimo in termini di danni irreversibili.

Togliamoci dalla testa i concetti di stasi, di recessione momentanea, di sofferenza che può essere rapidamente sanata. Niente di tutto questo: o si persegue una pericolosissima economia di guerra e instabilità perenne (a rischio di accendere micce velocissime e incontrollate), oppure le misure che in qualche modo “drogano”, “camuffano” , controllano il mercato avranno il fiato corto.

Perché la crisi è strutturale, è crisi di un sistema. Quello che persegue la crescita del pil, la crescita dei volumi di merci prodotti e scambiati, la crescita dei consumi energetici come obiettivi auspicabili. Una follia illogica, contraria alle stesse leggi della fisica, che ha impoverito il mondo, stravolto l’ambiente (a un passo dal degrado irreversibile), e non porta affatto vantaggi per l’essere umano, anzi, alla lunga neppure maggior benessere, perché un conto è circondarsi di tutto ciò che rende piacevole la vita, compresi beni di lusso e raffinati gadget tecnologici, un conto essere spinti all’acquisto compulsivo e frenetico di merci prive di valore, indebitandosi pure. Insomma, pur trascurando i discorsi filosofici sulla qualità della vita, sulla felicità che non dipende dai beni posseduti ma dalle relazioni affettive e dalla quiete spirituale, ma rimanendo a ragionare sul piano terra terra dell’abbondanza materiale, alla fine ci ritroviamo perdenti e frustrati.

Come diceva Pallante in una delle sue tante metafore felici, se i programmi tv fanno schifo, anche se mi compro un televisore ad altissima definizione, continueranno a fare schifo lo stesso.

Maurizio Pallante, consulente del ministero dell’ambiente per il precedente governo, promotore in Italia del movimento per la decrescita felice,  ha fatto una rapida comparsa questo venerdì pomeriggio presso la libreria Ubik, partecipando poi alla sera a un altro incontro organizzato dalla Curia.


Maurizio Pallante

Rapida comparsa, quel tanto che basta per darci spunti e suggerimenti.

Perché decrescita felice? Non nel senso di austerità, rinunce, tirare la cinghia, ma nel senso di utilizzare meglio le risorse, avere meno sprechi o consumi inutili. Senza penalizzare affatto, insomma, la qualità della vita e senza arretrare sul piano del progresso.

Anzi. Le soluzioni tecnologiche necessarie per avanzare su questa strada virtuosa sono spesso raffinate, all’avanguardia, e creano molti posti di lavoro, sia nel campo delle energie rinnovabili, sia nel campo del risparmio energetico stesso (per esempio nell’edilizia), sia nel campo del trattamento dei rifiuti che può diventare a sua volta risorsa. 

Attenzione, però, lo dico ai soliti scettici, ai facili critici: i fautori di queste scelte non ci vendono affatto utopie, ma soluzioni realizzabili, economicamente vantaggiose, in fase avanzata di sperimentazione o addirittura già dimostrate e operanti. E non solo su piccola scala. Se qui in Italia si possono citare paesi nel trevigiano, nel bellunese, nel lucchese, negli USA il premio Nobel Paul Connet opera addirittura a S. Francisco, per il suo piano rifiuti zero.

Vedremo, adesso, se davvero il nuovo presidente USA perseguirà anche solo una minima parte dei suoi programmi. Rischiamo, se lo farà con successo, magari appoggiandosi strategicamente ad India e Cina, di rimanere indietro, noi come Europa farraginosa, divisa e litigiosa. Tacendo per pietà della sempre più arretrata, provinciale, ignorante Italia, fanalino dei fanalini di coda, palla al piede in via di aggancio opportunistico ai più arretrati e  inquinanti paesi dell’est.

La crisi può essere opportunità, challenge, dicono gli anglofoni, per ripartire alla grande su strade nuove e migliori. Oppure occasione di arretramento, degrado, chiusura, imbarbarimento, soluzioni autoritarie.

La grande recessione degli anni ’20 portò Roosvelt e il New Deal, ma anche i tanti regimi dittatoriali europei.

L’Italia è sulla buona, ottima  strada per ripetere l’esperienza. I sintomi ci sono tutti, compresa un’opposizione inesistente.  Con una aggravante: Berlusconi non è Mussolini, è tre volte peggio. Perché pensa solo a se stesso.

Ma con una attenuante, una speranza: il mondo non è lo stesso di allora. Le comunicazioni, soprattutto, sono un’altra cosa. Non a caso il nostro vorrebbe impacchettare Internet, se potesse.

E allora, forse non potremo influire, purtroppo, se non come movimenti di protesta popolare e transnazionale, sulle soluzioni guerresche,  ma nel nostro piccolo, a livello locale, possiamo fare molto per cambiare rotta su molti temi, a partire dalle amministrazioni.

Bisogna che chi insiste a parlare di inceneritori, nucleare, centrali a carbone, cemento e insostenibili progetti, per quanto possa contare sui più autorevoli palcoscenici, sull’appoggio quasi totale dei media,  sulla mancanza di dibattiti e contraddittorio, si ritrovi subissato dalla vera informazione, diffusa dalle persone consapevoli fra le persone, smentito e sbugiardato da esempi, dati e fatti.

Bisogna che si formino al più presto liste civiche, sotto la spinta dei movimenti, con programmi precisi e concreti che ci aggancino a quei treni del cambiamento che altrimenti rischiano di passare troppo lontani e non fermarsi. Obiettivi fattibili e apolitici, come apolitico dovrebbe essere il buon senso.

Bisogna che quei piccoli, impercettibili segnali che si avvertono fra i politici locali in clima preelettorale (non si sa, ahimè, quanto opportunistici e vuoti, lo si sospetta solo), non siano solo una scusa per prendere tempo, e poi, passata la scheda, gabbato l’elettore.

No: si deve inchiodarli alle loro responsabilità e a impegni chiari. Si deve far capire che così, proprio non possiamo andare avanti, e che continuare a ripeterci o farci credere che non esistano alternative alle loro idee e proposte è la peggiore, più deleteria  e fraudolenta bugia che possano propinarci.

Ci dicano piuttosto la verità, che qualcuno non le vuole, le alternative, che non fanno comodo a certi poteri forti, ai produttori di energia che hanno tutto l’interesse a continuare a inquinare e sprecare e guadagnare di più: perché l’aumento delle richieste energetiche è spesso pretestuoso e dovuto a pessimo utilizzo delle risorse, perché una riduzione alla fonte degli sprechi sarebbe il primo motore della nuova economia, perché fanno comodo la speculazione incontrollata e l’arraffamento selvaggio.

Ci dicano che ricevono proposte “che non si possono rifiutare”. Ma non  continuino a negare il confronto. E se lo fanno, democraticamente ma insistentemente, costringiamoli.

Coraggio. Abbiamo l’opportunità di un futuro nuovo. O nessun futuro del tutto.

Nonna Abelarda alias Milena Debenedetti